La Fed passa la mano

Era il 16 dicembre 2008 e il costo del dollaro venne spostato al livello che poi sarebbe stato registrato come il minimo storico più lungo per la Banca Centrale statunitense cioè tra lo 0% e lo 0,25%.

Le decisioni di ieri  Il numero uno della Fed ha confermato che la Cina è in rallentamento, che l’Europa ha ancora difficoltà strutturali, l’economia Usa cresce ma… i tassi restano fermi.
Come pronosticato. A questo punto la domanda resta: settembre? E la risposta continua a restare altrettanto aperta: forse. Si perchè la prossima conferenza stampa tenuta da Janet Yellen sarà il 16-17 settembre quando, qualora qualcosa si dovesse fare, potrebbe essere dato l’annuncio.

La paura per Pechino Partiamo dalla Cina: l’atterraggio dell’economia cinese dopo il volo quasi trentennale che ne ha caratterizzato il boom, potrebbe essere più duro del previsto non solo per Pechino ma anche e soprattutto per il resto dell’economia del continente asiatico.
I punti interrogativi e i salti nel buio non piacciono alla Fed che, davanti a un eventuale coinvolgimento dell’economia Usa, non avrebbe ulteriori armi da utilizzare a sua difesa avendole ormai già sperimentate tutte. Quindi meglio forse attendere se non altro una stabilizzazione della situazione in atto.

Le scelte di Washington Da quando sono stati presi i primi provvedimenti per riuscire a contrastare i problemi derivanti dallo scoppio della crisi il tasso di disoccupazione è sceso con una velocità notevole riuscendo a lambire il 5,3%.
Ma questo è un dato la cui interpretazione può risultare ingannevole: da tempo si sa che andando ad analizzare le singole cifre il numero degli occupati scende ai livelli del 1977 il che fa intuire come non sia in realtà il numero dei senza lavoro a scendere ma sia quello dei potenziali occupati a diminuire, scosso soprattutto da un mancato ricambio generazionale (chi va in pensione non è rimpiazzato da nuove leve) e da un aumento esponenziale dei lavoratori part time o a tempo determinato così come anche quelli che sono costretti ad adattarsi a lavori inferiori alle proprie capacità o ai propri profili.

Inflazione e materie prime C’è poi l’altro indicatore attraverso cui la banca centrale vorrebbe regolarsi per la sua futura decisione, l’inflazione. La crescita dei prezzi è relativamente ferma e le prospettive parlano di un trend che non dovrebbe cambiare nel breve, nessuna spinta infatti arriva dal petrolio, in continuo calo, così come dalle materie prime anch’esse ormai alla fine di quel “superciclo” troppo ottimisticamente definito tale dagli esperti ormai giunto alla fine; così come, ricollegandoci a quanto detto sul mercato del lavoro, anche sul fronte dei salari l’aumento è pressoché minimo.

a cura di Trend Online

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