Mifid II e Rdr a confronto

A cura di Moneyfarm

La MiFID II è finalmente entrata in vigore e tutti si chiedono quali saranno gli effetti più evidenti dell’introduzione della nuova regolamentazione. Se i vantaggi per i risparmiatori, che si troveranno ora a godere di diritti più significativi, sono immediatamente evidenti, più complesso è capire quali saranno le conseguenze della MiFID II sull’industria dei servizi finanziari e quindi sull’offerta di prodotti che i risparmiatori si troveranno di fronte. La questione è pertinente soprattutto nell’Europa continentale, specialmente in Italia, dove il mercato dei servizi finanziari è ancora caratterizzato dalla presenza di una filiera di stampo tradizionale, che fa ampio affidamento sulle reti di distribuzione e vendita. Questo vuol dire che gli standard qualitativi a cui la MiFID II mira sono più lontani che altrove.

La MiFID II mira a rivoluzionare il mercato dei servizi finanziari in modo laterale. Garantendo più diritti agli investitori e regolamentando maggiormente l’attività di case prodotto e intermediari, si punta a migliorare le tutele dei risparmiatori attraverso un meccanismo di mercato. La normativa agisce proprio sull’asimmetria informativa che esiste tra fornitori e fruitori dei servizi finanziari, provando in questo modo a migliorare il livello di competitività nel mercato attraverso la concorrenza. Per capire quale potrebbe essere l’impatto della MiFID II, crediamo che sia interessante svolgere un’analisi comparativa con la Gran Bretagna.

Nel 2012 è entrata in vigore la Retail Distribution Review (RDR), norma che regolava il mercato dei servizi finanziari con lo scopo di garantire ai clienti maggiore chiarezza e migliori standard qualitativi. La riforma ha avuto la sua gestazione nel periodo che ha seguito la crisi finanziaria del 2008. La grande attenzione dell’opinione pubblica sull’industria finanziaria caratteristica di quegli anni aprì una finestra legislativa che permise al legislatore di adottare misure molto incisive. Queste ebbero un discreto successo nell’aiutare il mercato dei servizi finanziari a evolversi secondo le linee guida previste dal legislatore.

La MiFID II ha preso spunto proprio dall’RDR. Per queste ragione, un’analisi retroattiva degli effetti della riforma britannica ci può dare degli indizi utili per capire dove sta andando il mercato.

Che cos’è la RDR?

Il progetto RDR è stato introdotto dalla Financial Service Authority (oggi Financial Conduct Authority, l’autorità di vigilanza britannica) con l’obiettivo di studiare il mercato della distribuzione dei prodotti finanziari nel Regno Unito al fine di individuarne i punti critici e implementare dei cambiamenti. La fase di ricerca si è conclusa con l’adozione di norme che hanno ridisegnato le regole della distribuzione. Le direttive sono state implementate nel 2012 per quanto riguarda i servizi di consulenza e nel 2014 per quanto riguarda le piattaforme.

 Il contesto

Secondo la FCA, prima dell’introduzione della riforma, l’industria del risparmio gestito era caratterizzata:

  • da un livello di competenza e professionalità troppo basso rispetto ad altre industrie;
  • da scarsa trasparenza sia nella comunicazione dei costi, sia nell’illustrazione dei servizi offerti (prima della norma non era chiaro se la consulenza che veniva offerta ai clienti fosse di tipo dipendente o indipendente o una mera attività di vendita);
  • dalla presenza di incentivi avversi per i collocatori e le case prodotto, nel senso che la prospettiva delle commissioni andava a condizionare la scelta. “Il sistema commissionale prevalente” – spiega la FCA – “aveva anche l’effetto di ridurre la trasparenza nella comunicazione dei costi, molti clienti credevano che la consulenza ricevuta fosse gratuita o almeno non comprendevano l’effetto che le commissioni avrebbero avuto sul rendimento del loro investimento.”

Chi è familiare con il mercato dei servizi finanziari italiani non può non notare la somiglianza tra la situazione del Regno Unito pre-RDR e l’attuale contesto italiano.

 Norme a confronto

La RDR fu dunque introdotta per aumentare la concorrenza attraverso una migliore competizione sul prezzo a tutti i livelli della filiera, per rimuovere gli incentivi distorti e il conflitto di interesse e per creare un mercato con soluzioni più efficienti e migliori costi per i clienti finali.

La norma, in molte sue disposizioni, è molto simile alla MiFID II, che ad essa si è esplicitamente ispirata. I campi d’azione della RDR sono principalmente tre e ricalcano quelli della MiFID II.

  • La RDR creava le categorie di consulente finanziario indipendente e non (restricted), e rivedeva la struttura commissionale dei consulenti vietando le commissioni di retrocessione, anche per i consulenti non indipendenti, e chiarificando gli obblighi di comunicazione in capo agli intermediari (in questo campo la RDR ha avuto un’impostazione più stringente della MiFID II, che ancora ammette le retrocessioni per i consulenti non indipendenti a patto che esse vengano dovutamente esplicitate al clienti ex-ante e siano giustificate da un valore aggiunto per il cliente).
  • La norma pose l’obbligo in capo agli intermediari di comunicare con più precisione i termini dell’accordo che prendevano con gli investitori, soprattutto per quanto riguarda la comunicazione dettagliata dei costi.
  • La RDR impose agli intermediari nuovi standard in termini di qualifiche professionali richieste.

Cosa è cambiato

Viste le evidenti similitudini ed essendo ormai passati diversi anni dall’introduzione dell’RDR, andare a vedere cosa è successo in Gran Bretagna potrebbe aiutarci prevedere l’impatto della MiFID II.

  • La RDR ha contribuito a incrementare il livello di professionalità della filiera. A partire dal 2012, circa il 96% dei consulenti aveva completato il processo di adeguamento al livello richiesto dalla normativa (QFC4). Nel 2010 il 22% dei consulenti non possedeva un livello di qualifica coerente con quanto richiesto dalla RDR. A un aumento della qualifica è seguito anche un calo dei professionisti attivi nel settore, che sono scesi dai 50.000 del picco del 2009 ai meno di 30.000 di oggi. Degna di nota è anche la quota di professionisti che ha deciso di qualificarsi oltre gli standard minimi richiesti dalla norma. Il possesso di un livello di qualifica superiore comporta un vantaggio competitivo, in un contesto regolamentare che ha spostato in alto l’asticella delle competenze richieste.
  • La maggiore trasparenza riguardo i costi della consulenza ha portato moltissimi risparmiatori, soprattutto nella parte mass del mercato, a optare per il fai da te o per servizi più automatizzati come le piattaforme digitali. Secondo una ricerca Mintel, dopo l’introduzione della RDR il 44% dei risparmiatori dichiarava che avrebbe optato per il fai da te, un dato in netta crescita dal 2008 ma che ha subito un’ impennata a partire dal 2013, così come le vendite delle piattaforme o di altri modelli di distribuzione più disintermediati. Ad ogni modo la capacità dei risparmiatori di influenzare le scelte di mercato, nonostante un numero maggiore di informazioni, è stata messa pesantemente in discussione.
  • Il divieto delle commissioni ha portato la maggioranza delle compagnie a modificare o almeno ripensare il proprio modello di business. Le aziende hanno aumentato la segmentazione della clientela e la diversificazione dei propri modelli di servizio. Nonostante ciò, non ci sono evidenze che l’offerta di consulenza finanziaria sia diminuita in modo drastico.
  • Le banche sono uscite di scena, abbandonando il business della consulenza ai clienti retail e tagliando in maniera netta il numero dei consulenti (-40%). Difficile capire il peso della RDR in questa scelta. Secondo la FCA, la riforma è stato uno dei fattori “insieme ad altre considerazioni di tipo strategico”.
  • Il mercato si è spostato molto velocemente verso prodotti caratterizzati da fasce commissionali più basse, con beneficio per i consumatori. Una ricerca dell’IMA dimostra che la proporzione dei prodotti appartenenti alla categoria commissionale più alta è diminuita dal 58% del 2009 al 19% del 2014. Ad essere penalizzati sono stati i prodotti più costosi come le polizze e le obbligazioni strutturate: ad avvantaggiarsi sono stati i prodotti passivi come gli Etf. Difficile capire se questo cambiamento sia unicamente da imputarsi agli effetti della RDR, che avrebbe determinato, grazie alla maggior trasparenza, una necessità degli intermediari di tenere in maggior considerazione l’efficienza e il costo dei prodotti. Altre tendenze hanno favorito la transizione, come l’uscita dal mercato delle banche, che erano i principali produttori di strumenti strutturati, e il ciclo finanziario, che ha favorito le strategie passive. La tendenza europea che ha visto una crescente prevalenza degli strumenti passivi tra quelli di nuova collocazione sembra indipendente dalla nuova regolamentazione. C’è però da dire che questa tendenza non è stata uniforme in tutti i mercati. Sul mercato dei fondi italiano, per esempio, abbiamo assistito al successo dei prodotti a cedola a finestra di collocamento.
  • Non si è evidenziato un passaggio netto dalla consulenza non indipendente alla consulenza indipendente. Solamente due dei primi dieci gruppi di consulenza finanziari britannici (Hargreaves Lansdown e AWD Chase de Vere) hanno adottato l’etichetta di società indipendenti, mentre i restanti si sono dichiarati “restricted”. La stessa FCA evidenzia come i volumi gestiti dalle società di consulenza “restricted” rappresentino circa il 62% delle entrate totali del settore. Il dato ha disatteso le proiezioni iniziali che avevano previsto un netto rafforzamento della consulenza su base indipendente post-RDR quale naturale conseguenza della richiesta esplicita di crescenti standard di trasparenza.

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