Tra espansione sincronizzata, timori di bolla e politiche confuse: cosa ci lasciamo alle spalle

A cura di Stuart Canning, M&G Investments
I mercati azionari in generale hanno prodotto risultati robusti. L’indice MSCI All Country World ha segnato un progresso del 5,1% nel T3, con contributi positivi di quasi tutti i mercati principali:

Il Brasile si è distinto in positivo, riflettendo in parte la soluzione dell’episodio verificatosi nel trimestre precedente, di cui abbiamo parlato in precedenza. Il vigore confermato dai mercati emergenti ha cominciato a richiamare flussi di investimento, in netto contrasto con la percezione diffusa nei confronti della regione, l’ultima volta in cui la contrazione della politica della Fed aveva dominato i commenti di mercato nel 2013.
La tentazione ovvia con i grafici come quello in alto è guardare ai mercati distintamente più deboli, in questo caso Spagna e Australia. La Spagna aveva seguito verso il basso il mercato tedesco nei primi due mesi del trimestre, in apparenza per effetto del rafforzamento dell’euro cominciato all’inizio di aprile.

Tuttavia, negli ultimi tempi la Germania ha visto una svolta al rialzo (più o meno in corrispondenza di una flessione dell’euro), mentre la Spagna è rimasta in affanno. Dopo gli eventi del weekend, viene la tentazione di attribuire questa tendenza all’imminente referendum catalano, ma vale la pena di notare anche l’entità della sovraperformance spagnola fino ad aprile.
L’aspetto forse più interessante è il comportamento differenziale fra i mercati europei, che non è apparso in grande evidenza nel periodo fino alla crisi finanziaria. Resta da vedere se quanto accaduto nel fine settimana avrà un impatto indipendente sui mercati spagnoli (come accaduto in effetti lunedì), un effetto più correlato sugli asset dell’Eurozona o conseguenze che si riveleranno di natura più temporanea. Il voto tedesco di settembre, invece, finora ha avuto ricadute limitate.
In maniera analoga, il mercato australiano sembra aver risentito in parte della valuta forte, ma come dimostra il grafico 3 in basso, è stato anche uno dei pochi Paesi a non evidenziare una crescita degli utili, nell’ultimo trimestre.
I mercati azionari snobbano il rischio del prossimo crollo o lo temono?
Dopo periodi decisamente positivi per le azioni come quello che abbiamo visto, è inevitabile chiedersi se i tempi siano maturi per un altro crollo. Sono in molti a preoccuparsi per i livelli di valutazione attuali negli Stati Uniti e l’impatto potenziale della contrazione del bilancio della Fed (come spiegato di recente da Nicolò Carpaneda su Bond Vigilantes). Altri temono che la fase attuale sia la “fine del ciclo”, argomento che abbiamo già affrontato.
Anche la percezione del clima di mercato generale è contrastata: gli investitori mostrano un eccessivo ottimismo (si è parlato di bolla solo con rifermento al bitcoin), oppure questo è il mercato toro “meno amato” della storia? Come ha affermato Dave Fishwick, ci sono senz’altro dei segnali indicativi del fatto che ai timori di volatilità stia subentrando la paura di perdere occasioni di guadagno. Parlerò della natura del sentiment di mercato in un altro post nei prossimi giorni.
Uno scenario macro incoraggiante…
Per il momento è difficile individuare delle falle sul piano dei fondamentali. La tesi dell’espansione “globale sincronizzata” ha trovato sempre più riscontri durante il trimestre e affonda le radici nella crescita degli utili.

Un aspetto da considerare, però, è che in parte si tratta di un recupero dagli effetti della debolezza relativamente diffusa nel periodo 2015/16. Ai tempi eravamo scettici riguardo alle ipotesi di recessione mondiale imminente e la ripresa adesso sembra avere una base più ampia del declino corrispondente. Tuttavia, non si può negare che gli effetti di base stiano contribuendo almeno in qualche misura all’entità del buon andamento attuale.
…e politiche favorevoli.
I rendimenti offerti dai Treasury USA a due anni sono aumentati nel corso del trimestre, coerentemente con il percorso di contrazione della Fed, ma i titoli di Stato americani a lunga scadenza finora sono rimasti più stabili.

Gli investitori non sono ancora convinti dell’effettiva necessità di una contrazione marcata, e questa percezione è in parte riconducibile alle dichiarazioni diffuse nel periodo dai responsabili delle politiche. Oltre che sulla “crescita globale sincronizzata”, nel terzo trimestre l’attenzione si è focalizzata anche sulla “scomparsa della curva di Phillips”, o il motivo per cui la bassa disoccupazione non sta facendo scattare un’inflazione dei salari. Il fenomeno non riguarda solo gli Stati Uniti: a settembre il Regno Unito ha raggiunto il tasso di disoccupazione più basso degli ultimi 42 anni.

Pur non essendo niente di nuovo, il tema è stato messo in evidenza da un intervento di Janet Yellen la scorsa settimana e dai dibattiti al simposio di Jackson Hole ad agosto (come ha spiegato Steven Andrew). La spinta verso una contrazione inaspettatamente aggressiva non viene dall’inflazione, in questo momento.
Nonostante ciò, con i rendimenti a livelli così bassi, i mercati obbligazionari di molti Paesi sviluppati potrebbero comunque essere vulnerabili, come dimostra il rialzo relativamente brusco verificatosi nelle ultime settimane. Anche altre aree del reddito fisso, come i titoli governativi dei mercati emergenti, alcuni segmenti del mercato del credito e persino i titoli di Stato portoghesi, dopo il recente innalzamento dei rating, offrono un margine di sicurezza minore rispetto al passato.
Preoccupazioni per ciò che ci aspetta
Di solito sono i rischi che oggi non possiamo immaginare, più di quelli che dominano i titoli dei giornali, a presentare le minacce maggiori per i portafogli. Detto questo, uno sguardo alle aree considerate preoccupanti dal consenso può essere istruttivo, soprattutto nell’osservare come l’attenzione oscilli nel tempo, esaminando nel contempo le nostre convinzioni.
La crescita e il debito della Cina, la riduzione dei bilanci delle banche centrali e le valutazioni azionarie negli Stati Uniti al momento sembrano le principali fonti di timore per gli investitori. Va detto però che mentre la Cina è passata in secondo piano nel terzo trimestre, gli altri due temi hanno conquistato il centro della scena.
Questo non vuol dire che le ansie per la Cina siano destinate a riemergere nel prossimo trimestre o magari l’anno prossimo, ma la consapevolezza di come variano le nostre percezioni del rischio può essere utile. Ci aspettiamo che l’attenzione rivolta a questi tre aspetti cambi nel tempo: quello che conta per gli investitori è non lasciarsi influenzare solo dai movimenti di prezzo o dalle notizie di primo piano. Si può essere tentati di avere più fiducia nella vita dopo un periodo come l’ultimo trimestre, ma i rischi sono sempre presenti. L’importante è la remunerazione che ci viene offerta per assumerli.

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