Rallenta la Cina, cresce l’India. La view di Raiffeisen sui Bric

A marzo, dopo i precedenti rialzi dei corsi, i mercati azionari internazionali sono stati caratterizzati da una fase di consolidamento. In media, i mercati azionari dei paesi emergenti sono stati leggermente più deboli dei mercati sviluppati. L’Europa centro-orientale ha fatto registrare cali superiori alla media; ciò non è, però, inusuale dopo i forti rialzi dei corsi registrati in precedenza. Un’eccezione verso l’alto in questo scenario sono state, tuttavia, le azioni cinesi quotate sul continente (azioni A) che hanno guadagnato oltre il 10% e hanno così continuato l’impressionante rally dei corsi degli ultimi mesi. Tra i perdenti troviamo, d’altra parte, paesi come la Turchia, la Grecia e diversi paesi del Golfo.
Mentre i dati congiunturali nella zona euro stanno migliorando leggermente, gli indicatori congiunturali statunitensi continuano a seguire il trend delle ultime settimane e nella maggior parte dei casi sono stati inferiori alle attese. Per l’economia globale questo significa infine una situazione cambiata poco con una crescita continuamente debole, e dove, tuttavia, continuano a esistere in particolare nei paesi emergenti i rischi di nuovi rallentamenti della crescita. Per i prezzi delle materie prime a livello globale non c’è ancora nessuna inversione di tendenza in vista, nonostante la tendenza verso una stabilizzazione del greggio; il trend dei prezzi (in dollari USA) per ora continua a essere discendente per quasi tutte le materie prime. Di conseguenza, per ora dovrebbe continuare ancora l’andamento congiunturale a due velocità degli esportatori e importatori di materie prime.
Gli eventuali rialzi dei tassi d’interesse USA rappresentano tuttora un fattore di rischio per azioni, obbligazioni e valute di molti paesi emergenti, anche se la probabilità di un prossimo aumento dei tassi e la prevista dimensione di tali possibili rialzi dei tassi d’interesse sono diminuiti leggermente nell’ultimo periodo.
Cina. Lo sviluppo economico in Cina continua a rallentare. Dopo che il governo e la banca centrale sembrano evidentemente essere riusciti a raffreddare in modo significativo il settore immobiliare, confluisce sempre più capitale d’investimento sul mercato azionario cinese e, ovviamente, soprattutto nelle azioni A accessibili agli investitori cinesi che vivono nel paese. Dopo i forti rialzi dei corsi nei mesi passati (un aumento del 60% circa rispetto all’indice dalla tarda estate in poi), ora sembra manifestarsi una certa euforia tra molti investitori. Il numero dei nuovi conti di brokeraggio sale rapidamente, così come gli acquisti di azioni finanziati con i crediti. Di conseguenza, alcuni settori all’interno del mercato cinese continentale hanno già raggiunto livelli di valutazioni esorbitanti. In questo senso, le azioni tecnologiche cinesi vengono nel frattempo scambiate con un rapporto prezzo/utile astronomico di oltre 200; ciò è addirittura molto superiore alle valutazioni estremamente alte di molte azioni tecnologiche del Nasdaq negli USA all’inizio del nuovo millennio, al culmine della bolla speculativa dell’internet. D’altra parte, però, ciò non vale per tutto il mercato. Per esempio, le azioni bancarie che hanno un peso molto importante negli indici azionari hanno dei prezzi sproporzionatamente convenienti con dei rapporti prezzo/utile bassi, a una cifra. Tuttora la maggior parte degli investitori evidentemente non si fida di queste valutazioni in apparenza convenienti e vedono soprattutto i rischi di possibili svalutazioni e rettifiche dei portafogli di credito delle banche.
Nonostante il forte rialzo degli indici azionari di Shanghai e Shenzen sarebbe quindi più che prematuro annunciare già da ora la fine della ripresa dei corsi. Al contrario, il mercato generale dispone ancora di notevole altro potenziale in termini di quotazioni. Sono però sempre possibili delle battute d’arresto, anche a causa dell’evidente febbre speculativa di una parte degli investitori cinesi. Le azioni H quotate a Hong Kong, al contrario, a marzo hanno fatto registrare un guadagno soltanto modesto (ca. +1 %); nei primi giorni di aprile, però, hanno ripreso fortemente a salire.
India. La produzione industriale indiana continua a espandersi moderatamente, soprattutto la produzione dei beni di capitale, mentre è in calo la produzione dei beni di consumo. I tassi d’inflazione hanno avuto un breve momento di pausa nel loro trend in discesa, ma il loro calo dovrebbe proseguire nei prossimi mesi; sempre che non ci sia un aumento inaspettato dei prezzi del petrolio. La banca centrale ha tagliato ancora una volta i tassi guida dello 0,25%, cosa abbastanza inaspettata per alcuni operatori di mercato, perché a marzo in realtà non c’è stata nessuna seduta regolare della banca centrale. L’andamento dell’inflazione e le misure di bilancio varate hanno evidentemente convinto la banca centrale che possa essere giustificato un altro taglio dei tassi d’interesse. Eventuali altri tagli dei tassi dovrebbero dipendere dall’inflazione, dall’andamento del monsone tuttora così importante per l’India e dal contesto globale.
Brasile. Le prospettive economiche del Brasile continuano a peggiorare. A sorpresa degli analisti, a febbraio per il terzo mese consecutivo sono stati tagliati posti di lavoro, invece di creare, come si prevedeva, nuovi posti di lavoro. A gennaio sembra aver rallentato ulteriormente anche l’economia. Le stime di crescita dell’economia brasiliana sono state, di conseguenza, ridimensionate ancora; in generale, per il 2015 ci si attende un calo dell’economia di quasi 0,8%. Questo debole andamento economico dovrebbe quasi certamente far sì che la banca centrale posticipi il più possibile eventuali altri rialzi dei tassi d’interesse, nonostante l’inflazione ancora ostinatamente alta. A livello di politica interna, soltanto a pochi mesi dalla sua rielezione, la presidente Rousseff è sempre più sotto pressione. Considerando il deterioramento della situazione economica, i casi di corruzione e le mancate riforme, le manifestazioni dell’opposizione sono sempre più affollate.
Russia. Per il momento, il secondo accordo di Minsk risulta durare molto di più del primo accordo della tarda estate del 2014. La tregua continua sostanzialmente a tenere, anche se non del tutto. Riguardo agli altri punti politici dell’accordo, per ora il governo ucraino, invece, è poco disposto a implementarli. L’estensione di altri tre mesi dello sconto sul prezzo del gas praticato dalla Russia all’Ucraina è stato invece indubbiamente un segnale politico positivo da Mosca. Per una soluzione pacifica della crisi, infine, non c’è nessun’alternativa ragionevole. Il rischio di un “conflitto congelato” per anni non deve, però, essere sottovalutato.
Le obbligazioni russe si sono riprese bene a marzo nonostante un leggero calo del prezzo del petrolio. I dati economici documentano il difficile ambiente economico, tanto più che l’occidente è ancora poco disposto ad allentare le sanzioni imposte. Gli indicatori anticipatori di recente hanno segnalato un leggero miglioramento, la tendenza di base è però ancora negativa. Le stime sulla crescita economica al momento sono molto divergenti. Nel 2015 si prevede un rallentamento dell’economia russa dall’1% fino a quasi il 7%.

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