Il barile si attacca a Trump e all’Opec

A cura di Morningstar

Donald Trump e l’Opec possono essere la coppia più bella del mondo. Almeno per chi spera che la ripresa dei corsi del barile che si è vista quest’anno continui anche nel 2017. Il presidente eletto degli Stati Uniti fra i punti principali del suo programma ha messo un maggiore utilizzo dell’oro nero. Il cartello dei produttori, intanto, nei giorni scorsi ha trovato un accordo per ridurre l’estrazione giornaliera di 1,2 milioni di barili. Si tratta del primo taglio dal 2008 che, fra le altre cose, mette fine alla strategia di inondare il mercato per cercare di allontanare i paesi che hanno costi di produzione più alti. Anche la Russia sembra intenzionata a tagliare la propria estrazione e sono in corso discussioni con altri stati esterni all’Organizzazione.

“Il comparto energetico è uno di quelli che più ha fatto notizia quest’anno, anche grazie ai segnali di recupero che ha mandato dopo la discesa dei prezzi iniziata nel 2014”, spiega Fatima Khizou, analista di Morningstar. “La ripresa è dovuta a diversi fattori, sia legati all’offerta che alla domanda e gli investitori con cui abbiamo parlato sono ottimisti sulla corsa delle quotazioni”.

Gli oleodotti di Trump
Sul fronte americano l’elezione del 45esimo presidente sembra aver rimescolato le carte nel comparto petrolifero che negli ultimi anni aveva sofferto anche a causa delle politiche ambientaliste dell’amministrazione democratica. A essere interessato dal nuovo corso non sarà solo il segmento estrattivo (con un maggiore utilizzo dello shale oil) ma anche quello del trasporto dell’oro nero. “Mentre alcuni commentatori si sono soffermati su come abbia vinto Trump, a noi ha incuriosito dove ha avuto successo e chi lo ha aiutato”, spiega Massimo Siano, Head of Southern Europe di ETF Securities. “Abbiamo spulciato i contributi elettorali delle società infrastrutturali che fanno oleodotti e gasdotti e siamo giunti alla conclusione che queste imprese hanno finanziato i candidati repubblicani che hanno vinto negli stati centrali (e che rappresentano la maggioranza anche al Congresso, Ndr). Questi politici, quindi, se vorranno rivincere (nelle elezioni di medio termine che si terranno dopo due anni di mandato, Ndr) dovranno investire in infrastrutture energetiche nei loro territori”.

Il barile guarda anche l’Opec
Per quanto riguarda il prezzo del barile la situazione è un po’ più complessa. Negli ultimi sei mesi le scorte di petrolio sono state stagnanti o sono diminuite, puntando ad un equilibrio tra domanda e offerta. Il previsto taglio della produzione da parte dell’Opec si tradurrà in un deficit di offerta all’inizio dell’anno prossimo, che porterà ad una diminuzione delle scorte e ad un aumento dei prezzi. Alcuni membri del cartello, tra l’altro, sono alle prese con problemi di natura geopolitica ed economica. Se da un lato, un accordo sul taglio della produzione di greggio testimonia l’impegno dell’Organizzazione nel garantire un mercato in equilibrio e, di conseguenza, un miglioramento dei prezzi, dall’altro gli obiettivi dovranno essere rigorosamente rispettati: non solo per assicurare un rapido ribilanciamento del mercato, ma anche per mantenere intatta la credibilità del cartello.

Per quanto riguarda le quotazioni del petrolio, secondo le previsioni di Peter Simko, direttore della ricerca sugli energy di Morningstar, il barile Brent viaggerà intorno ai 50 dollari nel 2017, mentre il Wti si attesterà intorno ai 51 dollari. Lo scatto vero avverrà l’anno seguente quando le due qualità di oil raggiungeranno, rispettivamente, i 68 e i 65 dollari al barile. “Queste stime, tuttavia potrebbero cambiare se gli Usa riuscissero a immettere più materia prima sul mercato mondiale”, spiega l’analista. “Non dimentichiamo, tuttavia, che quotazioni più alte fanno comodo anche ai conti degli estrattori americani”.

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