Il vostro portafoglio è ben posizionato per resistere all’aumento dei prezzi e dei tassi?

A cura di Neuberger Bergman

A gennaio l’inflazione, e tutto ciò che è collegato ad un aumento dei tassi, ha seguito furtiva le mosse dei mercati. E come qualsiasi animale minacciato da un predatore, anche i mercati si sono innervositi comportandosi in modo imprevedibile.

Il tasso d’inflazione di breakeven statunitense, vale a dire la differenza tra i rendimenti dei titoli di Stato indicizzati all’inflazione (TIPS o Treasury Inflation Protected Securities) e le obbligazioni non indicizzate, è salito da 180 punti base a oltre 200 nel solo mese di gennaio. I Treasury USA hanno vissuto il mese peggiore da più di un anno a questa parte, proseguendo la corsa al ribasso anche quando la settimana scorsa le azioni sono state colpite da un’ondata di vendite.

Il mercato avrebbe dovuto essere pronto a una simile eventualità. Nel 2016 e 2017, il prezzo del petrolio è aumentato quasi del 90%. L’anno scorso i prezzi del settore manifatturiero in Cina hanno registrato un’impennata. L’output gap degli Stati Uniti si è ridotto ed è da otto anni consecutivi che il paese crea posti di lavoro. E sebbene i salari medi sembrino mantenersi invariati, quelli più bassi sono cresciuti di oltre il 3% nel 2017. Venerdì, la crescita del salario medio orario ha chiuso molto al di sopra delle attese.

In breve, tutto lascia presagire che nel 2018 si dovrebbe concretizzare un contesto più votato all’inflazione. La Federal Reserve lo ha confermato la settimana passata e lo stesso hanno fatto i partecipanti della nostra conferenza “Solving for 2018” a Londra, i quali hanno segnalato l’inflazione e l’aumento dei tassi quale rischio principale per l’anno in corso. Si tratta di un punto di vista sia esplicito che implicito nell’ultimo numero dell’Asset Allocation Committee Outlook.

Tuttavia, è da cinque anni che l’inflazione non centra l’obiettivo e che i rendimenti obbligazionari soffrono. Sono molti gli operatori che non hanno mai visto l’inflazione del mondo sviluppato mantenersi per periodi prolungati al di sopra del 3%. Può darsi che gli investitori abbiano perso la loro “memoria muscolare” per sapersi posizionare correttamente in un simile contesto. Ma la memoria muscolare è indispensabile per chi è minacciato da movimenti furtivi.

La tendenza sottostante

Al momento, l’inflazione è ancora un fruscio nel sottobosco. Per intenderci, ad eccezione della Francia i dati relativi all’inflazione dei prezzi al consumo dell’Eurozona sono risultati inferiori alle aspettative. L’inflazione è penalizzata anche da forze strutturali, come ha spiegato Joe Amato in occasione della recente conferenza “Solving for 2018” di Londra: Walmart, un enorme datore di lavoro con una spesa per gli stipendi in crescita, difficilmente aumenterà i prezzi fintanto che sarà impegnata a lottare con Amazon per accaparrarsi i dollari dei consumatori.

Nondimeno, riteniamo che la tendenza sottostante sia inequivocabile e importante per la maggioranza degli investitori che detengono passività legate all’inflazione o che desiderano preservare il potere di acquisto dei loro attivi. Anche chi si focalizza esclusivamente sul rendimento degli attivi non deve dimenticare che quando i prezzi salgono alcuni investimenti tendono a registrare buone performance mentre altri hanno performance estremamente insoddisfacenti.

Mitigare i ribassi, catturare i rialzi

Nell’ultimo AAC Outlook abbiamo parlato di alcune idee per riposizionare i portafogli.

Uno dei fattori più importanti da tenere in considerazione è la sensibilità del portafoglio ai tassi di interesse o “duration”. Gli investitori con una duration lunga potrebbero valutare la possibilità di ridurla mentre gli investitori che attualmente traggono vantaggio da un appiattimento della curva dei rendimenti potrebbero posizionare il portafoglio a favore di una curva più ripida. Le pressioni inflazionistiche sui tassi di interesse potrebbero portare ad una volatilità di mercato più diffusa che abbiamo avuto l’occasione di intravedere la settimana scorsa. Con il passare dei mesi potrebbe quindi aver senso adottare esposizioni azionarie e obbligazionarie a minor rischio.

Così facendo si potrebbe contribuire a limitare il rischio di ribasso. Per cercare comunque di catturare i rialzi, gli investitori potrebbero valutare la possibilità di sostituire alcune posizioni in obbligazioni a tasso fisso con strategie obbligazionarie globali indicizzate all’inflazione, come i TIPS, che secondo noi offrono tuttora rendimenti reali interessanti. Le materie prime e le azioni del settore energetico hanno tendenzialmente beneficiato di un aumento dei prezzi, non da ultimo perché le materie prime influenzano molti di quei prezzi.

Nei mercati emergenti vi sono numerosi produttori di materie prime. Ed è anche vero che nel complesso è il mondo emergente ad aver tratto maggiori vantaggi dall’accelerazione degli scambi commerciali, della crescita e dell’inflazione globale. Il debito, le azioni e le valute dei mercati emergenti possono essere componenti importanti di un portafoglio sensibile all’inflazione e sono tuttora disponibili a valutazioni interessanti.

Molto di quanto stiamo dicendo non è nulla di nuovo. Questi asset sono stati dimenticati per qualche tempo, ma quando l’inflazione del mondo emergente era relativamente alta e quella del mondo sviluppato raggiungeva gli obiettivi fissati, facevano parte di numerosi portafogli. Crediamo che gli investitori potrebbero aver bisogno di recuperare quella memoria muscolare: il nervosismo di gennaio potrebbe anticipare un contesto in cui l’inflazione salirà sopra al livello obiettivo e i tassi di interesse aumenteranno invece di calare.

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