Asset allocation: aumentiamo le difese

Con un’economia globale ostaggio dell’epidemia di coronavirus, gli investitori dovrebbero preoccuparsi di rafforzare le loro difese nel breve termine. E’ l’indicazione che emerge dal Barometro di febbraio 2020, panoramica mensile sull’asset allocation a cura della Strategy Unit di Pictet Asset Management.

Gli investitori stanno cercando di comprendere quale possa essere l’impatto del coronavirus che imperversa in Cina. Gli epidemiologi non sono ancora in grado di quantificare l’impatto reale del virus, in quanto non hanno ancora una idea chiara di quanto sia infettivo e mortale, né di quanto facilmente si diffonda prima che le vittime mostrino i sintomi. Potrebbe anche rivelarsi poco più dell’ennesima variazione del virus dell’influenza stagionale. O qualcosa di decisamente più aggressivo: l’Organizzazione Mondiale della Sanità l’ha definita un’emergenza globale.

Per il momento, gli investitori stanno effettuando dei confronti con la Sars, la precedente grande epidemia di coronavirus che si è diffusa a partire dalla Cina, nel 2003 (si veda la Fig. 1). All’epoca, la reazione iniziale dei mercati fu molto intensa, influenzata dall’elevato tasso di mortalità della Sars, e dai suoi immediati effetti negativi sull’economia cinese. Poi, visto il rapido contenimento dell’epidemia, la ripresa fu altrettanto decisa, con un effetto economico netto sull’anno trascurabile. Se adesso si ripetesse un risultato simile, i mercati emergenti ne uscirebbero rafforzati. Tuttavia, vi sono differenze tra cosa sta accadendo adesso e quanto si è verificato nel 2003. Il coronavirus pare meno mortale, ma anche meno facile da contenere. E, di importanza cruciale, il peso della Cina nell’economia globale è oggi quattro volte maggiore rispetto al 2003.

Il Presidente della Federal Reserve statunitense, Jerome Powell ha già dichiarato di seguire gli sviluppi con attenzione, così come i suoi colleghi in tutto il mondo. La banca centrale cinese ha aggiunto una dose di emergenza di liquidità per attutire il colpo nei suoi mercati alla ripresa degli scambi, dopo i festeggiamenti del Capodanno cinese. Ma le misure fiscali sono destinate ad avere un impatto più immediato sull’economia in generale. Il governo cinese ha ridotto le aliquote sulle imposte durante la crisi della SARS ed è probabile che adotti di nuovo una politica simile per mitigare le ripercussioni sulla domanda interna e sulla produzione se le quarantene proseguiranno significativamente oltre le festività cinesi di fine anno, che seguono il calendario lunare. Ed è possibile un’accelerazione della spesa per le infrastrutture nel corso dell’anno. Tutto ciò considerato, manteniamo la nostra posizione neutrale sulle azioni, ma aumentiamo l’esposizione agli attivi più difensivi, modificando la posizione sulle obbligazioni da sottopesata a neutrale.

Mettendo da parte i rischi posti dal coronavirus, soprattutto per le economie asiatiche, il nostro modello di ciclo economico registra prospettive equilibrate nella maggior parte del mondo, sebbene gli Stati Uniti paiano essere in una posizione privilegiata. Il sentiment delle aziende si è ampiamente ripreso dai bassi livelli dello scorso anno. Il nostro modello di analisi delle valutazioni segnala un pericolo per il mercato azionario statunitense. Per contro, i mercati azionari britannico e giapponese continuano a scambiare a livelli interessanti rispetto ai loro fondamentali.

Dopo una corsa poderosa, l’oro inizia a sembrare costoso anche se, in un mondo che mostra rendimenti obbligazionari irrisori e un eccesso di rischi, rimane pur sempre una copertura con una valutazione interessante.

I nostri dati sulla liquidità sono stabili, con iniezioni di liquidità per 1.200 miliardi di dollari da parte delle banche centrali – pari a circa il 2% del Pil globale – previste per quest’anno. Il mercato, tuttavia, sta scontando misure di stimolo anche maggiori, il che potrebbe portare potenzialmente a una delusione, per quanto la risposta della Cina al coronavirus potrebbe colmare parte della differenza.

I nostri indicatori tecnici continuano a essere di segno positivo, soprattutto adesso che entrano in gioco fattori stagionali positivi. Tuttavia, ci sono segnali di allerta per alcuni attivi: obbligazioni high yield, titoli tecnologici e il peso messicano paiono tutti iperacquistati in base ai nostri modelli.

Regioni e settori azionari: alla ricerca del valore

La rottura dei record è stata un evento comune nei mercati azionari globali, e gennaio non ha fatto eccezione. Il mese ha registrato nuovi picchi sia per l’Msci All Country World che per l’S&P 500. Le azioni paiono di conseguenza un po’ costose, con valutazioni più difficili da giustificare nel contesto di crescenti timori per l’impatto economico negativo dell’epidemia di coronavirus.

In tale situazione, riteniamo i titoli value più interessanti delle controparti growth. Ciò vuol dire essere sovrappesati sui finanziari. Sono tra i settori più convenienti, e anche quelli destinati a beneficiare dello stimolo delle banche centrali.

Per contro, siamo sottopesati sul settore dei beni di consumo voluttuari. Non solo è il più costoso in base al nostro modello di valutazione, ma è anche destinato ad essere quello più colpito dalle conseguenze del coronavirus. Le aziende in territorio cinese saranno colpite in modo particolarmente grave, soprattutto poiché le quarantene e i timori di contagio spingono le persone a rimanere a casa. Ci saranno anche conseguenze più ampie: meno turisti cinesi soggiorneranno negli alberghi e acquisteranno beni di lusso in altri Paesi (i consumatori cinesi rappresentano un terzo del mercato globale dei beni di lusso personali, secondo i dati forniti da McKinsey).

Nel frattempo, rimaniamo attratti dai titoli britannici, sostenuti da una situazione politica più stabile e dalla capacità del mercato di generare robusti livelli di reddito: il Ftse 100 ha un rendimento da dividendo di circa il 4,7%, rispetto all’1,8% dell’S&P 500.

Continuiamo anche a preferire i titoli dell’eurozona a quelli statunitensi. Negli Stati Uniti, il premio di rischio azionario – una stima dell’extra-rendimento offerto dalle azioni rispetto a un tasso privo di rischi – si attesta al 5,4%, ben inferiore a quello dell’8% del mercato tedesco. Sebbene nei mesi scorsi l’economia tedesca abbia risentito delle dispute commerciali, ci sono motivi di ottimismo. I consumi europei sono solidi, con le vendite al dettaglio in crescita di oltre il 2% su base annua, e una continua crescita dei mutui ipotecari che ha raggiunto nuovi livelli massimi. Anche il sentiment tedesco è migliorato; qualora i dati reali dovessero seguire tale trend, come ci attendiamo, i mercati azionari europei ne dovrebbero trarre beneficio.

In effetti, gli Stati Uniti paiono costosi praticamente secondo ogni criterio di misurazione. Il rapporto Peg del mercato statunitense, che indica il rapporto price-to-earnings growth (P/E diviso per le previsioni di crescita degli utili secondo gli analisti), è salito alle stelle nell’ultimo anno, a un livello mai raggiunto in precedenza. È di pochissimo inferiore a 1,8, rispetto a una media di lungo termine dell’1,25, uno scostamento di quasi quattro deviazioni standard (si veda la Fig. 2).

Tuttavia, le valutazioni non sono l’unico criterio da prendere in considerazione per le decisioni d’investimento, e nel caso degli Stati Uniti riteniamo opportuno rimanere neutrali piuttosto che negativi. Per iniziare, è possibile che l’economia possa riprendersi. L’attività immobiliare sta guadagnando terreno, alimentata dalla discesa dei tassi sui mutui ipotecari e siamo incoraggiati dai primi segnali di ripresa degli investimenti negli immobili non residenziali. In secondo luogo, la Fed rimane incoraggiante. E in terzo luogo, sebbene la stagione degli utili trimestrali finora abbia evidenziato profitti in calo, la maggior parte delle società è riuscita a superare le previsioni degli analisti, decisamente ribassate.

Reddito fisso e valute: più coperture

Nonostante il nostro ottimismo per l’economia globale nel medio termine, siamo più cauti sulle sue prospettive nel breve termine. Per questo motivo continuiamo a mantenere diversi attivi difensivi.

Ad esempio, rimaniamo sovrappesati sull’oro, che tradizionalmente offre protezione dalle possibili flessioni economiche. Inoltre, il metallo prezioso dovrebbe anche essere sostenuto da bassi tassi d’interesse reali; il prezzo dell’oro tende a salire ogni volta che i tassi reali scendono. Negli Stati Uniti, il rendimento delle obbligazioni di Stato a cinque anni rettificato per l’inflazione si sta avvicinando al -0,7%, che non si vedeva da sette anni. Manteniamo anche un’esposizione superiore alla media al franco svizzero, una valuta che di norma si apprezza quando le condizioni economiche si deteriorano.

Aumentando le nostre coperture difensive, manteniamo l’esposizione ai Treasury Usa, che forniscono un’assicurazione aggiuntiva contro le conseguenze economiche dell’epidemia di coronavirus. Queste posizioni difensive sono perlopiù tattiche. Nel medio termine, prevediamo la buona tenuta di alcune aree di maggior rischio del mercato obbligazionario. Come le obbligazioni dei mercati emergenti. Non solo gli attivi dei mercati emergenti vantano rendimenti interessanti, ma le valute dei mercati emergenti sono anche sottovalutate fino al 25%, in base al nostro modello.

L’apprezzamento valutario da noi stimato dovrebbe fornire una fonte chiave di rendimento per gli investitori nelle obbligazioni in valuta locale dei mercati emergenti, in quanto nell’ultimo decennio l’apprezzamento valutario è valso circa un quarto del rendimento totale della classe di attivi.

Le obbligazioni cinesi onshore paiono essere particolarmente interessanti. Potrebbero attirare flussi di investimento, in quanto questi strumenti nel corso del mese verranno inseriti nell’indice flagship JP Morgan GBI-EM – a riprova dell’internazionalizzazione del secondo mercato obbligazionario più grande al mondo per dimensioni. Le obbligazioni cinesi denominate in renminbi saranno inserite nell’indice di riferimento nell’arco di un periodo di 10 mesi, fino a raggiungere un peso massimo del 10% dell’indice.

Continuiamo a stare alla larga dal credito dei mercati sviluppati. Dopo aver messo a segno utili a due cifre nel 2019, la classe di attivi potrebbe faticare quest’anno, con spread di rendimento già saliti di 50 punti base dai minimi del 2018. La curva dei rendimenti statunitense indica che il tasso di insolvenza nella componente di maggiore rischio delle obbligazioni societarie è destinata a raddoppiare nei prossimi cinque anni a circa il 6%.

Nel mercato valutario, una delle nostre convinzioni a lungo termine è che il dollaro è destinato a indebolirsi. Tra le valute dei mercati sviluppati, riteniamo che la sterlina abbia potenziale per crescere di più rispetto al dollaro, in quanto è una delle valute più sottovalutate.

Panoramica sui mercati globali: momento difficile per le azioni

Le azioni hanno vissuto un inizio anno volatile. L’Msci All Country World ha raggiunto livelli record prima di invertire la marcia per chiudere il mese in territorio negativo. Il sentiment è stato colpito dalla notizia della diffusione del coronavirus in Cina e oltre i confini.

Il mercato azionario cinese è rimasto chiuso per un periodo di vacanza prolungato per il Capodanno cinese durante l’ultima settimana di gennaio, mentre l’indice Hang Seng di Hong Kong ha perso più del 5% in soli due giorni, scendendo quasi ai minimi degli ultimi due mesi (si veda la Fig. 4). I mercati emergenti in generale hanno chiuso il mese di gennaio in calo di circa il 3% in valuta locale.

Anche i titoli statunitensi hanno registrato una flessione a fine mese, ma sono comunque riusciti a evitare di finire in territorio negativo. Delle 226 società dell’S&P 500 che hanno già annunciato i risultati del quarto trimestre, il 69,5% è riuscito a superare le previsioni di utili, secondo i dati di Refinitiv Lipper Alpha Insight.

Tra i settori globali, i titoli energetici sono stati i più penalizzati, in calo di circa l’8% in termini di valuta locale, mentre il prezzo del petrolio è sceso del 13%. Anche i titoli legati ai materiali e alle materie prime sono stati penalizzati. Per contro, i tecnologici e i titoli legati ai servizi di pubblica utilità sono riusciti a mettere a segno robusti guadagni.

I mercati obbligazionari hanno beneficiato dell’incertezza degli investitori, con le obbligazioni di Stato dei mercati sviluppati che hanno tenuto particolarmente bene. I Treasury Usa hanno reso oltre il 2% a gennaio.

Il biglietto verde ha registrato un ottimo mese, guadagnando l’1% rispetto a un paniere di valute ponderate per gli scambi commerciali. Le valute dei mercati emergenti, come il rand sudafricano, sono state particolarmente penalizzate, per via del timore degli investitori per la diffusione del coronavirus e per le sue conseguenze economiche. Conseguenze negative anche per il dollaro australiano, che ha perso quasi il 5%, registrando livelli mai visti nell’ultimo decennio. Per contro, l’oro ha beneficiato dei flussi in qualità di bene rifugio, guadagnando circa il 4%.

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