America, la crescita attesa non ci sarà: la view di Lemanik

“L’economia americana è esposta al rischio di un rallentamento significativo della crescita che si concretizzerà già nel primo semestre in corso. L’accelerazione attesa non ci sarà, le aspettative derivanti dalla politica fiscale espansiva non potranno realizzarsi mentre l’aumento dei tassi d’interesse in corso è decisamente più rapido della politica fiscale attesa”. È l’analisi di Maurizio Novelli, gestore del Lemanik Global Strategy Fund.
La domanda interna americana dipende sempre più dal credito: poiché il reddito reale non cresce in modo significativo, il consumatore americano riduce la propensione al risparmio e si indebita per consumare quello che il suo reddito disponibile non gli consente di fare. Il credito all’economia negli Stati Uniti ha iniziato a rallentare e le istituzioni finanziarie si sono fatte più restrittive nell’erogazione di nuovo credito. Questo scenario non quadra con le dichiarazioni della Fed su un’economia solida che puo’ facilmente reggere tre/quattro aumenti dei tassi nel 2018.
“Ritengo che altri due aumenti dei tassi saranno sufficienti a procurare molti problemi sui Treasuries e sui mercati finanziari, con evidenti ulteriori implicazioni restrittive per l’economia reale”, spiega Novelli. “Per quanto riguarda le forti aspettative sul piano fiscale di Trump e il relativo impatto sull’economia reale, occorre sottolineare che il beneficio è prevalentemente concentrato sulla Corporate America e che i consumatori non avranno effetti positivi tangibili. Ci si aspetta dunque una forte crescita degli utili aziendali grazie alla riduzione delle imposte e una corsa agli investimenti, ma gli investimenti nell’economia reale rimarranno contenuti”.
Nell’attuale ciclo espansivo l’economia americana si è eccessivamente esposta a fenomeni finanziari sempre più pronunciati e vulnerabili. La sensibilità ai tassi d’interesse è oggi maggiore che in passato e non è necessario attendere politiche monetarie restrittive per avere impatti significativi sull’economia reale. Nella realtà oggi non sappiamo esattamente su quale soglia di tassi d’interesse la politica monetaria si fa restrittiva per l’economia, tuttavia è evidente che non possiamo usare i parametri del passato per cercare dei livelli di riferimento poiché, nel frattempo, il debito nel sistema internazionale è aumentato del 50% rispetto ai picchi della crisi del 2008.
“In questo contesto, è probabile che il termine “restrittivo” possa posizionarsi su livelli di tassi d’interesse decisamente piu’ bassi rispetto al passato. Questo espone le banche centrali, e in particolare la Fed, a rischi di policy mistakes che avranno pesanti ripercussioni sulla crescita Usa”, continua Novelli. “In questo quadro particolarmente complesso si percepisce in modo sempre piu’ evidente il potenziale ritorno dei fattori macro sulla scena delle dinamiche finanziarie. Fattori rimasti compressi per lungo tempo a causa delle politiche delle banche centrali e che ora sembrano iniziare a cedere e a procurare i primi impatti con il cedimento contestuale del dollaro e dei Treasuries, movimenti tendenzialmente anticipatori di un aumento della volatilità”.

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