Volatilità e correlazioni aumentano, come mantenere un’asset allocation bilanciata?

a cura di Erik Knutzen, Chief Investment Officer – Multi-Asset Class Neuberger Berman

La volatilità è di nuovo tra noi. Uno dei temi principali di cui avevamo parlato all’inizio dell’anno era il ritorno della volatilità a livelli più consoni all’attuale stadio del ciclo economico, dopo un periodo di livelli eccezionalmente bassi. In tutto il 2017, l’S&P 500 ha registrato oscillazioni pari o superiori all’1% solamente dieci volte, mentre da inizio febbraio 2018, simili oscillazioni si sono verificate ben 17 volte.

Ai primi di febbraio, la volatilità era stata scatenata da una crescita delle retribuzioni orarie negli Stati Uniti in misura superiore alle attese. La settimana scorsa c’è stato un altro scossone e stavolta, per quanto riguarda l’elemento catalizzatore, c’è solo l’imbarazzo della scelta: i flash report sull’indice PMI sono stati inferiori alle aspettative; i titoli del settore tecnologico hanno risentito dei timori di un’inadeguata protezione dei dati; giovedì, Trump ha alzato i toni sulla questione commerciale annunciando un piano per l’imposizione di dazi sulle merci importate dalla Cina; e il giorno prima, l’orientamento meno restrittivo del previsto assunto da Jerome Powell al suo esordio come presidente della Fed ha spiazzato i mercati.

A prescindere dal catalizzatore, il nocciolo della questione rimane lo stesso di febbraio: la volatilità è ritornata sui mercati. E l’interrogativo è: in che modo gli investitori possono proteggere i portafogli?

Di solito, la risposta consiste nel bilanciare i rischi azionari con una buona dose di rischio di tasso, tramite titoli di Stato, presumendo che quei due rischi presentino una correlazione negativa. Ma il nuovo contesto in cui ci stiamo muovendo potrebbe essere caratterizzato non solo da un aumento dei tassi di interesse, dell’inflazione e della volatilità, ma anche da una maggiore correlazione tra azionario e obbligazionario.

Le correlazioni sono cicliche

Sin dalla crisi finanziaria, gli investitori sono stati avvantaggiati da livelli di correlazione bassi o negativi tra le due principali asset class. Hanno goduto del pasto gratis di una diversificazione del rischio di ribasso dei portafogli azionari ricorrendo ai titoli di Stato dei mercati sviluppati.

Nel lungo termine, tuttavia, le correlazioni azionario-obbligazionario si sono mostrate leggermente positive, con caratteristiche cicliche. Nei periodi di bassa crescita e bassa inflazione, le correlazioni tendono ad essere negative, mentre nei periodi di maggiore crescita economica e inflazione tendono ad essere positive. Generalmente, tale correlazione positiva raggiunge il picco verso la fine del ciclo economico, quando le banche centrali cercano di raffreddare l’economia irrigidendo la politica monetaria.

Se abbiamo visto bene e se stiamo entrando in un periodo caratterizzato da una leggera accelerazione dei prezzi e da una politica monetaria meno accomodante, la storia suggerisce che non sarà più possibile beneficiare del pasto gratis grazie ai vantaggi offerti dalla bassa correlazione. Abbiamo potuto osservare le prime avvisaglie di questa tendenza nel mese di febbraio, quando l’S&P 500 ha segnato una flessione del 3,7% e il Bloomberg Barclays U.S. Aggregate Long Treasury Index è calato del 3%. Nel contesto che si è venuto a creare, i titoli di Stato potrebbero non essere più sufficienti a fornire una protezione adeguata dalle folate di volatilità.

Con l’aumento delle correlazioni, la diversificazione diventa una sfida

Oggi la gestione del rischio e la diversificazione del portafoglio richiedono un approccio più ragionato. Esistono diversi modi di affrontare la sfida, ma riteniamo che ve ne siano tre molto diretti.

Il più semplice consiste nel ridurre il livello generale di rischio in tutti i portafogli. Una nostra recente caratteristica è stata la prontezza con cui abbiamo adottato posizioni meno volatili e meno sensibili ai mercati nelle asset class tradizionali. Un simile approccio potrebbe richiedere una rotazione verso società di più alta qualità (sia nell’azionario che nel credito) oppure lo scambio di un’esposizione azionaria diretta con l’alternativa meno volatile, come la vendita di opzioni put.

Il secondo approccio consiste nell’individuare mercati che consentano di diversificare rispetto alle azioni, ma non comportino i rischi legati alle obbligazioni. Nelle fasi finali del ciclo economico, gli asset sensibili all’inflazione – come i TIPS, le obbligazioni globali legate all’inflazione e le materie prime – hanno tendenzialmente offerto una buona performance. Anche gli investimenti a tasso variabile, come i prestiti, ad esempio, offrono protezione.

Un terzo approccio consiste nell’individuare investimenti non correlati in alcun modo ai rischi di mercato tradizionali, ad esempio strategie hedge a bassa volatilità e non correlate oppure strategie multi-asset su risk premia.

Una soluzione ragionata potrebbe prevedere l’adozione di un mix di tutti e tre questi approcci. Quando i titoli di Stato non rappresentano più un’ancora efficace per resistere ai venti contrari, gli investitori devono trovare la giusta zavorra per i propri portafogli, per mantenerli in piedi senza farli sprofondare.

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