Certificati e minusvalenze 2017, la guida al recupero

A cura di CedLab

Il 31 dicembre 2017 scadrà il termine per il recupero fiscale delle minusvalenze maturate nel corso del 2013. Come tutti gli anni, nell’ultimo bimestre si scatena la caccia da parte di investitori, promotori e consulenti finanziari allo strumento più idoneo per consentire il recupero totale, o almeno parziale, di quanto presente nello zainetto fiscale e il più delle volte la scelta ricade su uno dei certificati con maggior rendimento potenziale di brevissimo termine. Si parta con il ricordare che per quanto concerne l’aspetto della fiscalità, il certificato è ancora oggi lo strumento finanziario più efficiente che esista, se messo a confronto con fondi o Etf, le cedole obbligazionarie o i dividendi delle azioni.

Come rappresentato dalla tabella, infatti, i certificati sono gli unici strumenti a generare sempre e solo redditi diversi, sia che si tratti di guadagni in conto capitale sia che i proventi derivino dallo stacco di cedole, condizionate o incondizionate. Il principio di base per il quale tutti i redditi vengono considerati di natura finanziaria “diversa” è l’aleatorietà del reddito stesso, essendo sempre soggetto a una condizione.

A titolo di esempio, si ha diritto alla cedola se il sottostante non ha perso più di una determinata percentuale, oppure si riceve la cedola senza alcuna condizione ma a quel punto si rientrerà in possesso del capitale inizialmente versato solo se il sottostante non avrà perso più di una determinata percentuale.

L’incertezza del reddito, unita al fatto che i certificati sono strumenti derivati, essendo costituiti da opzioni, fa sì che fiscalmente si possano utilizzare tutte le plusvalenze per compensare le minus generate da qualsiasi altro investimento.

Se i fondi ed Etf generano infatti redditi di capitale e minusvalenze diverse, rendendo pertanto impossibile l’incrocio, i certificati generando sempre redditi diversi sono in grado di compensare fiscalmente le minusvalenze derivanti da altri certificati, da azioni, da fondi comuni, da Etf e da obbligazioni.

Un vantaggio competitivo che negli ultimi anni ha alimentato come benzina sul fuoco l’emissione di certificati in grado di riconoscere alti proventi entro la fine dell’anno, cioè in tempo utile per non vedere le minusvalenze maturate azzerarsi di colpo da un giorno all’altro. E la ricerca di strumenti idonei allo scopo è tanto più spasmodica quanto è più pesante lo zainetto fiscale: basti pensare, infatti, che la compensazione di 10.000 euro di plusvalenze con 10.000 euro di minusvalenze permette all’investitore di ottenere un risparmio fiscale di 2.600 euro, in virtù dell’attuale aliquota del 26% sul capital gain. Le minusvalenze, per chi investe abitualmente in fondi o Etf, è quasi naturale che esistano essendo queste mai compensabili da guadagni ottenuti dagli stessi.

la fiscalità dei certificati

Come funziona la compensazione

Numerosi interrogativi continuano ad aggirarsi attorno al metodo con cui deve avvenire la compensazione. In via generale, è prassi che quando un certificato genera una plusvalenza da cedola, questa vada subito a incrociare eventuali minusvalenze presenti nello zainetto, causando di conseguenza una riduzione di queste per un importo esattamente pari alla plusvalenza ricevuta, e un accredito lordo del provento. A titolo di esempio, si ipotizzi di aver maturato minusvalenze per 5.000 euro e di ricevere successivamente cedole per 2.000 euro. Al momento dell’accredito, l’intermediario andrà a verificare se nello zainetto fiscale dell’investitore sono presenti minusvalenze e in caso ci siano, provvederà a ridurre queste di 2.000 euro, lasciando di conseguenza un residuo di 3.000 euro di minus, e ad accreditare i 2.000 euro al lordo della tassazione. Viceversa, in assenza di minusvalenze, accrediterà i 2.000 euro al netto del 26% di tassazione.

Maxi cedole

Al fine di consentire una maggiore facilità di compensazione delle minusvalenze, da qualche anno gli emittenti producono la quotazione in Borsa Italiana o sul Cert-X, di certificati, perlopiù di tipo Phoenix, che prevedono il pagamento condizionato di cedole di importo superiore al 10%. Si tratta evidentemente di certificati che riassumono sulla prima cedola gran parte del rendimento potenziale che si può ottenere lungo tutta la durata e che, talvolta, per riuscire ad offrire cedole sempre più elevate, ricorrono all’utilizzo di più sottostanti, secondo il principio della correlazione tra questi.

Sul mercato italiano si contano al momento 5 certificati con maxi cedola superiore al 10% e successive cedole mensili, accompagnate dall’opzione autocallable, e 4 con maxi cedola sempre a doppia cifra e successive rilevazioni trimestrali. Preda ambita di chi ha minusvalenze in scadenza o semplicemente di chi preferisce il “tutto e subito” anziché incassare periodicamente il rendimento potenziale complessivo, questi Phoenix con o senza memoria sono scritti su sottostanti che spaziano da solide blue chips italiane e internazionali fino a delle vere e proprie scommesse quotate sul Nasdaq, che per propria natura sono caratterizzate da elevata volatilità e scarsa correlazione con gli altri titoli componenti il basket.

Un mix potenzialmente molto pericoloso se si considera che tutti questi basket sono di tipo “worst of”, ovvero affidano al peggiore tra i titoli il compito di influenzare l’andamento del certificato. In altre parole, è sufficiente che un titolo sui 4 o 5 del basket scenda del 40%, cosa tutt’altro che improbabile quando si va a puntare su titoli estremamente volatili, per vanificare l’eventuale tenuta degli altri componenti e ridurre il certificato ai minimi termini.

In ordine puramente cronologico di quotazione, si segnala a titolo di esempio un Phoenix Memory emesso dalla svizzera Leonteq (codice Isin CH0383854657), che il prossimo 1 dicembre pagherà una maxi cedola del 19% alla sola condizione che i 4 titoli che compongono il basket, ovvero Intesa Sanpaolo, Deutsche Bank, Nokia e la tedesca RWE, non abbiano perso più del 65% dall’emissione avvenuta di recente.

Una condizione incerta solo sulla carta, ma utile per consentire al cedolone di 190 euro di andare a compensare le minusvalenze presenti nello zainetto. Per avere diritto alla cedola è necessario acquistare il certificato entro la chiusura del 28 novembre, dal momento che la mattina del 29 lo stesso partirà già in quotazione ex-cedola.

Anche sotto questo punto di vista è necessario chiarire al meglio il funzionamento. Ipotizzando che il certificato quoti 1100 euro il giorno 28 novembre, data di valutazione del maxi coupon, all’indomani partirà in quotazione a parità assoluta di sottostante a un prezzo di 910 euro, scontando pertanto interamente la cedola prevista. Incassata la cedola con data di pagamento 1° dicembre e soddisfatta l’esigenza di aver compensato il più possibile le minusvalenze, il Phoenix Memory inizierà a partire dal 14 dicembre 2017 una serie di rilevazioni mensili utili al pagamento di cedole periodiche, con effetto memoria, pari allo 0,25% (3% p.a.), una percentuale di rendimento impoverita dall’imponente stacco della prima cedola che in ogni caso non lascia a bocca asciutta l’investitore.

La condizione per il pagamento è però una rilevazione del worst of superiore all’85% dello strike (un livello mediamente alto, reso meno ostico solo dalla presenza della memoria) mentre a partire dalla rilevazione di aprile 2018, al rispetto del 100% da parte dei 4 titoli, sarà previsto anche il rimborso anticipato del capitale.

Qualora giunga alla scadenza naturale del 2022 senza che sia mai stato rimborsato, il certificato rimborserà l’intero capitale a patto che il worst of sia almeno al 65%, abbassando pertanto la barriera di 20 punti rispetto al trigger valido per le cedole mensili. Come si sarà potuto comprendere, il certificato punta tutto il suo potenziale sulla prima cedola, per permettere la compensazione delle minusvalenze, divenendo successivamente un prodotto dalle caratteristiche non troppo difensive.

Ed è l’opzione autocallable che potrà attivarsi da aprile 2018 a poter togliere le castagne dal fuoco, qualora i sottostanti rimangano nell’area dei rispettivi strike per i primi mesi di vita.

Come avvenuto, infatti, per analoghe precedenti emissioni, la bassa volatilità dei sottostanti ha consentito a tali certificati di recuperare rapidamente terreno dopo lo stacco, avendo nel mirino il probabile rimborso a 1000 euro. Ed è questo lo scenario che ci si deve augurare possa verificarsi anche nei prossimi mesi per non perdere contatto con il nominale e la speranza di rientrare anzitempo del capitale.

Interpretazione fiscale a chiusura

Tuttavia non tutti gli investitori possono beneficiare delle generose cedole promesse da questi certificati nati con lo scopo di compensare le minusvalenze in scadenza entro l’anno. E’ infatti notizia degli ultimi mesi, che più di qualche intermediario abbia scelto di adottare un differente sistema di imposizione fiscale, rinviando la tassazione dei proventi provvisori ( i.e. le cedole) a quando questi potranno essere considerati definitivi ( cioè alla scadenza, anticipata o naturale, o alla vendita del certificato).

Rispetto a quanto finora descritto, l’interpretazione adottata consiste nell’accreditare al lordo della tassazione qualsiasi cedola periodica, di qualsiasi entità, senza andare a verificare la consistenza dello zainetto fiscale.

A seguito di ogni accredito lordo, l’intermediario provvede a rettificare il prezzo di carico fiscale del certificato, adeguandolo pertanto verso il basso per un importo pari alle cedole lorde ricevute, e solo nel momento in cui sarà definitiva la chiusura della posizione, andrà a incrociare le plusvalenze con eventuali minus ancora presenti nello zainetto.

Si ipotizzi di aver acquistato un certificato a 100 euro e di ricevere annualmente tre cedole da 5 euro ciascuna. All’atto del pagamento, si riceveranno le tre cedole al lordo, sia che ci siano minusvalenze in carico o meno.

Contemporaneamente il prezzo di carico fiscale si ridurrà di 5 euro a ogni stacco, risultando pertanto pari a 85 euro. Alla scadenza dei tre anni, ipotizzando un rimborso a 100 euro, si andrà a calcolare la plusvalenza di 15 euro e si verificherà nello zainetto fiscale se esistono minus atte a compensare tale guadagno.

Si comprende facilmente come questa interpretazione danneggi vistosamente chi ha minusvalenze in scadenza e contava di utilizzare le maxi cedole dei certificati per non perderle definitivamente, dal momento che all’incasso del cedolone, non si andrà a fare alcuna verifica nello zainetto.

Altresì, neanche la vendita anticipata potrebbe aiutare a risolvere l’impedimento, dal momento che a seguito dello stacco il prezzo del certificato si comporterà esattamente come il prezzo fiscale rettificato nel nostro portafoglio dall’intermediario. Infatti, se avessimo acquistato il certificato a 1000 euro , ricevendo poi una cedola di 190 euro, ci troveremmo con un prezzo di carico fiscale pari a 810 euro, probabilmente simile al prezzo di mercato dello strumento, con la conseguenza che un’eventuale vendita non genererebbe alcuna plusvalenza.

L’alternativa

Accertato che l’intermediario incrocia subito le plusvalenze, è possibile utilizzare qualsiasi certificato per compensare fiscalmente le minusvalenze che andranno in scadenza quest’anno o, più in generale, quelle con scadenza più prossima. Viceversa, appurato che la propria banca adotta il secondo sistema è possibile acquistare gli stessi certificati puntando su uno scenario di stabilità nel periodo che intercorre fino allo stacco cedola.

Prendendo a riferimento il certificato precedentemente descritto, infatti, l’acquisto al prezzo attuale di 1008 euro consentirebbe un’effettiva plusvalenza potenzialmente pari ad oltre il 10% se nel corso del mese di novembre, ovvero entro la data di stacco, nessuno dei 4 titoli sottostanti andasse in picchiata. Tale aspettativa è legata allo stacco della maxi cedola e all’avvicinarsi della prima data autocallable, nella quale il certificato dovrà riallinearsi a 1000 euro in caso di rimborso anticipato.

Sulla stessa linea sarebbe possibile vendere oggi alcuni dei certificati emessi nelle settimane scorse, che contando su elevate probabilità di stacco cedola sono già saliti a prezzi superiori ai 1050 euro (1079 euro per un Autocallable della stessa Leonteq identificato da codice ISIN CH0377503369 o ancora 1060 euro per diversi Phoenix di Commerzbank) e consentirebbero pertanto di generare delle plusvalenze definitive.

Data l’importanza della discriminante interpretazione, è bene accertarsi presso il proprio intermediario su quale linea viene seguita al fine di non incorrere nell’acquisto di certificati che non sono poi utili allo scopo prefissato.

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