Wolf Warrior II: riflessioni sulla Cina

A cura di Aqa Capital
“Chiunque attacchi la Cina sarà colpito, non importa dove si trovi”, locandina del film.
«Finalmente c’è un protagonista in cui possiamo identificarci», dichiara fuori dalla sala Gao Cheng, 28 anni, nata a Pechino. «In passato era raro vedere nei film prodotti in Cina un uomo solo che vuole salvare il mondo e riportare la pace».
«Eroismo senza paura, ma responsabile”, il Quotidiano del Popolo.
«senza l’autorizzazione del legittimo governo del paese africano o della comunità internazionale sarebbe un’azione illegale».
«Da Wolf Warrior 2 esce l’immagine di una Cina forte e con grande capacità d’influenza sul mondo. Nel film ci sono alcuni mercenari occidentali convinti che le forze armate cinesi siano deboli. È bello vedere che alla fine sono sconfitti », dichiara fuori dalla sala Jia Fangzi, 32enne che lavora nel settore delle risorse umane. 
«Ecco perché i cinesi amano così tanto il presidente Xi Jinping», sussurra una giovane cinese prima di riconsegnare gli occhiali per la visione 3D. «L’Africa ti ringrazia», dice una signora locale all’eroe cinese che l’ha messa in salvo.
Commenti al film cinese: “Wolf Warrior II”
Nessun grande messaggio, niente di etico o di profondo, Wolf Warrior 2 è il film che ha sbancato i botteghini cinesi, esaltando il nazionalismo. Una copia di Rambo che ha registrato il tutto esaurito e che molti osservatori occidentali consigliano di vedere, solo per comprendere alcune tendenze dell’opinione pubblica cinese.
E’ vero, finora non è che ci si è mai chiesto che cosa pensasse l’opinione pubblica cinese e probabilmente ancora per molto sarà così. Ma qualsiasi azione di contro dazi avrà il pieno sostegno del popolo e fortifica la figura di Xi Jinping.
Il messaggio del film è chiaro e scimmiotta l’utilizzo del cinema negli Usa in piena guerra fredda. La Cina è grande, ma deve farsi rispettare e difendere i suoi interessi e quelli dei suoi cittadini in tutto il mondo. Potrà farlo solo grazie a un esercito forte guidato dal partito e a una popolazione cinese fiera della sua nazione. L’eroe, dunque, è un ex soldato d’élite dell’esercito cinese che salva civili cinesi e africani prigionieri di ribelli senza pietà, aiutati da mercenari occidentali in uno stato africano in disfacimento. Con tanto di chiamata finale all’esercito di liberazione cinese che interviene bombardando gli stranieri cattivi.
La risposta della Cina alla guerra commerciale iniziata dal presidente americano Donald Trump non si fa attendere. Come rappresaglia all’innalzamento dei dazi su acciaio e alluminio deciso dagli Usa, la Cina ha varato nuove tariffe su carne, frutta e altri prodotti importati dagli Stati Uniti. Il ministero delle Finanze cinese ha annunciato che gli aumenti partiranno dalle prossime ore. La Commissione delle dogane della Cina sta aumentando del 25% l’aliquota tariffaria di otto prodotti statunitensi importati, tra cui la carne di maiale e i rottami di alluminio. Sta imponendo anche una nuova tariffa del 15% su 120 prodotti importati dagli Usa, vino e frutta inclusi.
Finora siamo a un 60 miliardi di dazi Usa alla Cina contro i miseri 6 del Paese della Grande muraglia alla superpotenza a stelle e strisce. Ma, dietro questo intervento, si legge un’azione ben più mirata contro il consenso al presidente Trump.  La risposta cinese potrebbe penalizzare gli allevatori e gli agricoltori americani, molti dei quali operano nelle regioni che hanno consentito l’elezione di Trump nel 2016. Gli agricoltori nel 2017 hanno esportato in Cina merci per quasi 20 miliardi di dollari mentre l’industria americana del maiale ha affari per 1,1 miliardi di dollari. Quindi la minaccia è chiara: questo è solo un segnale.  Ai mercati non piace la guerra commerciale. Wall Street lunedì in giornata  è arrivata a perdere fino al 3%. E, adesso Trump studia la contromossa della contromossa, per difendere la proprietà intellettuale.
Forse come nei film, c’è molta  propaganda e poca sostanza. Gli esperti mettono in guardia Trump sottolineando in tutti i modi che la bilancia commerciale Usa è uno specchio per le allodole. Secondo i dati 2015, le imprese Usa hanno venduto in Cina 372 miliardi di dollari, di questi solo 223 sono stati esportati dagli Stati Uniti, il restante riguarda prodotti americani creati e venduti direttamente in Cina. Un terzo del totale. Invece i prodotti cinesi venduto in America sono quasi tutti frutto delle esportazioni. I 370 miliardi di deficit commerciale degli Usa con la Cina scenderebbe a circa 30 miliardi. Più che il rischio di contro dazi le aziende americane sono esposte alle ritorsioni sulle filiali cinesi.  Nel Paese del dragone ci sono 310 milioni di iPhone attivi, più del doppio di quelli in Usa, General Motors ha venduto più auto in Cina che in Usa, lo stesso vale per Mcdonald’s con gli hamburger. Pensare di produrre in patria e renderebbe il bene troppo costoso e inaccessibile per il cliente cinese.
Crediamo che come sempre, saranno i numeri ad avere la meglio. La Cina è consapevole che le sue violazioni della proprietà intellettuale non potranno andare avanti per sempre e Trump è molto intelligente per capire fino a che punto conviene tirare la corda senza rischiare di essere trascinato. Dai due capi ci sono due superpotenze, qualsiasi fune è un filo sottilissimo. Talmente sottile che nessuno vuole rompere. I mercati traballeranno ancora, e più le corde sono tese e più acute sono le reazioni. Ma, come diceva Confucio, “Non usare arco e freccia per uccidere una zanzara”. La guerra sarebbe molto più costosa di qualsiasi accordo.

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