Apocalisse o Eldorado per l’azionario europeo?

A cura di Philip Webster, team azionario europeo di BMO Global Asset Management
Sembra sia sempre crescente il numero dei bond con rendimento in territorio negativo – l’ultimo dato che abbiamo avuto modo di analizzare indicava 12 trilioni di dollari. Uno dei gestori hedge con track record più lungo, Paul Singer di Elliott Management, questo mese l’ha definita “la più grande bolla obbligazionaria della storia mondiale”. In ogni caso, l’effetto domino è quello di comprimere le valutazioni azionarie, in quanto il tasso risk-free tende a zero (fatto che di per sé è una follia).
Con un rendimento così basso sia intermini reali che nominali, gli investitori hanno cercato riparo nei titoli cosiddetti bond-proxy. Sebbene io trovi che questa soluzione segnali un significativo incremento della fiducia, visto che azioni e obbligazioni sono agli antipodi dello spettro di rischio, concordo nel riconoscere maggiore sicurezza ai titoli realitivi ai Beni di Consumo basilari e alle utility, che rendono più del proprio corrispettivo titolo obbligazionario, rispetto ad altri settori. Perciò, se da un lato questo non appare poi così illogico, sembra tuttavia mancare un elemento fondamentale, ovvero cosa è necessario pagare per la percezione di questa sicurezza propria del mondo obbligazionario?
Questo ci porta quindi al nocciolo della questione, ovvero che le attuali valutazioni non riflettono adeguatamente il trade-off rischio-rendimento. Alcuni vorrebbero anche farci credere che stiamo analizzando fin troppo a fondo la questione e che con tassi e rendimenti ai minimi storici bisognerebbe chiudere gli occhi e acquistare, a prescindere dai continui re-rating dal segmento di mercato dei bond-proxy.
Dal nostro punto di vista abbiamo un cruccio molto semplice, stimolato dai tre pilastri della nostra filosofia d’investimento: qualità, gestione e valutazione. Warren Buffett ha detto “è molto meglio avere una società eccezionale a un buon prezzo, piuttosto che una buona società a un prezzo eccezionale”, che non equivale a dire a qualunque prezzo. Noi infatti, crediamo che non importa quale sia lo scenario sottostante, il prezzo pagato è fondamentale per il rendimenti che si generano.
Facciamo un esempio: nel caso di Nestlè, per una crescita dell’utile per azione a una sola cifra si sta pagando un multiplo pari a 22 volte l’utile di quest’anno. Per una miriade di altri titoli, la crescita è stata in rallentamento, eppure i prezzi azionari hanno ampiamente continuato la propria ascesa, distaccandosi a nostro avviso dai fondamentali. Altra storia è quella di Novo Nordisk, dove non c’era alcun margine di sicurezza nella valutazione. Era prezzata per conseguire perfettamente i risultati attesi senza alcuna possibilità di deludere, cosa che in realtà poi ha fatto.
Tutto questo la dice lunga su cosa c’è di sbagliato, ma cosa stiamo facendo noi per mitigare queste eventualità per i nostri azionisti? In qualità di gestori, la nostra filosofia e il nostro processo d’investimento non è cambiato, siamo posizionati dove vediamo titoli di qualità sottovalutati o fuori dalle grazie del mercato.
Ad esempio, c’è appena stata una fuga dal settore finanziario, ma, dal nostro punto di vista, le cose non sono così semplici. Nessuno vuole prendere atto dei fondamentali, ma noi siamo ottimisti e per noi rappresentano il secondo miglior settore, in termini di performance, da inizio anno. Vediamo valore in società finanziarie di buona qualità come Handelsbanken, Deutsche Boerse, ING Group, Swedbank e UBS, una di quelle che nell’ultimo periodo ci è piaciuta di più. Sono leader mondiali nel wealth management e hanno un business con solide relazioni con i clienti. Stanno fronteggiando attualmente alcuni venti contrari, tra i quali l’elevata liquidità dei clienti, i bassi ricavi da transazioni e il passaggio da fondi attivi ad elevato margine a strumenti passivi a basso margine. Tuttavia, il patrimonio gestito continua ad aumentare e sono ben posizionati per beneficiare del miglioramento del sentiment sul settore. Sono anche ben capitalizzati e mostrano un dividend yield interessante.
Ultimamente abbiamo mostrato apprezzamento anche nei confronti di Air Liquide, che non ha ricevuto i favori del mercato dinanzi al rallentamento della produzione industriale. La società sta ancora mirando a una crescita delle vendite entro il 2020 tra il 6% e l’8%, quota sostenuta per i due terzi da progetti già in pipeline (non molte società hanno una tale visibilità). Completeranno anche l’operazione con Airgas nel terzo trimestre dell’anno, elemento che porta con sé la possibilità di una crescita superiore e maggiori sinergie in termini di costi, solitamente mantenute prudenti. I rendimenti non sono spettacolari, ma la società ha molte qualità, in termini di stabilità, solitamente propria di asset regolamentati, pur scambiando a un multiplo molto più interessante.

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