Quanto durerà il rally delle commodity?

A cura di Christian Gerlach, gestore delle strategie sulle commodity di Gam
I mercati delle materie prime hanno cominciato bene l’anno. Il rafforzamento del dollaro ha avuto un effetto deflativo sui prezzi del greggio fino alla fine di gennaio, quando il barile è crollato fino ai 26 dollari. La svalutazione del renminbi ha quindi spinto la Fed a ritardare la revisione al rialzo dei tassi con l’effetto che il prezzo delle materie prime è tornato a stabilizzarsi, il dollaro ha registrato un picco e tutti gli asset degli Emergenti hanno registrato buone performance.
Da gennaio scorso il prezzo del greggio è entrato in un bull market e l’inflazione ha guadagnato vigore. Adesso l’interrogativo principale riguarda quanto può durare il rally. I guadagni nel campo delle materie prime registrati a partire da gennaio sono stati guidati dal fronte energetico, mentre i segmenti che riguardano metalli industriali, agricoltura e metalli preziosi stanno registrando performance significativamente deboli. La risalita del prezzo del greggio rappresenta un elemento favorevole per molti Paesi in via di sviluppo che hanno bisogno di inflazione, dato che sono un elemento di supporto per i prezzi al consumo. Tuttavia, ci sono ancora tanti elementi da mettere a punto perché il rally energetico diventi un trend più ampio in grado di coinvolgere l’intero settore delle materie prime.
Ad oggi i prezzi del greggio sono vicini alla soglia del loro costo marginale di produzione. Quello del WTI è pari 56 dollari al barile, mentre quello del Brent sale a 60. Se l’indebolimento del dollaro proseguirà, i prezzi del greggio avranno bisogno di avvicinarsi ai 60/70 dollari al barile perchè le pressioni derivanti dall’inflazione reale possano spingere l’inflazione verso l’area del +2%.

  • Il secondo fattore che consentirebbe un rally duraturo sarebbe un significativo indebolimento dell’US Dollar trade-Weighted Index (che misura il valore del biglietto verde rispetto alle altre divise). Dovremmo assistere a perdite di almeno il 10% nei confronti dello yen e delle altre principali valute più usate negli scambi commerciali internazionali. Tuttavia, è difficile immaginare una svalutazione del dollaro in assenza di una qualsiasi azione di politica monetaria da parte del Giappone o dell’Eurozona – aree già in deflazione – che mettano il dollaro in condizione di entrare in una fase bearish duratura. E qui finisce la nostra dose di ottimismo per lo scenario futuro. Ma, se il mercato del greggio entrasse in backwardation (e quindi i prezzi forward fossero inferiori al prezzo spot), o se ci fosse una correzione sul dollaro, allora sarebbero proprio le materie prime la soluzione migliore per catturare il trend inflazionario.

Ad oggi crediamo ancora in uno scenario di indebolimento del dollaro e in un conseguente rally dei mercati Emergenti. Qualora invece il dollaro dovesse avere un picco al rialzo, tutti gli asset ciclici nel segmento delle commodity dovrebbero perdere molto valore. In tal caso la nostra fiducia nei confronti dei metalli preziosi aumenterebbe. Nel breve termine le materie prime si trovano fra due fuochi: da un lato Cina e Stati Uniti otterranno gli stimoli inflazionari di cui hanno bisogno, mentre Giappone ed Eurozona potrebbero soffrire sulla scia della forza delle loro valute. In fin dei conti il sentiment nel segmento delle materie prime potrebbe determinare l’impostazione monetaria per l’anno in corso e quelli a venire.

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