I nazionalismi spingono rublo e sterlina

A cura di Yann Quelenn e Arnaud Masset, analisti di  Swissquote
 
Dopo otto giorni di calo continuo (e in cui è oscillato da 63,5 a 66 rubli per dollaro) la moneta russa pare aver finalmente arrestato il suo declino. Di converso, per quanto di breve durata, il rally azionario della Borsa di Mosca finora ha certamente beneficiato della vittoria di Donald Trump alle Presidenziali americane. L’elezione del tycoon potrebbe infatti aver provocato una trasformazione dello status quo del rublo rendendolo un’opzione molto attraente agli occhi degli investitori.
Infatti il carry trade che è stato costruito sul rublo ha assunto delle dimensioni significative specie se si considera che  si tratta pur sempre di una moneta non correlata con i tassi americani. I dubbi e i timori di mercato circa le prossime mosse di Trump potrebbero infatti confermare questo interesse per la divisa russa. Siamo infatti convinti che la banca centrale di Mosca manterrà i tassi invariati al 10% il prossimo 16 dicembre soprattutto in virtù del fatto che i fondamentali dell’economia volgono tutt’altro che al bello: il prezzo del petrolio è ritornato vicino a 40 dollari al barile, le vendite al dettaglio non arrestano la loro emorragia (il calo annuale è del 3,6%) e anche la produzione industriale sembra mostrare segnali preoccupanti.
Le speranze ripongono tutte sulla nuova Presidenza americana: si stima che una volta insediatosi alla Casa Bianca, Donald Trump alleggerirà le sanzioni commerciali imposte alla Russia, pertanto il nuovo corso statunitense rappresenta senza ombra di dubbio un’ottima notizia per il Paese di Putin in quanto la moneta debole non farà che accelerarne le esportazioni.La domanda aperta dunque rimane quale potrebbe essere la risposta dell’Europa rispetto all’inversione a U degli Stati Uniti e quali saranno le risposte politiche che potrebbe trovare.
Come ci si poteva aspettare, l’onda lunga dei fatti americani ha trovato sponda nell’andamento della sterlina che è l’unica valuta tra quelle comprese nel G10 ad aver guadagnato nei confronti del dollaro, avvantaggiandosi della debolezza dell’euro che va ingigantendosi di pari passo con l’esplosione dei rischi politici che caratterizzeranno i prossimi mesi. Infatti la Brexit ha aperto uno squarcio nell’Unione mettendone in discussione la sua stessa esistenza, specie se si considera la forza che stanno assumendo nei vari Paesi i fondamentalisti nazionalisti e populisti.
L’accentuazione di questo rischio politico non può che infierire sulla moneta unica e i prossimi tredici mesi rappresenteranno un campo minato per testare la tenuta dell’Unione che dovrà affrontare referendum italiano, elezioni in Spagna, Francia, Olanda e Germania. Il mercato non sta che anticipando la sua visione pessimistica su quelli che potrebbero essere i prossimi sviluppi politici per l’Eurozona, specie ora che si stanno concretizzando aspettative di inflazione al di là dell’Atlantico.
Pertanto, il fatto che il Regno Unito si stia distanziando dall’Unione gioca a favore della sterlina, almeno nel breve termine. A lungo le cose potrebbero andare diversamente in quanto tutto dipenderà dai nuovi termini di relazione che verranno impostati tra Gran Bretagna ed Unione Europea

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