Il ritorno della selezione dei titoli

a cura di Joseph V. Amato, President and Chief Investment Officer–Equities Neuberger Bergman

Negli ultimi mesi abbiamo notato un ritorno verso la situazione economica e di mercato, soprannominata in inglese “Goldilocks”, fatta di crescita lenta ma stabile, bassa inflazione, bassi tassi e bassa volatilità di mercato che caratterizzava l’era pre-Trump.

Le small cap stanno facendo peggio delle large cap, i titoli value stanno facendo peggio dei growth e il rendimento dei Treasury decennali si avvicina sempre di più alla soglia del 2%.

Tutto ricorda il 2015 – con un’importante differenza.

La selezione dei titoli rende

I gestori attivi stanno sovraperformando. Secondo i dati di Morningstar, nel 2016 solo il 26% dei fondi azionari statunitensi attivi ha fatto meglio del rispettivo benchmark passivo. Nei 12 mesi terminati a luglio 2017, invece, a fare meglio è stato il 49%. Anche gli hedge fund azionari long/short stanno vivendo un anno eccellente. E questi risultati sono al netto di qualsiasi commissione e di tutti i costi di transazione.

Una delle ragioni per cui ora la selezione dei titoli sta assumendo più importanza per gli investitori è che la correlazione tra i titoli è crollata. Nell’S&P 500, ad esempio, la correlazione è passata da quasi il 70% all’inizio del 2016 a meno del 30% oggi. Nonostante la volatilità a livello di mercato sia molto bassa, la volatilità a livello di singolo titolo è relativamente alta con rotazioni settoriali importanti.

A nostro avviso, la ragione principale alla base di questo comportamento dei mercati azionari è che, per la prima volta dalla crisi finanziaria, il processo di allocazione dei capitali è guidato da fattori specifici di ciascuna società, anziché dai fattori macroecnomici che hanno prevalso negli ultimi anni e dall’estremo approccio “risk-on, risk-off” adottato dagli investitori per affrontare tale contesto.

I risultati sono venuti alla luce grazie a importanti extrarendimenti ottenuti rispetto ai vari benchmark di mercato negli ultimi mesi, un puntuale richiamo del fatto che, nonostante per molti mesi sia stata annunciata la fine della gestione attiva a fronte di un afflusso di fondi apparentemente inarrestabile verso veicoli passivi, questi trend nella performance sono stati ciclici e non strutturali.

Un lungo ciclo favorevole ai veicoli passivi

Quanto spesso ci è capitato di sentir dire che il modello della gestione attiva era ormai superato o, al massimo, in grado di sovraperformare solamente nei mercati ribassisti, oppure basato sui premi sistematici pagati ai possessori di titoli small cap o value? La recente sovraperformance di una quota sempre maggiore di gestori a fronte di un lungo mercato rialzista alimentato da titoli growth large cap depone a favore dell’idea secondo cui i selettori di titoli di maggior talento possono sovraperformare in tante condizioni diverse, fintanto che il resto del mercato ha la volontà di allocare il capitale in base a indicatori fondamentali a livello di singola società.

Detto questo, il recente lungo ciclo favorevole ai veicoli passivi è comprensibile considerati i rischi a livello macro che incombono sui mercati fin dalla crisi finanziaria: dalla minaccia all’integrità dell’euro, alla politica sul tetto al debito statunitense, al “rumore di sottofondo” costante rappresentato da allentamento quantitativo e tassi d’interesse a zero.

Per quanto queste dinamiche non siano scomparse del tutto, arriva sempre il momento in cui una massa critica di partecipanti al mercato finisce per essere assuefatta e cerca informazioni altrove. Negli ultimi 12 mesi potremmo aver passato tale soglia, con le banche centrali che hanno iniziato a parlare di una riduzione dei loro bilanci e il risveglio degli “spiriti animali” nel management delle società di tutto il mondo.

Punto di svolta

Se è così, questo potrebbe essere uno di quei punti di svolta che ci ricordano che i semi della sovraperformance dei gestori attivi possono essere piantati quando il mercato alloca il capitale senza tenere conto delle caratteristiche specifiche delle società e dei temi economici fondamentali. Ci ricordano inoltre che, tra le convincenti ragioni per investire solo una parte del portafoglio passivamente, c’è anche la flessibilità di assumere un vero rischio attivo altrove, con strategie che presentano elevati livelli di partecipazione nel capitale sociale delle società e puntano forte su singoli titoli.

Abbandonare la gestione attiva può significare perdere l’opportunità di generare extrarendimenti, come ha dimostrato il ritorno dei selezionatori di titoli negli ultimi nove mesi.

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