Argentina, che succede?

A cura di Claudia Calich, M&G Investments

Nei giorni scorsi gli asset argentini sono stati messi a dura prova.  Ho ritenuto utile fare alcune considerazioni sugli ultimi movimenti e sulle implicazioni future per i mercati.
Negli ultimi due mesi il peso argentino aveva cominciato a essere sopravvalutato in termini reali, in seguito agli ingenti afflussi da parte di investitori esteri nel 2017. Questi flussi di capitale hanno provocato una svalutazione del tasso di cambio nominale ben inferiore rispetto all’inflazione. Gli investitori in asset argentini hanno citato il tema del carry trade, la volatilità relativamente contenuta e l’ingresso dei bond sovrani argentini in valuta locale negli indici JP Morgan Government Bond come ragioni di investimento.
Tuttavia, le cose hanno iniziato a prendere una piega diversa alla fine dello scorso anno, quando la Banca Centrale dell’Argentina (BCRA) ha compiuto un errore di politica monetaria, innalzando l’obiettivo di inflazione del 2018 dal 10 al 15%. L’adeguamento di tale obiettivo di inflazione ha conseguentemente permesso alla BCRA di tagliare i tassi di interesse a inizio gennaio di quest’anno.
Il taglio dei tassi di interesse ha intaccato la credibilità della BCRA e sono sorti timori circa possibili ingerenze da parte del governo in ambito di politica monetaria. Un altro errore nello stesso ambito è risultato dall’annuncio di una tassa del 5% su investimenti in buoni del Tesoro in pesos argentini, che ha avuto un impatto sia sugli investitori residenti nel Paese che su quelli esteri e ha determinato una riduzione di partecipazioni in questo tipo di investimenti.
I dati di inflazione più elevati del previsto e l’apprezzamento del dollaro USA hanno generato forti pressioni sul peso argentino. Dopo un tentativo di sostegno alla valuta locale tramite l’acquisto di peso pari a oltre 5 miliardi di USD nel mercato valutario, la BCRA ha finalmente capito che andava applicata una politica di contrazione monetaria. Abbiamo attualmente assistito a 3 rialzi d’emergenza (un 12% combinato),  che hanno portato il tasso di riferimento a un esorbitante 40%.  A mio avviso le autorità monetarie saranno ora in grado di rallentare il deprezzamento valutario.

Il peso sopravvalutato ha anche contribuito a un aumento del disavanzo delle partite correnti del 5%. Ora mi aspetto che tale disavanzo ricominci a contrarsi nuovamente con il rientro della moneta verso un equilibrio (diciamo, a24-26 rispetto al dollaro USA entro fine anno) e il rallentamento dell’economia in seguito alla contrazione monetaria e fiscale (è stata anche annunciata una contrazione dello 0,5% del deficit fiscale). Le implicazioni saranno un’inflazione più elevata quest’anno e potenzialmente anche il prossimo, una crescita inferiore e un ulteriore declino della popolarità di Macri.
È una situazione di default? Non ancora. A mio parere, piuttosto una rivalutazione del rischio argentino iniziata già nei primi mesi di quest’anno, associata a una correzione di mercato già in atto nello spazio di valuta locale e valuta forte.
Comunque per il momento credo ci siano due aspetti positivi in questa situazione. In primo luogo, le prossime elezioni avranno luogo appena a fine 2019, pertanto le autorità hanno ancora qualche tempo prima di sottoporsi all’amaro rimedio quest’anno (inclusi gli aumenti di tariffe sulle utility, una svalutazione del peso, un tentativo di controllare le prossime trattative sui salari pubblici a settembre). Accettare tali misure permetterà all’economia di adeguarsi nuovamente nel corso del 2018. L’opposizione e i peronisti sono ancora divisi e dunque, anche se le possibilità di una rielezione di Macri e di continuità della politica monetaria sembrano attualmente molto più complesse, non è ancora detto che gli argentini sceglieranno un altro governo populista.
In secondo luogo, forse verrà coinvolto il FMI. A differenza di altri Paesi che sarebbero ideologicamente opposti a un programma FMI (sicuramente il Venezuela, potenzialmente la Turchia, mentre l’Ecuador è incerto come sempre), le autorità potrebbero finire sotto l’egida di un programma se perdono accesso ai mercati e/o se l’Argentina dovesse trovarsi in una situazione di crisi di pagamento alimentata da fuga di capitali. In passato Argentina e FMI hanno avuto un rapporto tumultuoso, ma sotto diverse amministrazioni (Menem, Nestor e Cristina). L’obiettivo in questo caso, per entrambe le parti, sarebbe assicurare la stabilità in modo tale che l’Argentina non torni alle sue fallimentari politiche populiste sotto una nuova amministrazione. Il governo attuale pullula di tecnocrati che se ne rendono conto e che, al momento del dunque, convincerebbero Macri che questa sarebbe la soluzione meno negativa. Un evento del genere apporterebbe le risorse di finanziamento sufficienti almeno fino alla fine del prossimo anno.

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