Columbia Threadneedle: “Ecco perchè riduciamo l’esposizione azionaria”

di Mark Burgess, Responsabile azionario globale di Columbia Threadneedle Investments

E’ giustificato il recupero delle borse dopo Brexit? Uno degli eventi più significativi dall’inizio del 2016 è il voto a favore dell’uscita del Regno Unito dall’Unione europea: una decisione che ha generato un’enorme incertezza, sia a livello politico che in seno all’economia britannica. Il FTSE 100 ha messo a segno un rialzo, in parte grazie all’estrema debolezza della sterlina, che ha dato impulso alle previsioni sui profitti per l’effetto di conversione valutaria; ma anche il FTSE 250, dopo una correzione iniziale, ha recuperato terreno.

A mio avviso vi sono alcuni altri fattori alla base di questi rally. Gli sviluppi nel panorama politico sono stati decisamente imprevedibili, ma il fatto che adesso conosciamo l’identità del nuovo premier britannico – e che Theresa May abbia assunto l’incarico molto prima del previsto – è senz’altro un tonico per i mercati nell’immediato e ha contribuito a ripristinare la fiducia degli investitori.

Tuttavia viviamo in una congiuntura straordinaria, nella quale gli energici interventi delle banche centrali hanno una profonda influenza sui mercati. Con l’intensificarsi dei rischi macroeconomici gli istituti di emissione hanno aperto i rubinetti e fornito liquidità ai mercati obbligazionari, dove i rendimenti core sono crollati. A fronte di questi interventi senza precedenti, si ha la percezione che i rendimenti dei titoli core potrebbero diminuire ulteriormente, e ciò costringe gli investitori a ricercare rendimento ovunque riescano a trovarlo, il che contribuisce a sostenere gli asset rischiosi.

Non è chiaro quando questa situazione potrebbe terminare. Le autorità monetarie agiscono in risposta alle spinte deflazionistiche globali che premono sul sistema, abbinate all’incapacità dei governi di varare programmi di spesa o attuare riforme strutturali, ed è difficile intravedere un cambiamento futuro di tali fattori. Chiaramente, a fronte di una crescita anemica e dell’abbondanza di QE nel mondo sviluppato, negli ultimi anni gli investitori hanno scoperto di non avere molte alternative alle azioni.

A un certo punto i rendimenti torneranno ad aumentare, ma tale rialzo potrebbe non essere imminente, in quanto le banche centrali si sforzeranno di mantenere i rendimenti contenuti per stimolare la crescita. Ciò, a sua volta, potrebbe deprimere la redditività delle banche, che potrebbero essere meno inclini in tal caso a generare credito, pregiudicando la crescita economica. Nonostante questo, con il calo dei rendimenti dei Gilt ci troviamo in una situazione in cui le azioni britanniche rendono il quadruplo rispetto ai titoli di Stato decennali. Non c’è da stupirsi, dunque, che gli investitori alla ricerca di un rendimento nominale rivolgano l’attenzione agli asset rischiosi.

Chiaramente, però, questo rally appare ingiustificato e non supportato dai fondamentali. Nel processo di separazione dall’UE l’economia britannica andrà incontro nei prossimi anni a numerosi ostacoli, che freneranno verosimilmente l’attività economica nel Regno Unito e indeboliranno i profitti delle aziende nazionali.

Tuttavia, a un certo punto bisognerà contemplare le possibili ricadute sull’economia globale del risultato delle elezioni statunitensi, mentre nell’Unione europea potrebbero ancora registrarsi dissapori e conflitti. Siamo inoltre consci dell’onere debitorio globale e della capacità inutilizzata presente nell’economia mondiale, e particolarmente consapevoli dei livelli allarmanti dei prestiti in sofferenza nel sistema bancario italiano, nonché dei tentativi di ribilanciamento economico in atto in Cina.

Posizionamento del portafoglio In questo contesto di rischi globali crescenti – che non sembra certo favorevole a un andamento positivo delle azioni – abbiamo deciso di riportare a livello neutrale l’esposizione azionaria dei nostri portafogli di asset allocation, dopo aver privilegiato l’asset class per oltre cinque anni.

Nello specifico, abbiamo ridotto da sovraponderata a neutrale l’esposizione in Europa (Regno Unito escluso), Regno Unito e Asia (Giappone escluso); l’abbiamo per contro incrementata da neutrale a sovrappesata negli Stati Uniti e nei mercati emergenti, due aree che appaiono più lontane dall’occhio del ciclone. Manteniamo inoltre un modesto sovrappeso sul Giappone.

In Europa, il voto a favore dell’uscita dall’UE ha di fatto costituito uno stress test sulle banche del continente, i cui profitti e la cui situazione patrimoniale erano già fragili. Ma nonostante i ragionevoli progressi compiuti dall’area euro negli ultimi trimestri (aumento dei salari e dei consumi, ripresa degli investimenti e allentamento delle misure di austerità), questi indicatori devono continuare a crescere nonostante le pressioni derivanti dalla Brexit. In effetti, il principale indicatore anticipatore della crescita economica – l’offerta di moneta – inizia di nuovo a decelerare, mente gli avanzi delle partite correnti si confermano ampi e il debito non finanziario rimane molto elevato.

Sebbene in termini di rendimento totale in dollari le azioni europee siano a quota -29% rispetto al picco raggiunto prima della crisi finanziaria globale, ravvisiamo rischi per l’espansione degli utili nel contesto della politica monetaria della BCE e dei problemi del sistema bancario italiano.

Al contempo in Giappone l’economia evidenzia uno scarso dinamismo, poiché il paese stenta a superare gli ostacoli rappresentati da una deflazione pluridecennale e da tendenze demografiche avverse. Ciò detto, in seguito alla riforma della corporate governance le società nipponiche prestano crescente attenzione alla redditività del capitale impiegato, agli utili e ai propri azionisti, con effetti positivi per l’economia in un’ottica di medio termine.

A livello globale occorrono riforme strutturali in molte parti del mondo per far ripartire la crescita, ma tali misure comportano difficoltà di attuazione, soprattutto nell’attuale contesto macroeconomico.

Diversi fattori negativi a livello macro incideranno anche sul credito europeo. Il sistema bancario e l’evoluzione del quadro normativo in Europa continuano a destare apprensioni, ma l’ulteriore stimolo monetario e l’offerta ridotta di obbligazioni societarie sui mercati europei alimentano una domanda sostenuta di titoli high yield. L’alto rendimento europeo presenta inoltre caratteristiche più difensive rispetto alle azioni e offre migliori rendimenti corretti per il rischio con una bassa duration. Vediamo pertanto con favore il segmento high yield europeo, ma manteniamo un’esposizione neutrale al credito.

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