A-Shares cinesi, una goccia nel mare dell’azionario emergente

A cura di Karine Hirn, Partner e Senior Advisor di East Capital

La decisione di inclusione del MSCI sulla Cina non è stata per noi una grande sorpresa. Dalla prima revisione nel 2014, sono stati fatti enormi progressi in Cina e la decisione positiva di MSCI di includere le A-shares negli indici dei paesi emergenti è più che benvenuta. Ora la domanda è: ma quanto importante può essere questo per gli investitori e per il paese stesso?

La società specializzata nella creazione e gestione degli indici ha riconosciuto i numerosi passi in avanti degli ultimi 12 mesi, in particolare in termini di accesso al mercato, come il lancio sei mesi fa dello Shenzhen Connect Program e la contestuale rimozione delle quote aggregate, ma anche le più chiare e severe regole in tema di sospensione dei titoli dagli scambi, correttamente implementate. Inoltre, è stata ammorbidita la “clausola anti-competitiva”, secondo cui oggi i criteri di pre-approvazione da parte dei mercati azionari domestici per l’emissione di prodotti aventi come sottostante le A-shares, ad esempio gli ETF, sono meno stringenti.

Anche MSCI, da parte sua, ha modificato significativamente la propria proposta, focalizzandosi sui titoli a maggiore capitalizzazione disponibili tramite i programmi Connect e rimuovendo automaticamente i titoli sospesi per oltre 50 giorni consecutivi nei 12 mesi precedenti, ad ogni ribilanciamento dell’indice, portando così l’universo investibile da 448 a 222 titoli azionari. Il peso di riferimento per la Cina nell’indice MSCI EM l’anno prossimo sarà pari allo 0,73% rispetto all’1,5% valutato in passato. Tutti questi accorgimenti, non ultimo quello di contenere l’universo investibile iniziale per migliorare l’investibilità e garantire liquidità, sono stati elementi cruciali nel portare a un esito positivo.

La decisione di includere 222 A-shares cinesi a partire dal 2018, per un totale di 73 punti base, non farà impennare il mercato delle A-shares domestiche. Il secondo maggior mercato al mondo, che capitalizza 7 miliardi di dollari con volumi giornalieri di scambio compresi tra 50 e 200 miliardi di dollari e largamente guidato dagli investitori domestici, noterà a stento i 12 miliardi di flussi in entrata derivanti dalla decisione di MSCI.

Infatti, in un mercato dominato da investitori retail, e con l’industria domestica dell’asset management che sperimenta ancora un elevato livello di rotazione tra diversi temi e stili nel corso dell’anno, le opportunità derivanti da prezzi incoerenti sono numerose. Investire nei mercati A-share, quindi, è un esercizio di stock-picking.

Fino ad oggi, momento in cui assistiamo a una conferma dell’importanza gravitazionale dei titoli quotati sulle borse locali cinesi, gli investitori globali hanno in gran parte ignorato i mercati domestici del paese. Né nel 2003, quando è stato istituito il cosiddetto “schema QFII”, né nel 2011, quando si è passati al “R-QFII”, c’è stata una corsa da parte degli investitori globale per cogliere l’opportunità. Lo Stock Connect del 2014, invece, ha rappresentato di per sé un segnale di apertura più forte, in quanto non basato su uno schema di licenze. Ma nonostante un certo aumento dell’interesse in termini di sviluppo di nuovi prodotti, i flussi sono rimasti limitati e oggi si stima che appena l’1,5% dei mercati azionari domestici siano in mano a investitori stranieri.

Ma ora che MSCI ha deciso di includere le A-shares nell’indice EM, è solo questione di tempo. Potrebbero volerci anni, ma alla fine del processo le A-share cinesi potrebbero raggiungere fino al 20% dell’indice Mercati Emergenti, e gli investitori, così come le società di asset management, devono accelerare lo sviluppo delle proprie capacità di ricerca e delle infrastrutture operative per gestire adeguatamente il secondo maggior mercato azionario al mondo.

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