BoJ e curve globali sempre più ripide

A cura di Banca del Piemonte

BoJ E’ stata la settimana della Banche Centrali: è iniziata con la riunione della BoJ (Bank of Japan), nella quale è stata decisa una maggiore flessibilità intorno all’obiettivo di 0% del rendimento a 10Y, con una finestra di tolleranza raddoppiata e portata a -0.20 / +0.20 dai 10 basis point attuali. Altre novità sono rappresentate dall’introduzione della forward guidance per i tassi di policy ed il tasso a 10Y (che verranno telegrafati con largo anticipo), dalla maggiore flessibilità nell’acquisto di titoli ed asset (più incentrati d’ora in avanti sul TOPIX e meno sul NIKKEI), dal taglio delle stime di inflazione per il biennio 2019-2020 con il conseguente spostamento in avanti (apr 2020) del primo rialzo atteso dei tassi.
Da una prima analisi la percezione è quella per cui, pur lentamente, il supporto monetario della BoJ sia destinato a ridursi portando ad un rinnovato irripidimento della curva giapponese, notoriamente in grado di esercitare una certa influenza sulle curve dei rendimenti a livello globale. La mossa rappresenta un primo passo (seppur timido) verso l’uscita dal NIRP (Negative Interest Rate Policy). E’ stato chiaro il movimento dei rendimenti con il JGB 10Y che ha toccato per la prima volta da anni lo 0.14%, le curve che sono salite un po’ in tutto il globo accompagnate da una fase di bear steepening sul differenziale 2Y-10Y. Il rendimento del Treasury in settimana ha fatto registrare un massimo ad oltre il 3%.

Fed La riunione della FED si è rivelata invece, come previsto, priva di spunti. L’unica variazione al comunicato ha riguardato la descrizione dell’attività economica, definita ora come “forte” (invece di solida), in maniera coerente con i recentissimi sviluppi culminati con l’uscita del robusto PIL. Il Comitato non modifica quindi il messaggio: la politica monetaria è ancora accomodante ed i tassi restano su un sentiero di “ulteriori graduali rialzi”. Quello di settembre è ormai scontato con probabilità assai elevata.

BoE La Bank of England ha alzato (come largamente scontato dai mercati) il bank rate di 25 bp a 0.75%. Si prospettano ulteriori rialzi futuri, necessari per mantenere l’inflazione all’obiettivo del 2%. Il rischio Brexit non è stato un motivo sufficientemente forte per mantenere i tassi fermi, dato che dovrebbero essere ancora più alti che nello scenario base. Confermato invece il piano di acquisti titoli (QE). I mercati tuttavia non si aspettano, alla luce delle incertezze che il paese deve fronteggiare, ulteriori rialzi entro l’anno.

Indici PMI globali

Gli indici di attività manifatturiera, di consueto in uscita il primo giorno del mese, confermano un quadro complessivo di crescita sempre meno spumeggiante e, in particolare, segni più generalizzati di rallentamento che provengono dal continente asiatico. “Tutti i principali motori di crescita – US, Europa, Cina e Giappone – sembrano aver superato il loro punto più alto. Sicuramente non si può parlare di un crollo dell’attività ma solo di un più generalizzato rallentamento ora evidente in una maggioranza di paesi che mostrano un saldo negativo rispetto ai livelli di 1, 3 e 12 mesi fa” l’efficace descrizione della situazione da parte di un analista. Il rallentamento più evidente e generalizzato in Asia sembra indicare che le evoluzioni sul fronte della guerra commerciale siano un fattore. Come lo è il fatto che siano proprio i sotto-indici ‘forward-looking’ riguardanti i nuovi ordini, a risultare particolarmente deludenti. Dei 31 paesi interessati il 74% ha visto una riduzione della componente riguardante i nuovi ordini nell’ultimo mese e 84% se il paragone viene fatto rispetto a 6 mesi fa. Il declino è stato più evidente in Giappone, Europa (Italia e Francia soprattutto) e in numerosi paesi asiatici, a rinforzare la narrativa che “Trump sta vincendo la guerra commerciale”, con gli effetti potenzialmente negativi per il mercato rappresentati da un dollaro in rafforzamento e da una Fed in grado di diventare, al margine, più aggressiva. In generale, con lo yuan ai minimi e l’affiorare di qualche timore di rallentamento globale (indipendente dalla trade war), la Cina rimane un evidente epicentro di preoccupazione. Il PIL Eurozona è andato peggio del previsto nei mesi primaverili, crescendo di 0.3% t/t dopo lo 0.4% t/t del primo trimestre. Il rallentamento rispetto allo 0.7% dell’ultimo trimestre 2017 è assai evidente. Il contributo principale dovrebbe essere arrivato dalla componente domestica, mentre il commercio estero dovrebbe aver fornito un contributo negativo. I dati sono coerenti con la decelerazione degli indici di fiducia dei mesi primaverili. Si segnala infine un netto peggioramento in Italia dell’indice di fiducia del settore manifatturiero.

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