Asset allocation, tre nuove sfide in un’economia a fine ciclo

“L’opinione prevalente è che l’economia globale sia nella fase finale del ciclo e si stia avviando verso una recessione. Tuttavia, non c’è consenso sul momento in cui questa frenata si concretizzerà e questo pone una sfida dal punto di vista dell’asset allocation: bisognerebbe infatti posizionare i portafogli in vista di una battuta d’arresto inevitabile, evitando però di restare completamente esclusi dai rialzi del mercato che potrebbero verificarsi nel frattempo”. Lo sottolinea Yoram Lustig, Responsabile delle Soluzioni Multi-Asset Emea di T. Rowe Price.

A complicare ulteriormente l’impresa c’è il fatto che diversi presupposti consolidati nel tempo in materia di asset allocation si stanno dimostrando meno affidabili che in passato. Ecco, secondo Lustig, tre criticità che gli approcci tradizionali di asset allocation si trovano ad affrontare.

1. Le correlazioni medie non sono molto indicative

Spesso chi si occupa di asset allocation utilizza i dati di correlazione media per cercare di prevedere il comportamento dei vari elementi del portafoglio in relazione fra loro. Tuttavia, i fatti dimostrano che le correlazioni cambiano notevolmente a seconda che i mercati azionari mostrino performance molto positive o molto negative. In linea generale, quando sarebbe utile che la correlazione fosse positiva – ossia nei momenti di performance azionarie molto positive – spesso invece è negativa, e viceversa.

Per essere più precisi, sembra che la natura positiva o negativa delle correlazioni dipenda principalmente da quale elemento esercita l’influenza dominante sul mercato: il ciclo economico o la politica monetaria. Quando è il ciclo economico a dettare l’andamento dei mercati, tendenzialmente la relazione è negativa: alle soglie di una recessione, i prezzi delle azioni tendono a scendere mentre quelli obbligazionari salgono; in uscita da una recessione, le quotazioni azionarie tendono a salire mentre i prezzi delle obbligazioni calano. Ci sono però dei periodi in cui i prezzi degli asset sono influenzati più da fattori come l’inflazione e le mosse delle banche centrali che non dal ciclo economico. In questi casi, i prezzi azionari e obbligazionari tendono ad essere positivamente correlati: scendono simultaneamente, ad esempio quando l’inflazione è alta, e aumentano insieme quando le aspettative puntano a un allentamento della politica monetaria da parte delle banche centrali.

Alla luce di questo, è evidente che in determinate circostanze i dati sulla correlazione media si dimostreranno uno strumento inefficace: meglio allora acquisire una conoscenza più approfondita del modo in cui le correlazioni cambiano nel tempo.

2. La costruzione del portafoglio basata sulle “etichette”

Tradizionalmente si dividono gli attivi in tre categorie generali: azioni, reddito fisso e alternativi. Col tempo, però, sono emersi altri sottogruppi all’interno di ciascuna categoria: in ambito azionario sono sorte sottoclassi per i vari Paesi e regioni e nel reddito fisso è iniziata la distinzione fra debito sovrano e investment grade, debito high yield e debito dei mercati emergenti in valuta locale. Tuttavia, alcune delle nuove categorie obbligazionarie, per esempio il debito high yield e quello dei mercati emergenti, sono più correlate alle azioni che non ai titoli di Stato. Questo crea delle difficoltà: se si includono nelle componenti obbligazionarie asset che si comportano in modo simile alle azioni, la performance complessiva del portafoglio sarà alterata.

Per evitare questo, sarà necessario abbandonare le categorie convenzionali per adottare nuove classificazioni basate sul comportamento degli asset – ad esempio, ‘crescita’, ‘difensivi’ e ‘decorrelati’. Gli asset di crescita probabilmente comprenderanno le azioni giapponesi, europee e statunitensi e le obbligazioni high yield, insieme al debito dei mercati emergenti in valuta locale; quelli difensivi saranno costituiti generalmente dai titoli di Stato core e dalle obbligazioni investment grade; infine, gli asset decorrelati includeranno le strategie azionarie long/short e altri tipi di hedge fund.

3. Il reddito fisso potrebbe non essere quello che pensate

Infine, bisogna considerare che anche gli asset obbligazionari tradizionali come i titoli sovrani potrebbero non realizzare più le performance di un tempo. Storicamente i titoli di Stato dei mercati sviluppati hanno generato rendimenti complessivi relativamente bassi mantenendo una duration contenuta, rimanendo molto meno volatili delle azioni e degli strumenti analoghi. Negli ultimi tempi, però, i rendimenti sono crollati e la duration è aumentata. Se negli ultimi 30 anni ci fossero stati i livelli odierni di rendimento e duration, i titoli di Stato sarebbero stati un’asset class più volatile del 30-40%. Questo vuol dire che i titoli sovrani implicano un rischio decisamente maggiore rispetto al passato.

Adottare un approccio più sofisticato

“Per gli investitori che intendono modificare i portafogli in vista di una possibile svolta negativa dell’economia mondiale – conclude l’esperto – potrebbe essere utile abbandonare alcuni presupposti tradizionalmente accettati e adottare un metodo diverso, basato su un’allocazione geografica e settoriale e una gestione della duration entrambe di tipo attivo. Un periodo come questo, in cui vari Paesi del mondo si trovano in fasi molto diverse del ciclo dei tassi di interesse, offre un’ottima opportunità per costruire portafogli diversificati, composti da asset scarsamente correlati fra loro. Siamo convinti che questo sia l’approccio più efficace per affrontare il periodo di volatilità a cui potremmo andare incontro”.

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