Panoramica sugli emergenti

di Matteo Ramenghi, Chief Investment Officer UBS WM Italy

Dall’inizio dell’anno i mercati azionari dei Paesi emergenti ha realizzato rialzi di oltre il 30%, contro il 18% dell’azionario globale (in dollari). In entrambi i casi, si tratta di ottime performance giustificate da una crescita economica sincronizzata a livello globale e da politiche monetarie letteralmente inedite fino a pochi anni fa. La forte sovraperformance degli emergenti potrebbe però essere vista come una spia di eccessivo ottimismo o della formazione di una bolla.

All’inizio della crisi finanziaria del 2008, i mercati emergenti erano stati considerati immuni ai problemi delle economie avanzate: avevano sistemi bancari meno sofisticati, senza subprime o eccessiva esposizione ad attività di trading, non erano troppo indebitati e potevano contare su buone esportazioni, il cui valore era spinto anche dagli elevati prezzi del petrolio. Tra il 2014 e il 2015, le economie emergenti hanno invece sofferto le conseguenze indirette della crisi finanziaria e, sui mercati, hanno fortemente sottoperformato. Potremmo quindi vedere la buona performance di quest’anno come un parziale recupero.

Occorre chiarire che a spingere le valutazioni dei mercati emergenti sono stati soprattutto i risultati delle aziende: dall’inizio dell’anno le previsioni sugli utili delle società quotate sono migliorate del 21,5%, rispecchiando un quadro economico che vede quasi tutte le economie emergenti in una fase di espansione, dal Sud America, fino all’Asia e alla Russia.

In media, i mercati azionari emergenti trattano a circa 14x gli utili attesi per l’anno in corso, lievemente al di sopra della media storica. Non si tratta quindi di valutazioni scontate, ma possono ancora esprimere potenziale se, come anticipano gli analisti, i risultati delle aziende dovessero migliorare ulteriormente l’anno prossimo. Complessivamente abbiamo un posizionamento neutrale sugli emergenti. I mercati che vediamo con maggior favore sono quelli che, seppur in presenza di significativi rischi geopolitici, presentano valutazioni più compresse – in particolare Russia e Turchia. Siamo inoltre positivi sul mercato cinese.

L’obbligazionario emergente presenta rendimenti e spread leggermente inferiori rispetto al passato. A nostro avviso non si tratta di un eccessivo ottimismo su questi mercati, quanto del riflesso della compressione dei rendimenti nelle economie avanzate e della conseguente ricerca di alternative. Del resto, le analisi a nostra disposizione sul rischio di credito – anche per quanto riguarda la componente con rating inferiore, high yield – fanno pensare a una rischiosità tutto sommato contenuta. Tra i Paesi che vediamo più positivamente ci sono Brasile, Argentina e India.

Per quanto riguarda le valute, al momento non abbiamo forti scommesse su quelle dei Paesi emergenti ma, tra queste ultime, abbiamo una preferenza per il real brasiliano e il rublo. Ma cosa potrebbe mettere in crisi questo scenario tutto sommato positivo? Verso la fine del 2018 le principali banche centrali globali inizieranno cumulativamente a drenare liquidità dai mercati. Gli emergenti sono strutturalmente più sensibili al tema della liquidità e, soprattutto, dei tassi d’interesse sul dollaro (moneta che usano di sovente per finanziarsi) e potrebbe quindi verificarsi un periodo di maggior volatilità.

Anche i rischi geopolitici restano in cima alla lista delle preoccupazioni: oltre alla Corea del Nord e alla possibilità di un’escalation militare, occorre tenere presenti le tensioni in Medio Oriente e l’eventualità che possano determinare uno shock sul prezzo del petrolio – che a nostro avviso sarebbe probabilmente solo temporaneo. Rimanendo sui Paesi produttori di petrolio, la situazione del Venezuela si è ulteriormente aggravata e le agenzie di rating hanno peggiorato i propri rating; gli impatti sistemici ci sembrano però limitati.

 

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