And the winner is… Short Duration!

di Chris Iggo, CIO Fixed Income di Axa Investment Managers

Questa settimana il mercato obbligazionario ha fatto i capricci. I rendimenti dei Bund sono più che raddoppiati, l’indice dei titoli di stato tedeschi ha perso l’1,5% in termini di rendimento complessivo, il rendimento di Treasury americani e dei Gilt britannici è salito. Siamo dunque alla fine della fase rialzista del mercato? Inizia un mercato ribassista? Ad ogni modo il comportamento del mercato non ci indica una direzione precisa, principalmente perché la paura di rimanere bloccati in asset non liquidi impedisce alla maggior parte degli operatori di impegnare significativamente il proprio capitale con un approccio più attivo. A mio giudizio, la recente oscillazione dei prezzi dipende dal fatto che sono sempre di più gli investitori che evitano le obbligazioni con un rendimento molto basso o negativo, mentre aumentano coloro che ritengono che stia per iniziare una fase di aumento dell’inflazione. In Europa il credito bancario aumenta, il prezzo del petrolio si è stabilizzato e i salari negli Stati Uniti stanno salendo. I mercati dove il rischio inflazione è più alto hanno reagito e dovrebbero continuare a farlo. Tutti hanno pensato che a un certo punto i rendimenti obbligazionari sarebbero saliti. A giudicare dagli ultimi sviluppi, il momento forse è arrivato.

Rendimenti al rialzo… davvero? Siamo a maggio ma fa freddo e questa settimana anche i mercati obbligazionari hanno tremato. È stato come se tutti si fossero resi conto improvvisamente che i rendimenti obbligazionari negativi non hanno senso e che, fatta salva una catastrofe economica, i tassi di interesse saliranno nel medio periodo. Il rendimento dei Bund tedeschi decennali ha più che raddoppiato questa settimana (non è una cosa che succede tutti i giorni, ma del resto non capita molto spesso che i rendimenti obbligazionari si attestino intorno ai 15 punti base, il livello raggiunto dai Bund a 10 anni lo scorso venerdì rispetto ai 37 p.b. di oggi). E sono saliti anche i rendimenti di tutti i mercati obbligazionari core, nonostante la Federal Reserve abbia tergiversato ancora dopo la pubblicazione delle stime di crescita del Pil per il 1° trimestre più basse del previsto.

L’esperienza ci insegna che l’impatto dei dati economici sui prezzi non è sempre prevedibile in questo mercato. Così come i rendimenti obbligazionari sono scesi in passato a fronte della solidità dei dati economici, con la stessa facilità possono salire in caso di delusioni. Il rialzo dei rendimenti ha poco a che fare con i dati, ma dipende maggiormente dalle dinamiche di domanda e offerta nei mercati obbligazionari in Euro, dal riposizionamento dei portafogli e dalla mancanza di liquidità.

In questo momento sembra effettivamente che la domanda di obbligazioni che offrono un rendimento negativo sia scarsa. Gli investitori istituzionali che sono costretti a detenere in portafoglio ingenti quantità di obbligazioni già lo fanno, mentre gli acquirenti marginali sembrano scomparsi poiché è difficile scovare una situazione in cui uno strumento con rendimento negativo offra un flusso di cassa positivo rispetto a una passività. Persino coloro che hanno acquistato Bund nella previsione che i rendimenti scendessero ancor più in territorio negativo probabilmente a questo punto hanno desistito. Quindi è probabile che siamo arrivati ai livelli minimi. Secondo un’altra tesi interessante, le banche dell’Eurozona, sia nei mercati core sia nei periferici, hanno in bilancio abbastanza titoli di stato e stanno iniziando a erogare prestiti, con rendimenti molto più interessanti.Abbiamo sempre pensato che l’Asset Quality Review, abbinata a una raccolta intensiva di capitali nel settore bancario e al Quantitative Easing, avrebbe portato alla fine a una ripresa della concessione di credito al settore privato. Sembra che ci stiamo dirigendo in questa direzione.

Alla fine saliranno… È interessante dal punto di vista psicologico osservare e analizzare il comportamento del mercato e le voci in circolazione. Mentre molti (noi compresi) da tempo sostengono che il mercato obbligazionario sia stato manipolato dal Quantitative Easing e che i rendimenti obbligazionari dovrebbero essere più alti, c’è chi ha pressoché accettato, come se fossero la “normalità”, i rendimenti negativi e ha contribuito a portare avanti la finzione che “non vi è crescita ed i tassi di interesse non saliranno mai”. Questi ultimi si battono contro ogni rialzo dei rendimenti e si appigliano a ogni notizia che riporta dati economici più deboli del previsto, senza operare alcuna distinzione tra gli effetti delle cattive condizioni climatiche, il calo degli investimenti collegato alla flessione della produzione di petrolio, nonché la solidità di base dell’economia dimostrata dalla crescita costante dell’occupazione e dall’aumento dei salari. Ma anche coloro che appartengono al primo gruppo e ritengono che i rendimenti prima o poi saliranno spesso esitano nel trarre questa conclusione. Forse hanno ragione.

Forse i rendimenti non saliranno molto, considerato che la Federal Reserve è ancora incerta su quando innalzare i tassi, mentre la Banca Centrale Europea e la Banca del Giappone stanno ancora acquistando ingenti quantità di titoli di stato. Ma i rendimenti obbligazionari core potrebbero anche aver toccato il fondo e ricominceranno a salire, per quanto non in modo lineare. Valutare il momento giusto per muoversi sul mercato è difficile, tuttavia a mio giudizio ci sono buoni motivi per posizionare un portafoglio obbligazionario in modo molto difensivo in termini di esposizione ai tassi di interesse. Ciò implica una duration più contenuta, conservando in portafoglio obbligazioni a breve termine, strumenti a tasso variabile e liquidità, concentrandosi sul rendimento attraverso un’esposizione nel credito dove lo spread ci ricompensa per il rischio di credito. In questo momento non ci sono molte opportunità in questo senso, ma il segmento high yield negli Stati Uniti continua ad essere interessante, come alcune componenti del mercato delle obbligazioni subordinate, tra cui il debito bancario AT1 e i corporate hybrid.

Non mi sembra che ci siano molte posizioni “short” nei mercati dei tassi in questo momento, pertanto l’andamento di questa settimana dev’essere stato doloroso per molti operatori del mercato, soprattutto perché ha riguardato l’intera curva dei rendimenti. Sia il mercato britannico sia quello tedesco hanno registrato ampie oscillazioni dei rendimenti obbligazionari a 30 anni.

Le aspettative inflazionistiche salgono Non è ancora chiaro quando la Federal Reserve innalzerà i tassi, dobbiamo aspettare i dati sulla crescita nel 2° trimestre per avere chiarezza. La banca centrale americana non ha detto nulla di nuovo dopo l’ultimo incontro del FOMC ma il mercato è concentrato sulla debolezza dei dati del 1° trimestre. Io sono più interessato ai dati sull’inflazione. Il rapporto sul costo dell’occupazione del 1° trimestre di questa settimana indica una contrazione del mercato del lavoro negli Stati Uniti. Salari e stipendi sono saliti dello 0,7% nel 1° trimestre, in aumento del 2,6% rispetto a un anno fa. Non siamo certamente tornati ai livelli prima della crisi, comunque la crescita dei salari si sta muovendo nella giusta direzione. Anche i prezzi degli immobili sono saliti ancora (Indice Case-Shiller +4,22% su base annua) e lo stesso vale per il prezzo del petrolio. A questi aumenti ha corrisposto anche l’incremento dell’inflazione di breakeven sul mercato obbligazionario. Effettivamente è una delle tendenze più chiare delle ultime settimane. Nel mercato dei TIPS negli Stati Uniti, il tasso di breakeven a 10 anni è passato da un minimo dell’1,53% a gennaio all’odierno 1,93%. Anche il mercato britannico dei linker e i titoli indicizzati all’inflazione in Europa hanno riportato un andamento simile. I breakeven, ovvero la differenza tra il rendimento dei titoli di stato nominali e delle obbligazioni indicizzate all’inflazione, sono rimasti sui minimi per buona parte del 1° trimestre, con l’opportunità di coprire il rischio inflazionistico nel medio periodo. I flussi sul mercato obbligazionario indicano che molti investitori hanno effettivamente incrementato le posizioni nei linker.

Il Quantitative Easing è in corso, la banca centrale americana è ancora riluttante a incrementare i tassi, il prezzo del petrolio probabilmente si sta consolidando e la crescita globale è in leggero miglioramento: i mercati dell’inflazione possono continuare su questa strada.

Liquidità, liquidità ovunque, ma… Forse la fase rialzista del mercato obbligazionario è giunta al termine e chi ha investito nel reddito fisso dovrà affrontare tempi duri. In questo caso, con una rivalutazione disordinata dell’intera asset class, la liquidità diventerà un problema chiave. Si sa che le banche non sono in grado di offrire gli stessi livelli di liquidità di una volta poiché l’attività di market making oggi implica un uso più costoso del capitale. Si sa anche che gli strumenti di investimento come gli ETF sono più importanti (e grandi) che mai sul mercato obbligazionario. Sappiamo che le obbligazioni sono costose e che molti investitori non avranno bisogno di incoraggiamento per iniziare a disinvestire. Quindi, cosa succede quando il sentiment del mercato sulle obbligazioni si fa negativo, gli investitori iniziano a riscattare le posizioni vendendo direttamente sul mercato oppure prelevano denaro dai fondi obbligazionari, mentre i dealer non sono in grado di conservare le obbligazioni in bilancio e quindi fanno un prezzo che cerca di scoraggiare i venditori dal negoziare con loro o che almeno dia loro l’opportunità di rivendere le obbligazioni a un prezzo migliore? Ci sarà una carneficina. La volatilità dei prezzi aumenterà molto, con ingenti perdite mark-tomarket e forse un aumento sistemico dell’instabilità finanziaria. Il movimento dei prezzi probabilmente non sarà in linea con i fondamentali. Anche nel periodo 2008-2009, solo pochissime obbligazioni sono risultate insolventi, ma i prezzi sono stati rivisti al ribasso in centinaia di casi poiché gli investitori hanno cercato di ridurre l’esposizione sul credito.

Secondo Moody’s ci sono state 14 insolvenze investment grade nel 2008 e 11 nel 2009 (89 e 203 per i mercati high yield) nel peggiore scenario per i mercati del credito. Il punto è che, a fronte della mancanza di liquidità, se assistiamo a un significativo sell-off nei mercati obbligazionari i prezzi rifletteranno un’aspettativa di insolvenza nettamente superiore ai livelli che verranno effettivamente registrati. I fondamentali del credito sono ben lontani dalle condizioni del 2008, considerata la leva che c’era in quel momento nel sistema. Di conseguenza, ci saranno opportunità di reinvestire in obbligazioni quando i prezzi scenderanno, anche se in quel momento sembrerà la cosa sbagliata da fare. Ci chiediamo quindi chi avrà il potere di farlo? Le banche stesse non hanno capitali sufficienti, pertanto la ripresa del mercato dipenderà dalla volontà degli investitori istituzionali di reimmettere liquidità sul mercato o dai fondi obbligazionari distressed che attendevano con pazienza di acquistare titoli high yield nel momento in cui i rendimenti fossero adeguatamente “alti”.

Chissà quando si abbatterà su di noi uno shock legato alla liquidità. Potrebbe essere un evento collegato all’aumento dei tassi (questa settimana qualcuno si è lamentato del grado di liquidità persino sui mercati dei Treasury) che a sua volta potrebbe portare a un ampliamento degli spread del credito. È difficile prepararsi a un evento di questo tipo ma, così come è stato suggerito di ridurre l’esposizione sui tassi di interesse, probabilmente oggi è saggio conservare in portafoglio una componente di cash più alta. Dopo tutto, il costo opportunità tra detenere moneta od obbligazioni è molto basso (sebbene non basso come una settimana fa).

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