Automotive al bivio fra pressione sui margini e investimenti sul futuro

L’industria dei fornitori di autoveicoli rallenta. E parecchio. Nei primi sei mesi del 2019 la produzione a livello mondo è scesa del 5% rispetto allo stesso periodo del 2018. Non solo. L’Ebit previsto per fine 2019 è stimato al 6%: il più basso dal 2012 ad oggi. Nel 2018 si è attestato al 7,2%. Sono i dati contenuti nel “Global Automotive Supplier Study 2019“, lo studio firmato da Roland Berger e Lazard, secondo cui le tensioni internazionali e i rallentamenti economici globali stanno mettendo a dura prova un segmento già sotto pressione. Lo studio si basa sull’analisi degli indicatori di performance di circa 600 fornitori su base globale.

Crollo a doppia cifra per la Cina

Sono diversi i fattori che hanno influito sul rallentamento del mercato. A cominciare dal brusco calo della Cina, da anni forza trainante dell’industria automobilistica globale. La guerra commerciale con gli Stati Uniti ha alterato significativamente le condizioni del mercato. Un dato su tutti: nel primo semestre 2019 le immatricolazioni di autoveicoli nel Paese del Dragone hanno subito un crollo a doppia cifra rispetto allo stesso periodo dell’anno prima. Una decrescita che si è andata inevitabilmente scontrando con gli investimenti fatti alla luce delle precedenti previsioni di crescita positive che, per alcuni, si sono tradotti in una sovraccapacità del 60-70%. Con ovvi contraccolpi anche per i fornitori che fanno fatica, e non poca, a garantirsi l’equilibrio finanziario necessario. Soprattutto nel medio-lungo periodo. E le banche non aiutano. Perché sono più restie a concedere finanziamenti ai player di un settore in profondo e rapido mutamento. Freno premuto anche sul fronte delle fusioni e delle acquisizioni da parte delle società cinesi che sono state, negli ultimi anni, grandi protagoniste su scala globale.

Un nuovo ecosistema all’orizzonte

La dinamica del mercato automotive in Cina è solo una delle questioni sul tavolo. Esiste una consapevolezza diffusa che i nuovi modelli di business riuniti nell’acronimo Made – mobilità, guida autonoma, digitalizzazione ed elettrificazione trasformeranno radicalmente il trasporto di persone e merci nei prossimi anni, consegnandoci un intero ecosistema radicalmente trasformato a partire dal 2030. Investire sul futuro diventa obbligatorio per i fornitori, pur nell’incertezza dei ritorni attesi e con le crescenti pressioni da parte dei costruttori che stanno mettendo in atto iniziative di riduzione costi. Così per l’intera filiera si impone l’obbligo di coniugare profittabilità del proprio business tradizionale, equilibrio finanziario e iniziative per la mobilità del futuro. Naturale il vantaggio competitivo di cui godono le aziende di più grandi dimensioni e finanziariamente solide.

“Le imprese italiane hanno saputo navigare la complessità con successo, dimostrando straordinaria tenacia, spirito di adattamento e capacità di risolvere i problemi dei propri clienti. Entro i prossimi dieci anni la filiera italiana è chiamata a gestire una nuova transizione. Le imprese ancora troppo sbilanciate su domini tecnologici tradizionali dovranno rafforzarsi e aprirsi alle nuove tecnologie e ai modelli di business innovativi”, commenta Andrea Marinoni, Senior Partner di Roland Berger.

I passi da seguire secondo Roland Berger

Non esiste un rimedio universale applicabile alla moltitudine di sfide che si stanno delineando. Pertanto, ogni fornitore deve trovare la propria via, basandosi sulla situazione di partenza e sul proprio posizionamento di mercato. Secondo gli esperti di Roland Berger bisognerà puntare sulla flessibilità per stare al passo con gli sviluppi tecnologici, dotarsi di strutture e processi agili e adottare una mentalità collaborativa. E la gestione attiva del portafoglio prodotti diventa un punto cardine. Soprattutto quando si tratta di difendere la leadership di mercato in aree caratterizzate da stagnazione o calo nel lungo periodo, valutando l’exit come opzione per ribilanciare l’offerta su segmenti di business più promettenti.

“In Italia ci troviamo di fronte a una duplice sfida. Da una parte, occorre governare la transizione delle aziende automotive tradizionali valorizzandone gli asset riconosciuti e incoraggiandone la spinta innovativa e lo sviluppo di nuove competenze. Dall’altra, è necessario creare nel Paese un ecosistema di nuove tecnologie per attrarre investimenti esteri e allevare una nuova classe di aziende che sarà pronta nel 2030 grazie al venture capital e alla contaminazione tra automotive tradizionale, innovatori globali e start-up”, conclude Andrea Marinoni.

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