Amundi: il 2017 anno decisivo per i tassi lunghi

a cura di Amundi AM

Un anno fa abbiamo riesaminato le previsioni per i prossimi due-tre anni e anche quest’anno passeremo in rassegna le nostre stime in un numero speciale. Questo esercizio è particolarmente utile in un contesto politico che sta diventando sempre più complesso (nuovo Presidente negli Stati Uniti, elezioni in Francia e in Germania ecc.) e in un mondo in cui le politiche monetarie sono estremamente espansive (Stati Uniti, zona Euro, Regno Unito, Cina ecc.) ma che in moltissimi casi hanno raggiunto il loro limite, da qui la tentazione di varare misure di stimolo fiscale e di bilancio spesso più che giustificate. Ė in questo contesto, per molti aspetti inedito, che si collocano le nostre analisi, previsioni e strategie d’investimento. Un anno fa, le nostre principali previsioni erano supportate dal seguente contesto economico:

  • crescita mondiale di nuovo attorno al 3%;
  • crescita economica trainata in molti Paesi dalla domanda interna e non più dal commercio mondiale, ormai in calo;
  • nessun hard landing per la Cina, ma una politica monetaria e una politica economica che rimangono in genere fortemente espansive;
  • estrema prudenza della Fed che, seppur fosse prevedibile, si è dimostrata ancora più cauta di quanto non facessero immaginare i dati. Ci aspettavamo un rialzo dei tassi sui fed fund alla fine del 2015 e un altro nel 2016, ovvero un numero di rialzi inferiore a quello delle stime di consenso;
  • prolungamento dei programmi di QE (Quantitative Easing) in Giappone e nella zona Euro;
  • controllo dei tassi d’inflazione;
  • miglioramento delle prospettive di crescita nella zona Euro, ma con una BCE che si prevedeva avrebbe mantenuto una politica fortemente accomodante, tant’è vero che abbiamo dichiarato ancora una volta di non attenderci riduzioni del costo del denaro nei prossimi 3-5 anni.
  • mantenimento dei tassi bassissimi, soprattutto nella zona Euro, e rischio di tassi negativi;
  • leggera ripresa dell’economia nei Paesi emergenti, e comunque la scomparsa dei problemi che hanno gravato su queste zone per oltre 4 anni;
  • continuazione della recessione in Russia e in Brasile;
  • ripresa graduale dei prezzi delle materie prime, con un obiettivo di $55-60 per un barile di petrolio. I principali temi d’investimento analizzati si concentravano qu queste grandi tendenze di fondo, in particolare:
  • la caccia al rendimento e allo spread come motivazione di base degli investitori in un mondo caratterizzato da tassi d’interesse bassissimi;
  • l’ appiattimento delle curve dei tassi legato al controllo/alla mancanza d’inflazione e all’azione delle banche centrali;
  • il rinnovato vigore dello yen;
  • la ripresa dei mercati azionari, in particolare di quelli europei , dove si consigliava di puntare sui titoli value, mentre per gli USA si consigliava di puntare sulla qualità tenuto conto delle differenti scadenze e valorizzazioni dei due mercati.

Nel complesso, ha ancora senso mantenere una posizione sovrappesata sulle attività dei mercati emergenti (azioni, obbligazioni e valute), sul credito (rispetto ai titoli di Stato), visto che l’obiettivo rimane sempre quello della caccia al rendimento e allo spread. Analogamente, le attività “alternative”, “reali”, continuano a essere attraenti in termini di diversificazione e di rendimento. Non si può tuttavia negare che le trattative riguardo alla Brexit, la politica della Cina (politica economica, ma soprattutto la politica sui tassi di cambio e sulla liberalizzazione del conto capitale), i limiti della politica monetaria e le prospettive di un mutamento d’orientamento delle politiche di bilancio e fiscale, il cambiamento di leadership negli Stati Uniti e le future elezioni in Europa potrebbero modificare seriamente i trend attuali. I negoziati sull’attuazione della Brexit dovrebbero indebolire la sterlina e il potenziale di crescita del RU, inducendo la Bank of England a mantenere ancora per lungo tempo una politica monetaria accomodante. Essi potrebbero anche indebolire la coesione europea, e questa non è una buona notizia in un anno elettorale.

Le elezioni americane fanno da apripista per quanto riguarda gli stimoli di bilancio e fiscali che probabilmente influenzeranno il dollaro e i mercati obbligazionari, nonché i dibattiti elettorali in Europa. Questo cambiamento di tendenza al di là dell’Atlantico è una forma di sdoganamento delle misure di stimolo fiscale o addirittura dei temi populisti.

Le elezioni in Europa avverranno in un contesto di mutamento di leadership iniziata nel Regno Unito e negli Stati Uniti. L’avanzamento dei fautori di una politica di bilancio e fiscale più espansiva, nonché di alcune forme di protezionismo (beni e persone) è un dato di fatto. Quello che alcuni definiscono populismo, va di pari passo con un rifiuto dell’establishment e, nel caso dell’Europa, di un rifiuto dell’UME, dell’euro e dei vincoli politici (perdita della sovranità) che l’accompagnano.

Finora, i mercati finanziari hanno dato carta bianca alle banche centrali con il QE e con tassi d’interesse più bassi che vanno nel senso di una stabilità finanziaria (sinonimo di bassa volatilità), maggiore sicurezza per l’indebitamento pubblico e un basso costo di finanziamento per le imprese. Tuttavia, le banche centrali hanno esaurito gli strumenti a loro disposizione (alcune sono andate anche al di là del loro mandato nell’area dei tassi d’interesse), e la crescita e l’occupazione rimangono in generale deludenti. Il ricorso a politiche fiscali e di bilancio modifica le prospettive dei tassi lunghi, ma solo se il QE s’interromperà, ipotesi da noi esclusa. Vanno comunque previsti dei picchi di volatilità.

Come ormai da più di dieci anni a questa parte, la Cina rappresenta una fonte di preoccupazione. La liberalizzazione del conto capitale prosegue e la situazione economica (settore immobiliare e bolla del credito, rischio di hard landing, deflussi di capitale ecc) non è molto rassicurante, sebbene la crescita sia ormai stabile da tre trimestri. Tuttavia, il miglioramento dello stato di salute delle economie dei Paesi emergenti è una garanzia di stabilità che non si può ignorare anche se, in una prima fase, il cambiamento di leadership negli Stati Uniti potrebbe essere destabilizzante. Il 2017 sembra essere un anno decisivo per i mercati finanziari, in particolare per i tassi lunghi.

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