Positivo è negativo?

A cura di Deutsche AM

Dati economici normalmente considerati “positivi” possono essere considerati “negativi” se interpretati come segnali di una stretta monetaria. È un fattore chiave dietro alla recente volatilità dei mercati finanziari. Tuttavia stimiamo che i fondamentali positivi siano infine destinati ad affermarsi.

Dalla crisi finanziaria del 2008 ad oggi, abbiamo osservato uno strano fenomeno per il quale le notizie economiche negative sono state considerate positivamente dai mercati. Erano infatti interpretate come segnali di un prolungamento dello stimolo monetario da parte delle banche centrali. Recentemente abbiamo assistito a fenomeni inversi. Le notizie economiche positive sono talvolta considerate negativamente dai mercati che le interpretano come segnali di un ritiro dello stimolo monetario, o in modo più specifico di una sequenza di rialzi da parte della Federal Reserve. Proprio questo è accaduto lo scorso venerdì quando i dati molto incoraggianti sulle retribuzioni negli Stati Uniti hanno destato preoccupazione sull’andamento dell’economia americana: si è temuto che ormai fosse raggiunta piena capacità e che la Fed dovesse intervenire rapidamente per far fronte alle probabili conseguenze di un aumento dell’inflazione.

Ci aspettiamo una continuazione della volatilità elevata, ma il contesto generale dovrebbe rimanere favorevole ai titoli azionari. Facciamo riferimento alla prosperità economica (dati fondamentali positivi statunitensi e globali), a un’eccezionale crescita degli utili negli Stati Uniti (l’81% delle aziende che hanno pubblicato finora le loro cifre hanno superato le aspettative), alla riforma fiscale che incoraggia decisioni manageriali a favore degli azionisti, a un rapporto stimato prezzo/utili futuri non troppo elevato per l’indice S&P 500, alla probabile riluttanza del nuovo Presidente della Fed, Jerome Powell, ad attuare una stretta più rapida del previsto. Inoltre, le azioni rimangono relativamente più interessanti rispetto alle obbligazioni. Sulla base di quanto sopra menzionato, continuiamo a valutare i periodi di indebolimento come opportunità di acquisto per le aree geografiche (Asia, mercati emergenti) ed i nostri settori ciclici preferiti (vale a dire settore informatico, industriale e beni voluttuari). La recente ondata di vendite sui mercati azionari non è giunta inaspettatamente e non altera le nostre previsioni favorevoli alle azioni globali nel lungo termine.

Nel medio termine, tuttavia, è opportuno non perdere di vista l’inflazione. Oltre alle retribuzioni, negli Stati Uniti si osservano numerosi indicatori in grado di far salire i prezzi. Sembrerebbe troppo semplice ipotizzare che il normale rapporto tra occupazione e crescita dei salari (la cosiddetta curva di Phillips) si sia interrotto, come sostengono alcuni. Esistono numerosi fattori tecnici in grado di far salire i tassi statunitensi senza un aumento dei prezzi, come una crescita delle emissioni dei titoli governativi statunitensi e una riduzione della domanda estera.

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