Le tre maggiori sfide per il mercato obbligazionario

A cura di Salman Ahmed, Chief Investment Strategist di Lombard Odier Investment Managers

Sono tre, a nostro giudizio, le maggiori sfide per gli investitori obbligazionari per il 2017. Eccole in dettaglio, con le relative implicazioni per la gestione di portafoglio.
1.  Tassi di interesse generalmente bassi/negativi: Il deciso rialzo dei rendimenti obbligazionari guidato dagli Stati Uniti si è propagato a livello globale. Riteniamo tuttavia che le politiche economiche divergenti negli Stati Uniti rispetto al resto del mondo limiteranno le potenziali ricadute sui mercati non Usa. Su questo punto, l’uso efficace del controllo sulla curva dei rendimenti in Giappone può rappresentare un modello da seguire. Crediamo che una simile politica possa essere implementata anche dalla Bce il prossimo anno, dato che la scarsità di asset sarà ancora un tema, nonostante il rialzo dei rendimenti seguito alle elezioni Usa abbia alleviato le pressioni sulla banca centrale europea verso un’estensione di lungo termine del quantitative easing.
2.  Aumento del rischio di mercato: i rischi associati all’estensione della duration messa in atto dagli investitori negli ultimi anni sono stati messi in evidenza dalle dinamiche del mercato obbligazionario americano; l’aumento della volatilità implica che i rischi associati a questo problema saranno ancora sulla scena, soprattutto se vi sarà maggiore incertezza sulla politica monetaria sulla scia dei cambiamenti politici.
3.  Liquidità frammentata: nel periodo immediatamente successivo alla vittoria di Trump, alcune evidenze anedottiche suggeriscono che le condizioni di liquidità in diversi segmenti di molti mercati obbligazionari, in particolare nei mercati emergenti, siano state messe fortemente sotto pressione. In generale, la debolezza strutturale portata dal contesto di bassa liquidità, creata dall’inasprimento normativo e dagli interventi delle banche centrali, è stata sempre più sotto i riflettori nelle ultime settimane.
Implicazioni per i mercati – Restiamo cauti sulla duration
Negli Usa, l’aumentata inclinazione della curva del mercato obbligazionario e il rafforzamento del mercato azionario iniziato dopo le elezioni, insieme a una significativa rotazione tra settori, alla sovraperformance delle small cap e al rafforzamento del dollaro, sono trend logici e coerenti con i precedenti storici, in particolare con il cambiamento di politica all’inizio degli anni ’80, quando Ronald Reagan presentò un forte stimolo fiscale.
La sostenibilità degli attuali movimenti di mercato dipenderà dall’esatta forma/dimensione/portata del piano fiscale di Trump, ma anche dalla reazione della Fed. Riteniamo tuttavia che in questo ciclo i rendimenti obbligazionari globali abbiano già toccato i minimi. Considerando questo contesto e i previsti cambiamenti potenziali nelle politiche monetarie fuori dagli Stati Uniti – inclusa la possibilità che si applichi anche in Europa un controllo sulla curva dei rendimenti –  crediamo che si siano rafforzati gli argomenti a favore di uno spostamento sul rischio di credito rispetto al rischio di duration.
Sul fronte azionario, i titoli Usa sembrano in una posizione migliore rispetto agli omologhi europei, da una parte per la possibilità che nelle elezioni previste per i prossimi 12-18 mesi possano prevalere i voti populisti a danno dell’Unione Europea, che con l’attuale struttura politica non sarebbe in grado di far fronte a uno choc di questo tipo, dall’altra perché gli Stati Uniti possono vantare un policy mix migliore a livello macro.
Guardando ai mercati emergenti, il mutato scenario incide negativamente sul reddito fisso in valuta locale, data la pressione derivante del rafforzamento del dollaro e dall’andamento dei rendimenti obbligazionari Usa. Tuttavia, considerando il continuo miglioramento dei fondamentali nei mercati emergenti, in termini di crescita, profili esterni e forti storie idiosincratiche, come ad esempio accade per l’India (che recentemente ha demonetizzato le banconote di più ampio taglio allo scopo di dare un giro di vite all’economia sommersa e favorire la digitalizzazione), il miglioramento delle valutazioni dovrà essere riesaminato quando si avrà più visibilità sulle politiche di Trump.
Detto questo, le implicazioni per l’outlook sull’azionario dei mercati emergenti sono molto più sfumate e dipendono da altri aspetti della potenziale agenda politica di Trump, in particolare, commercio e immigrazione, dove le nostre aspettative sono relativamente favorevoli, nonostante la retorica che ha caratterizzato la sua campagna elettorale. Su questo fronte, riteniamo che in uno scenario di stagnazione del commercio, dove non siano siglati nuovi accordi commerciali, la domanda interna nei mercati emergenti e la crescita economica acquisiranno importanza sia dal punto di vista della politica economica sia in termini di dinamiche di mercato.

 

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