La Cina manda le Borse in rosso: i sei errori da evitare

A cura di Raffaele Zenti, Advise Only
Lo Shanghai Composite Index ha più che eroso tutti i guadagni maturati da inizio anno, l’indice azionario europeo Euro Stoxx 50 è vicinissimo a farlo, mentre da gennaio l’S&P500 ha perso oltre l’8%, l’indice di volatilità VIX ha visto il più grande incremento in pochi giorni della sua storia e le commodities sono ai minimi degli ultimi 16 anni (con il prezzo del petrolio sotto i 40 dollari al barile per la prima volta dal 2007).
A far tremare i mercati sono principalmente le fumose prospettive economiche della Cina, che gettano ombre sulla crescita economica mondiale. Non giovano peraltro l’incertezza sulle future mosse della FED e la sempre traballante Grecia, alle prese con le dimissioni del premier Alexis Tsipras e le elezioni anticipate in settembre.
Normale che a molti risparmiatori venga la tremarella. Vale allora la pena inspirare profondamente e riflettere, evitando passi falsi. Ecco 6 errori da evitare assolutamente.

1) Ignorare i fatti

Non fatevi travolgere dalle chiacchere: guardate i fatti.
Le obbligazioni governative dei Paesi considerati più sicuri (Stati Uniti, Giappone, Germania) hanno rendimenti storicamente bassissimi. Perciò, in media, gli operatori (in primis i fondi pensione dei Paesi Sviluppati, in cronico deficit dovuto a trend demografici ed economici secolari) guadagnano poco dagli investimenti a reddito fisso e hanno l’impellente necessità di investire in attivi auspicabilmente più redditizi. La spinta a investire in azioni è quindi forte. E le valutazioni delle azioni nel mondo non sono poi malaccio, bastano pochi numeri per rendersene conto:

  • il P/E di Grahm & Dodd dei Paesi Sviluppati (media aritmetica semplice di Europa, USA e Giappone) è oggi pari a 20, contro una media storica di 29 (più basso è il P/E, più sono convenienti le azioni a parità d’altre condizioni);
  • il rapporto Price/Book value del medesimo aggregato è 1,7, mentre la media storica è 2 (e più il Price/Book è basso, più si possono considerare convenienti le azioni);
  • il Dividend Yield è 2,7% all’anno, rispetto ad una media storica del 2%; in particolare, in Europa, il Dividend Yield è oggi pari a 3,9%, mentre il rendimento del Bund è pari a un asfittico 0,64% annuo – dunque abbiamo un ghiotto 3% di differenza tra dividendi e ritorni obbligazionari.

La volatilità implicita nei prezzi delle opzioni in questi giorni è arrivata al 40% negli USA (indice VIX), ma in Europa (indice VDAX) non ha superato il 24%. Tenete presente che durante la crisi Lehman, il VIX ha superato l’80% – guardate il grafico per avere una prospettiva storica del fenomeno.
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