Che cosa rimane dei “reflation trades”?

A cura di Guglielmo Manetti, Vice Direttore Generale di Intermonte Advisory e Gestione
Analizziamo i cosiddetti “reflation trades” 7 mesi dopo l’elezione di Trump
Le elezioni di Trump avevano innescato una fase rialzista delle attese di inflazione nel mondo, trascinando al rialzo i mercati e innescando una fase di switch importante da bond a azioni.
Il movimento dei mercati è stato accompagnato da un effettivo miglioramento della macro globale, in particolare in Europa (ma anche in Italia) e da revisioni al rialzo delle stime di utili, dando quindi maggiore giustificazione al rialzo dei mercati. Se migliora l’economia e migliorano gli utili delle aziende perché i mercati azionari non devono salire?
Tuttavia, a distanza di 7 mesi, stiamo notando una significativa e preoccupante inversione del trend. In questo report analizziamo pertanto cosa rimane del cosiddetto reflationary trade (ovvero il movimento del mercato innescato da attese positive sull’inflazione) e vediamo quali messaggi arrivano oggi dalle principali variabili in esame: la macro, le performance dei settori/titoli e gli utili aziendali.
Partiamo dalla macro: buone notizie ma non più sorprendenti… Le elezioni di Trump avevano innescato una fase rialzista delle attese di inflazione nel mondo, trascinando al rialzo anche molti indicatori di attività economica a livello globale, segnalando quindi un trend virtuoso e generalizzato di ripresa economica.
Una efficace rappresentazione grafica di questo trend è data dall’indice Citigroup Economic Suprise Index (CESI) che misura le sorprese positive o negative di un aggregato dei principali indicatori macroeconomici rispetto alle attese del mercato. Un indice sopra lo zero segnala un momentum macro positivo mentre sotto lo zero negativo.
Si vede come dalle elezioni americane (riga rossa) gli indici in Europa e USA siano molto migliorati, ma siano scesi di recente in Europa e addirittura crollati a -80 negli USA, un livello che non si vedeva dal 2015.
Indici Citigroup Economic Surprise Index in USA e Europa – (fonte: Factset)
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Che sta succedendo? Sembra che l’entusiasmo degli analisti ed economisti sia volato dopo le elezioni di Trump a livelli che si stanno rivelando essere decisamente eccessivi, e quindi i dati, per quanto positivi, non riescono più a battere le attese.
Riteniamo che questa sia una situazione pericolosa per i mercati azionari, che vivono di aspettative. In passato si vede come ci sia stata storicamente una buona correlazione tra l’indice CESI e l’andamento degli indici azionari, soprattutto in USA, mentre nell’ultimissimo periodo tale correlazione si sia interrotta. Questo è certamente un elemento di incertezza, soprattutto vista la velocità e intensità del crollo dell’indice CESI negli USA. In Europa invece la divergenza è per ora meno evidente.
Anche le attese di inflazione, misurate con le attese del mercato sui tassi swap futuri a 5 anni tra 5 anni (il cosiddetto 5 year 5 year swap, molto usato soprattutto dalle banche centrali x verificare l’efficacia delle loro politiche monetarie di stimolo all’inflazione) dopo un marcato rialzo a novembre dell’anno scorso sono tornate quasi ai livelli di partenza.
Dove siamo oggi con le principali variabili rispetto alle elezioni americane?
Per quantificare meglio il livello delle attese di oggi rispetto al punto di partenza, ovvero le elezioni americane, abbiamo confrontato il livello di oggi con quello del 7 novembre (giorno prima delle elezioni) di diverse variabili macro e di mercato.
Confronto tra principali variabili macro e di mercato prima delle elezioni e USA e oggi – (fonte: Factset)
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Da questa analisi evidenziamo i seguenti trend:

  • Gli indici azionari mondiali sono quelli che hanno beneficiato maggiormente, con una performance media del 19% dalle elezioni ad oggi. Il mercato italiano è il vero vincitore, ed ancora di più l’indice delle mid-small caps STAR, che ha beneficiato parimenti del lancio dei PIR a fine 2016. Colpisce in particolare anche il crollo della volatilità sul mercato USA (indice VIX) che si è quasi dimezzata mentre gli indici azionari salivano. In pratica le azioni hanno festeggiato mentre il rischio percepito dagli investitori è crollato.
  • Sulle valute (con l’eccezione del cambio euro vs Yen) in realtà è successo poco o nulla, e questo è abbastanza sorprendente, ma va messo in relazione con il movimento su tassi ed inflazione
  • Anche sui tassi la situazione oggi rispetto al pre-Trump mostra come il tasso decennale in USA e Europa siano rimasti praticamente invariati, e addirittura scesi in Italia, mentre quelli più a breve (2 anni) abbiano beneficiato di un leggero rialzo ma solo negli USA, mentre in Europa sono scesi e sono ancora più negativi. Tutto questo mentre l’inflazione USA si è leggermente mossa mentre quella in Europa, che partiva da livelli molto più depressi, hanno effettivamente mostrato un miglioramento.
  • Infine le commodities, che dovrebbero essere beneficiarie di uno scenario più ottimista sull’economia, e in generale sull’inflazione, sono invariate o addirittura più basse rispetto alle elezioni USA

La nostra analisi evidenzia una situazione piuttosto sconcertante: a fronte di un movimento abbastanza marginale dell’inflazione, tassi e valute non stanno mostrando particolare ottimismo e le materie prime sono addirittura più basse mentre i soli mercati azionari hanno festeggiato.
Chi sono i vincitori sul mercato del cosidetto “reflation trade”?
Appurato che sono state le azioni l’asset class vincente del dopo Trump, vediamo a livello di settori e titoli quali sono i migliori performer.
Performance di indici e settori Europa, USA e Italia dalle elezioni USA a oggi – (fonte: Factset)
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L’analisi evidenzia che:

  • I finanziari sono stati di gran lunga i principali beneficiari del “reflation trade” . In questo senso è interessante vedere la correlazione tra il settore bancario europeo ed il rendimento del Bund decennale
  • Il settore oil di gran lunga il peggiore, seguendo la performance modesta del prezzo del petrolio
  • C’è stata una forte divergenza tra i 2 settori più sensibili ai tassi di interesse, ovvero telecom (male) e utilities( bene). Qui riteniamo abbiano contato soprattutto dinamiche specifiche di settore

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