Aumentano i rischi legati al debito dei Paesi Emergenti

di Maurizio Chicco, Assistant Portfolio Manager di MoneyFarm

Su un mercato affamato di rendimento, il debito dei paesi emergenti è tornato da alcuni trimestri al centro dell’attenzione degli investitori. Dal punto di vista delle organizzazioni internazionali, circa un mese fa in un incontro a Mumbai Christine Lagarde ha evidenziato i potenziali rischi legati al futuro aumento dei tassi d’interesse da parte della FED, una eventuale ripetizione del cosiddetto “taper tantrum” di maggio 2013: l’annuncio della fine del QE da parte della FED nel maggio 2013 portò a disinvestimenti da parte degli investitori esteri, perdite sulle obbligazioni emesse in valuta locale, deprezzamento delle valute locali e aumento della loro volatilità.

I timori del FMI e di altre organizzazioni internazionali quali la BIS sono legati agli ingenti flussi di capitale che i mercati emergenti hanno ricevuto dal 2009 a questa parte. Secondo i dati del FMI tra il 2009 e la fine del 2012 i paesi emergenti hanno ricevuto flussi di capitale in entrata lordi equivalenti a 4,5 trilioni di dollari, ovvero circa la metà di tutti i flussi di capitale a livello globale. Le società dei paesi emergenti hanno approfittato da parte loro dei tassi di interesse bassi nei paesi sviluppati per finanziarsi in dollari. Questo potrebbe creare rischi e tensioni perché l’apprezzamento del dollaro contro alle valute locali rende più oneroso il rimborso del debito, impattando negativamente la crescita economica.

L’atteso processo di normalizzazione della politica monetaria della FED potrebbe portare a flussi in uscita dai mercati emergenti da parte degli investitori esteri, a favore di mercati percepiti come meno rischiosi. Un rialzo dei tassi negli Stati Uniti potrebbe esacerbare il deprezzamento delle valute locali contro al dollaro americano rendendo ulteriormente più oneroso l’indebitamento in dollari di società o governi dei paesi emergenti. In tal caso le Banche Centrali dei paesi emergenti si troverebbero di fronte ad un bivio: aumentare anche loro i tassi per evitare che gli investitori spostino i propri investimenti verso investimenti meno rischiosi (ed ora più redditizi), oppure non aumentare i tassi per non aumentare il costo dell’indebitamento in valuta locale, dovendo però accettare un indebolimento delle valute e un maggior rischio di inflazione.

Da un lato queste preoccupazioni relative ai mercati emergenti sono sensate e giustificate. Dall’altro lato questi emittenti hanno retto bene gli shock recenti e sono più resilienti che in passato. In particolare, per quanto riguarda le obbligazioni societarie, i tassi di default sono rimasti su livelli storicamente molto bassi, malgrado un quadro macroeconomico avverso caratterizzato da prezzo delle materie prime in declino e dollaro forte.

In generale i paesi emergenti sono sempre meno omogenei e vanno fatte alcune considerazioni sui singoli casi. Per quanto riguarda le economie emergenti asiatiche buona parte delle società emittenti si coprono dal rischio di cambio e/o generano parte dei loro utili in dollari pertanto sono in grado di onorare i loro debiti indipendentemente dall’apprezzamento del dollaro. Molte di queste aziende sono di proprietà famigliare, con amministratori delegati avversi al rischio nella gestione dell’esposizione valutaria. Nondimeno, questo non vuol dire che non vi siano rischi legati ad un dollaro forte a livello di singoli settori e aziende. I paesi e le aree più a rischio rimangono quelli maggiormente esposti a tre principali tematiche.

La prima riguarda l’impatto del crollo del prezzo del petrolio sulla sostenibilità del debito delle aziende del settore energetico. Da questo punta di vista, i paesi con il rapporto più elevato tra debiti societari denominati in valuta estera legati al settore energetico e PIL sono Venezuela, Kazakistan, Tailandia e Messico.

Il secondo tema riguarda la gestione domestica della politica macroeconomica e questioni geopoliche. Su questo fronte i paesi più delicati sono Argentina, Russia e Venezuela.

Infine, come già detto, ci sono i rischi legati all’apprezzamento del dollaro americano. Questo rischio colpisce principalmente le economie latino-americane per quanto riguarda il debito governativo.

Il debito dei paesi emergenti è oggi molto più vasto rispetto agli anni ‘90, ma è anche più liquido e diversificato. L’investitore internazionale ha quindi la possibilità di investire su temi specifici e con maggior focus su singoli paesi, aree valutarie o tipologie di rischio di credito. I mercati locali sono più liquidi di quanto fossero nel passato i mercati in valuta forte, perché sono attivi fondi pensione ed investitori locali che erano poco sviluppati negli anni ‘90.

La normalizzazione dei tassi americani rimane quindi un rischio, ma non molto diverso rispetto a quello che riguarda tutti gli strumenti finanziari rischiosi che in questi anni hanno beneficiato della politica di tassi zero a livello globale.

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!