Ramenghi Ubs WM: “In Italia ancora troppo poco azionario nei portafogli”

Nei portafogli degli investitori italiani c’è ancora troppo poco azionario“. Ad affermarlo è Matteo Ramenghi, Cio di Ubs Wealth Management Italia che ai microfoni di FinanzaOperativa.com spiega: “Lo scorso anno è stato un anno molto particolare, di rottura, specie in Europa che, tra le altre cose, ha dovuto fare i conti con il bail in, i tassi negativi e la Brexit e con un mercato azionario partito inizialmente in ribasso ma che poi ha con desione invertito rotta. In occasione del nostro outlook annuale avevamo però avvertito che da un punto di vista strategico gli italiani avevano troppo poco azionario in portafoglio”. Una condizione poco mutata quest’anno, a detta di Ramenghi, considerando il fatto che l’allocazione sul mercato azionario degli investitori italiani è limitata a circa il 24% (considerando anche i fondi pensione) contro una media del 42% del mondo occidentale, e che “rappresenta un’occasione per implementare un’asset allocation maggiormente bilanciata visto che non ci aspettano problemi strutturali”.

Certo, storicamente, gli italiani preferiscono le azioni quotate a Piazza Affari, che non hanno di recente brillato nel complesso per performance rispetto agli altri principali listini mondiali. È forse questa per noi una delle ragioni della scarsa affezione all’azionario? “Molto è ancora concentrato sull’Italia, ma fortunatamente il quadro sta cambiando – sostiene il Cio di Ubs WM Italia – con un progressivo trasferimento dei risparmi dalle obbligazioni bancarie ai titoli di Stato verso i fondi comuni, che vantano una maggiore diversificazione“.

Ma c’è dell’altro. “L’investitore italiano medio – avverte Ramenghi – è molto vulnerabile all’inflazione considerando che il 32% del patrimonio è in contanti e depositi. E l’inflazione sarà uno dei temi centrali di quest’anno: già a gennaio nell’Eurozona è salita all’1,8%, con la conseguenza che se in portafoglio si ha meno di 1/4 di azioni e il resto in cash e obbligazioni c’è una perdita di potere d’acquisto pesante, considerando i rendimenti attuali e prospettici. Una perdita del potere d’acquisto nel detenere cash che negli ultimi dieci è già anni è stata di circa il 14%“.

Per quanto riguarda poi i bond – afferma Ramenghi – negli Usa ci sono un po’ meno rischi visto il trend dei tassi ma in Europa, escludendo i periferici, i rendimenti sono rimasti troppo bassi. Una situazione che favorisce l’inizio un movimento correttivo per i prezzi simile a quella che c’è stata in America. Più in particolare, se il rendimento del Bund tedesco dovesse spingersi all’1,5% (comunque inferiore dell’inflazione) la correzione delle quotazioni potrebbe essere nell’ordine del 10%. E l’unica ragione per cui non è ancora successo sono i timori per i rischi politici in Europa”.  Alla luce di questo scenario il posizionamento attuale del Cio sull’obbligazionario è bond high yield in dollari (ma con copertura del cambio) e Treasury Usa indicizzati all’inflazione mentre sono sottopesati i titoli di Stato.

Passando all’azionario, Ramenghi fa notare che la sima del Fondo Monetario è di un contributo alla crescita economica nel 2017 proveniente soprattutto dall’Asia (41% con la Cina a fare la parte del Leone) e dagli Stati Uniti (19%) mentre il contributo dell’Eurozona sarà limitato al 10%. “Il nostro posizionamento, quindi è neurale sull’Eurozona, in sovrappeso sugli States (dove tra l’altro gli utili cresceranno quest’anno di almeno il 10%), di sovrappeso sull’azionario mondiale mentre sugli emergenti sovrappesiamo solo Russia, Cina e India. A livello settoriale, siamo positivi sul settore bancario quotato a Wall Street e sempre negli Usa sull’energy e sull’healt care mentre in Europa siamo positivi sull’IT e sui petroliferi“.

Per quanto poi riguarda le materie prime, secondo il Cio di Ubs WM Italia il petrolio (dollaro permettendo) resterà quest’anno sostanzialmente stabile a ridosso dei livelli attuali mentre l’oro (spinto dall’incertezza politica e da una domanda fisica asiatica e medio orientale in ripresa) e i metalli potranno segnare performance interessanti, in particolare il platino e l’argento che vantano anche una connotazione industriale.

Sul dollaro, infine Ramenghi si attende un recupero dell’euro fino a 1,15 per tre principali ragioni: “la prima è che Trump prospetta molto deficit, il che comporta un indebolimento del biglietto verde; il secondo motivo è che da aprile la Bce ridurrà le imissioni di liquidità; l’ultima ragione è che ci sono dei venditori importanti di dollari quali la Cina che deve difendere il renmimbi e l’Arabia Saudita che ha ancora un deficit del 10% e deve ridurre le riserve valutarie per finanziarlo”.

 

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