Il libro che sta conquistando la Francia. Économie du Bien Commun. Una recensione

A cura di Charles de Quinsonas, M&G Investments
Durante il mio tempo libero nel mese di agosto ho letto un libro che ha riscosso grande successo nell’ambiente politico ed economico francese (no, non si tratta di “Capital” di Thomas Piketty). L’economista Jean Tirole, insignito del premio nobel, è l’autore di un libro dal titolo “Économie du Bien Commun” (o “economia del bene comune”). Il libro è scritto in un linguaggio semplice e punta a rivolgersi a un vasto pubblico, inclusi lettori con una conoscenza molto ridotta dell’economia. È scorrevole e, in 17 capitoli e oltre 600 pagine, Tirole affronta praticamente ogni questione attuale relativa all’economia francese, dal cambiamento climatico e le sfide dell’Unione europea all’economia digitale.
A mio avviso, la parte più interessante del libro è quella relativa alla visione chiara che Tirole possiede sul mercato del lavoro francese. La sicurezza nazionale e la disoccupazione saranno i due temi chiave delle elezioni presidenziali francesi previste nel maggio del prossimo anno. La prima è evidentemente emersa a causa dei feroci attacchi terroristici di cui è stato preda il paese negli ultimi due anni. La disoccupazione, invece, rappresenta un problema strutturale da oltre 40 anni.
Tirole non usa mezzi termini, sostenendo che il tasso di disoccupazione storicamente elevato della Francia non sia il risultato degli impatti negativi dell’economia di mercato globale (una spiegazione comune e comoda fornita dai politici francesi) ma piuttosto una scelta che la società ha deciso di compiere per porre in essere un mercato del lavoro molto rigido. Consapevole che il numero di disoccupati continuasse a salire, il governo francese ha deciso di creare contratti flessibili a tempo determinato (noti in Francia come CDD) e numerosi posti sovvenzionati, piuttosto che aggiungere un certo livello di flessibilità ai contratti a tempo indeterminato estremamente rigidi (noti come CDI) e abbassare il notevole onere dei contributi di natura previdenziale gravante sugli impiegati. I numeri parlano chiaro: nel 2013, l’85% degli impieghi creati era rappresentato da contratti a tempo determinato. Inoltre, il 77% delle cessazioni totali di impiego sono state relative a questi contratti.
In realtà, un contratto a tempo determinato non soddisfa né i dipendenti né i datori di lavoro. Ai primi viene offerta scarsa protezione. I datori non sono inclini a rinnovare un contratto a tempo determinato in quanto, ai sensi della legge francese, esso viene automaticamente convertito in contratto a tempo indeterminato. Pertanto, Tirole raccomanda di introdurre maggiore flessibilità nei contratti a tempo indeterminato per incentivare le imprese francesi ad assumere più dipendenti con contratti permanenti e pertanto a promuovere “lavori migliori” rispetto a contratti a tempo determinato e precari.
Tirole mette inoltre in discussione la situazione attuale in Francia, in base alla quale un’impresa che licenzia un dipendente deve corrispondergli un indennizzo per la cessazione del rapporto di lavoro ma non deve subire direttamente il costo (piuttosto elevato) dei sussidi di disoccupazione che l’individuo riceverà durante la sua mancanza di impiego e che viene finanziato dal sistema di previdenza sociale. Attualmente, i sussidi di disoccupazione sono sovvenzionati attraverso i contributi dei dipendenti e dei datori di lavoro (e anche attraverso il mercato obbligazionario).
Pertanto, quando un’azienda decide di licenziare un dipendente, ciò ha un impatto negativo sia sul dipendente stesso (finanziariamente, psicologicamente, socialmente) che sulla previdenza sociale. Tirole introduce quindi lo stesso concetto di “chi inquina paga” con i licenziamenti, nel senso che a suo avviso dovrebbe essere compito della compagnia non solo quello di corrispondere al dipendente un indennizzo per la cessazione del rapporto di lavoro ma anche quello di contribuire al costo dei sussidi di disoccupazione corrisposti dalla previdenza sociale durante la disoccupazione stessa. Aggiunge che la disposizione sarebbe fiscalmente neutrale per le imprese nel complesso in quanto la sanzione sarebbe compensata dai bonus per altre compagnie (attraverso contributi previdenziali ridotti).
Per finire, Tirole riconosce che non sta a un economista determinare se le persone dovrebbero lavorare 35, 18 o 45 ore a settimana. Nonostante ciò, spazza via con decisione la tesi secondo la quale la riduzione dell’orario di lavoro creerebbe più impieghi (descrivendola come una “finta soluzione” non sorretta da alcuna evidenza teorica o empirica). Indubbiamente gli oppositori di uno dei principali sindacati francesi che sostengono una settimana lavorativa di 32 ore (rispetto alle attuali 35) citeranno Tirole.
Spero che l’autorevolezza economica del vincitore del premio Nobel 2014 possa offrire spunti di riflessione ai candidati alle elezioni presidenziali francesi. In passato, Thomas Piketty fece da consulente alla candidata del partito socialista Ségolène Royal durante la campagna delle elezioni presidenziali del 2007. La sua idea di un sistema fiscale semplificato era molto interessante e fortemente necessaria. Tuttavia, la signora Royal perse le elezioni contro Nicola Sarkozy e da allora non è stata introdotta alcuna misura di semplificazione per il sistema fiscale. Speriamo che il buon senso di Jean Tirole per quel che riguarda il mercato del lavoro sia preso in considerazione dal prossimo presidente francese. Potrebbe giocare a favore del bene comune.

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