La “Trumponomics” continua a sostenere i mercati

Di Mark Burgess, Responsabile azionario globale di Columbia Threadneedle Investments

Le attività rischiose stanno evidenziando una straordinaria tenuta e le borse indicano chiaramente che il Presidente Trump giova agli utili societari. I mercati si aspettano dalla nuova amministrazione uno stimolo fiscale, che darà impulso alla redditività e ai profitti aziendali: uno sviluppo positivo per i listini azionari, a parità di tutte le altre condizioni. Ciò comporterà probabilmente un aumento dei tassi d’interesse, data la fase del ciclo economico in cui ci troviamo. Il conseguente rialzo dei rendimenti obbligazionari avrebbe normalmente l’effetto di raffreddare l’economia, ma la ricerca di rendimento a livello internazionale innescata dai programmi globali di quantitative easing (QE) manterrà plausibilmente a freno il mercato dei Treasury USA. Pertanto, mentre gli utili societari registrano una ripresa, difficilmente i rendimenti obbligazionari torneranno a salire, perché gli investitori globali non lo permetteranno.

Ci avviciniamo alle elezioni in Europa, dove gli elettori olandesi e francesi saranno i primi a recarsi alle urne. Questi eventi metteranno in risalto numerose tensioni e divergenze di opinioni, e a seconda dell’esito potrebbero persino esercitare pressioni sul sistema finanziario. Eppure i mercati trasudano ottimismo, nonostante la grande popolarità dei partiti di estrema destra in entrambi i paesi. In caso di sorprese, possiamo aspettarci un’impennata della volatilità degli asset rischiosi per via dell’incertezza riguardo agli sviluppi futuri.

L’economia europea appare ragionevolmente solida, ma si avverte una crescente consapevolezza del fatto che la politica monetaria e specialmente il QE in Europa hanno perso efficacia, nonostante nel 2016 la crescita della regione abbia superato quella degli Stati Uniti. È probabile che l’aumento della crescita e dell’inflazione induca la BCE a credere di poter sollevare il piede dall’acceleratore, e un’eventuale riduzione del QE assumerà un’importanza cruciale nel corso del 2017 e nel 2018.

A occupare i nostri pensieri sono anche le potenziali ripercussioni delle politiche del Presidente Trump. Abbiamo esaminato gli esiti associati alla prevista espansione fiscale e ad un orientamento più restrittivo da parte della Fed, nonché alle politiche migratorie e alle barriere commerciali di Trump. Alla luce di tutto questo, Trump avrà nell’insieme un effetto da neutrale a negativo sulla crescita del PIL, il che significa che in questa fase il mercato sta concedendo al magnate il beneficio del dubbio.

Ma la costante incertezza sulle politiche economiche solleva molti interrogativi ai quali il mercato non è sempre in grado di rispondere. Ci aspettiamo ancora l’adozione di politiche favorevoli alle aziende da parte del governo degli Stati Uniti? Ha ragione il mercato ad essere ottimista su ciò che vede e ciò che sente? La Fed opererà tre o quattro rialzi dei tassi anziché un paio, e quali saranno le implicazioni per i rendimenti obbligazionari? Ci preoccupa anche il potenziale impatto della deducibilità dell’imposta sugli interessi, qualora Trump scegliesse di percorrere questa strada. Pur considerando i tagli dell’aliquota principale, il trattamento della spesa per interessi potrebbe rivelarsi nel complesso sfavorevole. È vero che la redditività delle aziende potrebbe aumentare, ma le riforme fiscali proposte potrebbero incidere negativamente sugli azionisti o sugli obbligazionisti.

Quanto alla Fed, alcuni ritengono che le spinte deflazionistiche globali e il rafforzamento del dollaro contribuiranno a mitigare l’aumento delle pressioni inflazionistiche nel Nord America, ragion per cui un aumento aggressivo dei tassi d’interesse non sarebbe necessariamente inevitabile.

In questo contesto, cerchiamo di non fasciarci la testa. In quanto investitori orientati alla prudenza, siamo consapevoli che l’adozione di politiche pro-crescita è favorevole per le azioni e le attività rischiose più in generale, ma non altrettanto per le obbligazioni.

Posizionamento del portafoglio
Alla luce delle valutazioni e dei fondamentali, nelle ultime settimane abbiamo considerato la situazione nei mercati emergenti e in Giappone (dove abbiamo una significativa sovraesposizione), ma abbiamo deciso di non modificare il nostro posizionamento. In termini generali, nelle economie emergenti il quadro macroeconomico e di policy è in miglioramento, con una riduzione dei disavanzi di conto corrente, un rafforzamento della crescita economica e tendenze positive dei consumi interni, specialmente in India e in Indonesia. Diversamente dall’Europa e dagli Stati Uniti, la politica interna nei paesi emergenti sembra allontanarsi sempre più dal populismo.

Tuttavia, la Cina continua a destare apprensioni. I recenti fattori d’impulso alla crescita (come le vendite di immobili cinesi) sono in via di attenuazione ed è improbabile che questo rallentamento sarà compensato da un aumento sufficiente delle esportazioni. A fronte dell’indebolimento di settori chiave, i consumi interni non sembrano abbastanza robusti da riuscire a sostenere l’economia. In Giappone, sulla scia del deprezzamento dello yen e dell’accelerazione della crescita mondiale, si è registrato un aumento delle valutazioni azionarie che sarà probabilmente seguito da revisioni al rialzo delle stime sugli utili; ci aspettiamo pertanto un’elevata crescita a una cifra dei profitti e un incremento delle distribuzioni agli azionisti da parte delle società giapponesi.

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