Cina in crisi? Sì, ma non più di due settimane fa…

A cura di Juan Nevado, Team Multi Asset M&G Investments
Quella fra prezzi degli asset e fondamentali è una relazione complessa. L’evidenza e l’intuito suggeriscono che a volte i prezzi oscillano senza un vero motivo. Ma anche noi che crediamo nella finanza comportamentale ci troviamo spesso a corto di spiegazioni di fronte a movimenti come quelli osservati nelle ultime due sessioni di mercato. Stiamo parlando della Cina. Il motivo apparente del crollo azionario è il recente adeguamento dei mezzi di gestione della valuta, che si è tradotto in una svalutazione del nuovo yuan del 3% circa rispetto al dollaro.
Il fenomeno va contestualizzato. Nel 2014 lo yen giapponese ha subito oscillazioni di oltre il 2% in una settimana per ben tre volte e in novembre si è mosso di quasi il 6% senza provocare turbolenze simili sul mercato.
Inoltre, come si vede nella figura, il movimento recente rappresenta solo una parziale inversione di fluttuazioni molto ampie registrate negli ultimi cinque anni. Per un certo tempo il cambio fisso fra yuan e dollaro è servito a contenere la competitività globale della Cina; si noti la tendenza al rialzo della valuta contro un paniere di divise dei principali partner commerciali:
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Di per sé, il movimento dello yuan non sembra sufficiente a giustificare il tracollo delle piazze azionarie e di altre valute asiatiche; si avanzano quindi altre ipotesi. Le più comuni sono intercorrelate:

  1. la valuta scenderà ancora parecchio;
  2. la banca centrale cinese sa qualcosa che noi non sappiamo sulla criticità delle dinamiche di crescita del Paese;
  3. il movimento della valuta potrebbe danneggiare le società cinesi con un debito denominato in valuta estera;
  4. la svalutazione farà scoppiare ‘guerre valutarie’ e provocherà un rallentamento della domanda globale aggregata ‘esportando deflazione’.

Sono tutti argomenti validi?

Che cosa sappiamo già

Il primo argomento sembra ragionevole. Come mostra la figura 2, solo un movimento valutario molto più ampio avrebbe un impatto significativo sulle dinamiche di crescita interna. Inoltre, se la svalutazione rientra in una graduale apertura al mercato, come sostiene la banca centrale, non si possono escludere ulteriori pressioni sullo yuan.
In merito al secondo punto, il rallentamento dell’economia cinese non è certo una novità. Ne abbiamo già parlato (qui), sottolineando le conseguenti possibili pressioni sulla valuta nazionale. Benché gli indicatori ufficiali puntino a una crescita relativamente robusta (+7% a/a), molti economisti indipendenti sono scettici. Il grafico sotto a destra mostra la differenza fra i valori ufficiali degli indici PMI e il parametro indipendente più diffuso. Dati inferiori a 50 lasciano presagire una contrazione, non la crescita.
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Incongruenze come questa e altre statistiche (ad esempio la debolezza dei principali partner commerciali della Cina, quali Taiwan, Thailandia e Corea) hanno indotto i più a prendere i dati ufficiali con un pizzico di diffidenza, a dir poco.
Non dovrebbe quindi sorprendere l’idea che i dati ufficiali dipingano un quadro migliore della realtà. Si sentiva dire spesso che la svalutazione era nell’aria ed è strano che quando finalmente è arrivata siano diventati tutti più pessimisti.
Allo stesso modo, il problema delle società cinesi con un debito in valuta estera era ben noto agli investitori come uno dei fattori scatenanti della crisi asiatica di fine anni 1990. In febbraio, l’FT riportava un’analisi della Banca dei Regolamenti Internazionali secondo cui il debito in valuta estera rappresentava meno del 4% del totale.
Ma soprattutto, i tentativi di far fronte ai più ampi rischi sistemici come lo shadow banking e l’indebitamento generale dimostrano che anche i politici hanno ben presente la questione. Saranno capaci di scongiurare la minaccia? Forse no, ma – lo ribadiamo – nulla indica che ora abbiano meno probabilità di successo rispetto a una settimana fa.

Guerre valutarie

Quanto alle ‘guerre valutarie’, la debolezza della crescita e la revisione al ribasso delle previsioni per tutta l’Asia sono un dato di fatto:
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