“Andamento lento” per l’economia europea

A cura di Giordano Beani, head of Multi-Asset Fund Solutions Italy di Amundi Sgr

 

Il titolo del tormentone del grande batterista partenopeo Tullio De Piscopo presentato a Sanremo nel 1988 ben rappresenta la situazione delle economie globali in questo momento, così come il movimento dei mercati finanziari di settimana scorsa. L’andamento delle principali economie mondiali è ancora “lento” come hanno testimoniato la settimana scorsa il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Centrale Europea.

Il FMI ha infatti ridotto le stime della crescita globale per l’anno in corso dal 3,7% al 3,3% e a margine della riunione del Consiglio Direttivo della BCE di mercoledì 10, il Presidente Draghi ha ribadito che i tassi rimarranno invariati almeno fino a fine anno a causa dei numerosi rischi ancora presenti per la crescita in Area Euro: geopolitica, protezionismo, vulnerabilità di alcuni mercati emergenti. A poco è valsa la pubblicazione della produzione industriale in Italia e Francia per il mese di febbraio che inaspettatamente ha mostrato per entrambi i Paesi una variazione positiva e nell’intera Area Euro una contrazione inferiore al previsto.

L’atmosfera di cautela nell’Eurozona è stata poi ulteriormente alimentata dalle minacce di Donald Trump di imporre tariffe doganali su 11 miliardi di beni come ritorsione per i sussidi dell’Unione Europea al produttore di velivoli Airbus. Quanto ai rischi geopolitici rimane ancora assai ingarbugliata la vicenda Brexit. Al termine di un vertice di urgenza dei governi dell’Unione Europea, al Regno Unito è stata concessa una dilazione della data di possibile uscita fino al 31 ottobre. Il Regno Unito potrà comunque anticipare l’uscita qualora Theresa May riuscisse ad ottenere l’approvazione del deal da parte del Parlamento, che peraltro lo ha già respinto tre volte. Tutti gli scenari restano aperti a questo punto incluse possibili nuove elezioni politiche, un secondo referendum, la revoca dell’art. 50. Di sicuro v’è che questa incertezza non aiuta il “sentiment” né per l’economia della Regina, né per quelle dei 27.

Sul fronte microeconomico da segnalare la partenza della stagione dei risultati del primo trimestre negli Stati Uniti con JP Morgan che ha aperto le danze nel settore bancario, pubblicando ottimi risultati. Inoltre, nella giornata di venerdì forte balzo dell’11,5% di Walt Disney, titolo del Dow Jones Industrials, che ha presentato un nuovo servizio di streaming molto competitivo sul piano dell’offerta e del prezzo, dando fastidio così alla rivale Netflix (-4,5%). Infine, si riaffacciano le operazioni di acquisizione nel settore petrolifero con l’offerta di ben 33 miliardi di dollari lanciata da Chevron sulla Anadarko Petroleum, che ha chiuso in rialzo del 32%.

Gli spunti di venerdì hanno permesso al mercato azionario statunitense di chiudere la settimana in positivo con l’Indice S&P 500 in frazionale rialzo dello 0,51%. Andamento lento anche per l’Area Euro che chiude pressoché invariata la settimana, mentre il nostro mercato domestico riesce a chiudere leggermente in positivo (+0,46%). Frazionale anche il rialzo del Nikkei 225 (+0,29%) in Giappone e dei mercati emergenti che chiudono la settimana a +0,36% (Indice MSCI Emerging), con la Cina che lascia sul terreno l’1,8% (Indice CSI 300). Sui mercati obbligazionari governativi si riaffaccia in territorio positivo il rendimento del Bund tedesco decennale che chiude la settimana a +0,06% ed anche i rendimenti negli Stati Uniti per pari scadenza risalgono di 7 punti base a 2,57%.

Lo spread italiano chiude stabile a quota 248 punti base. Sulle divise il dollaro si indebolisce da 1,121 a 1,13 contro Euro, mentre la sterlina non reagisce eccessivamente alle notizie sull’ulteriore rinvio di Brexit. Infine, sulle commodity petrolio sostenuto a 71,6 dollari al barile per il Brent, mentre l’oro rimane sotto i 1.300 dollari l’oncia (1.290). In conclusione, per svegliarsi dall’andamento lento e riprendere la corsa al rialzo del primo trimestre i mercati finanziari hanno bisogno che la stagione dei risultati prosegua in modo positivo, soprattutto con riferimento alle “guidance” aziendali sul secondo trimestre ed al tempo stesso che le economie globali si risveglino anch’esse dal letargo invernale, generando qualche germoglio di speranza per una ripresa nella seconda parte dell’anno.

 

Azioni

Nonostante le revisioni al ribasso delle stime sulla crescita mondiale da parte del FMI, il peggioramento del deficit italiano, il rincaro del prezzo del petrolio mentre si sono riaccese le ostilità in Libia, l’ennesima proroga alla Brexit e le minacce di Trump sui dazi, questa volta nel settore aerospaziale, questa settimana i mercati azionari sono saliti benché frazionalmente (MSCI World +0,5%).

I listini azionari sono saliti a partire da gennaio e, a eccezione del Giappone, sono ritornati più o meno sui livelli di settembre. Il rally è stato favorito dal tono di gran lunga più accomodante delle banche centrali e dal rilassamento iniziale delle tensioni tra Stati Uniti e Cina, ed è stato accompagnato da un brusco rerating dei multipli. Il rally, per proseguire, avrà però bisogno di altre argomentazioni.

 

Obbligazioni governative

I rendimenti dei Treasury decennali USA e dei bund decennali tedeschi sono saliti di alcuni punti base, e le rispettive curve si sono appiattite.  Lo spread tra i titoli di Stato decennali italiani e quelli tedeschi è rimasto invariato, mentre il rendimento dei titoli di Stato decennali britannici è rimasto complessivamente invariato.

In occasione della riunione di aprile della BCE, il presidente Draghi ha inviato un messaggio prudente, non escludendo la possibilità di un ulteriore allentamento della politica monetaria se le condizioni macroeconomiche non miglioreranno nei prossimi mesi. Questi due fattori  hanno contribuito a esercitare una pressione ribassista sui rendimenti dei titoli di Stato.

 

Obbligazioni corporate

Gli spread delle obbligazioni societarie sono rimasti nel complesso stabili nel corso della settimana, in un contesto di mercato primario piuttosto  attivo e dove non sono giunte notizie di rilievo né dalla riunione della BCE, né dagli ultimi verbali del FOMC.

Dal confronto tra i fattori che guidano il mercato del credito USA e quello europeo escono vincitrici le obbligazioni denominate in euro che beneficiano di valutazioni prossime al valore equo, di un indebitamento minore e di fattori tecnici più forti in un contesto caratterizzato da una caccia più serrata al rendimento.

 

Tassi di cambio

Nel corso della settimana il dollaro si è leggermente svalutato nei confronti dell’euro. La corona norvegese è stata una delle valute che ha messo a segno la miglior performance rispetto al biglietto verde. L’inflazione è stata superiore alle attese e quindi è aumentato il rischio di una stretta monetaria da parte della banca centrale norvegese. Tra le valute dei mercati emergenti, il peso messicano si è apprezzato nei confronti del dollaro USA, ma la volatilità rimane piuttosto alta e strettamente legata alla retorica sul commercio.

Il nostro scenario di base di una stabilizzazione della crescita mondiale implica un euro più forte, sempre che non si concretizzino i timori di una recessione negli Stati Uniti. A breve termine il biglietto verde rimarrà favorito rispetto all’euro e perderà un po’ di slancio solo a partire dal terzo trimestre 2019, quando verranno meno alcuni dei fattori temporanei che sostengono il dollaro USA. Riteniamo che le valute dei mercati emergenti possano ancora rivalutarsi sul dollaro nel corso del 2019, ma sarà cruciale rimanere selettivi.

 

Materie prime

Il calo delle forniture da parte dei Paesi OPEC e la riduzione della produzione da parte dell’Arabia Saudita e la contrazione delle esportazioni dal Venezuela e dall’Iran sono i principali elementi che spingono al rialzo le quotazioni del greggio, in aumento per la sesta settimana consecutiva. La quotazione dell’oro è rimasta inferiore ai 1.300 dollari l’oncia. Su scala mondiale, i metalli di base hanno ritracciato dell’1% questa settimana, mentre i metalli industriali hanno dato prova di buona tenuta.

La crescita economica continua a favorire le materie prime. Ipotizziamo ancora un range di 55-65 dollari al barile per il WTI nonostante il forte rimbalzo recente dovuto  soprattutto al taglio della produzione da parte dell’OPEC e alla stabilizzazione dell’economia. L’allentamento delle condizioni finanziarie e la fine della riduzione del bilancio da parte della Fed dovrebbero sostenere l’oro nel 2019, mentre la solidità del dollaro rimane il principale ostacolo potenziale.

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