Brexit, l’accordo Ue-Uk non allontana l’incertezza dai mercati

Dopo l’ottimismo delle prime ore, l’accordo sulla Brexit raggiunto ieri da Regno Unito e Unione Europea solleva più dubbi che certezze fra gli analisti che vedono nella questione Brexit e nello scontro Usa-Cina sui dazi i principali fattori di instabilità per i mercati finanziari. L’approvazione dell’accordo da parte del Parlamento britannico (il voto è previsto sabato) resta infatti tutt’altro che certa, in particolare per l’opposizione del Democratic Union Party irlandese (Dup).

Stéphane Dutu, Fundamental Analyst dell’Equity team di Unigestion, sottolinea che “sebbene il Primo Ministro Boris Johnson sia riuscito a concludere un accordo di divorzio all’ultimo minuto con l’Unione europea, il Regno Unito non è ancora fuori dalla ‘palude’ Brexit, in quanto non è ancora sicuro che sabato il Parlamento britannico approverà l’intesa, nel corso della seduta speciale della Camera dei Comuni”.

Per l’analista di Unigestion, “ottenere l’approvazione dell’accordo sarebbe positivo per l’economia britannica, poiché porterebbe chiarezza sulle future relazioni commerciali tra il Regno Unito e il suo maggior partner commerciale. L’accordo sosterrebbe anche la sterlina britannica e l’azionario, in particolare i titoli orientati al mercato interno. Il tasso di interesse aumenterebbe, il che sarebbe negativo per le obbligazioni. L’azionario e la sterlina hanno già reagito positivamente negli ultimi giorni, in quanto l’intensificarsi delle trattative tra l’Ue, il Regno Unito e la Repubblica d’Irlanda ha aumentato le aspettative sulla probabilità di un accordo. L’approvazione dell’intesa sabato darebbe un’ulteriore spinta alla valuta e alle azioni britanniche”.

Tuttavia questo la realizzazione di questo scenario è acora tutt’altro che certa: “I parlamentari pro-Brexit (o cosiddetti ‘Brexiteers’) hanno sempre insistito sulla ‘completa e piena’ integrità del Regno Unito, includendo l’Irlanda del Nord. Sicuramente apprezzeranno il fatto che il Primo Ministro britannico è stato in grado di convincere l’Unione europea ad abbandonare il backstop irlandese, progettato per evitare una frontiera fisica (c.d. ‘hard border’) tra la Repubblica d’Irlanda e l’Irlanda del Nord, ma che avrebbe anche vincolato quest’ultima al rispetto di alcune norme comunitarie. Ma l’abbandono del backstop potrebbe non essere sufficiente per i Brexiteers: il futuro dell’Irlanda del Nord rimane infatti una questione spinosa. La maggior parte dei deputati dell’opposizione respingerà l’accordo perché non vuole la Brexit sotto nessuna forma. Il Dup, che sostiene la maggioranza in Parlamento, ha dichiarato che non accetterà l’intesa, anche se potrebbe ancora cambiare idea nelle prossime 48 ore per timore che una hard Brexit rappresenti l’unica alternativa. Boris Johnson dovrà trovare 320 parlamentari per far approvare l’accordo, soprattutto tra i Tories. Anche i parlamentari pro-Brexit dell’opposizione, almeno quelli con lo stomaco necessario per far fronte all’ira dei loro leader, potrebbero schierarsi con il primo ministro. Ma diversi osservatori dubitano che Johnson sia in grado di ottenere il loro sostegno”.

Se l’accordo non passerà questo sabato, “riteniamo che il risultato più probabile sia una nuova proroga del termine della Brexit per altri tre mesi, fino alla fine di gennaio, dato che il Parlamento britannico ha bloccato una hard Brexit il 31 ottobre. Cosa che darebbe più tempo a Boris Johnson per ottenere una maggioranza parlamentare sull’intesa che ha appena concluso”, conclude Dutu.

Anche Adrian Paul, European Economist di Goldman Sachs, rileva che la contrarietà del Dup toglierebbe dieci deputati alla coalizioe che sostiene Johnson nel voto sull’accordo, “tuttavia, continuiamo ad aspettarci che una quota significativa di quegli oltre 30 euroscettici conservatori che si sono opposti all’accordo Brexit dell’ex primo ministro (Theresa May, ndr) sostenga il nuovo accordo negoziale. Particolarmente interessante per quei parlamentari sarà la capacità di concludere accordi di libero scambio con paesi terzi”. Inoltre, “riteniamo che circa 30 parlamentari laburisti favorevoli al ‘leave’ sarebbero disposti a disobbedire al vincolo di partito al fine di garantire la Brexit prima delle prossime elezioni generali, soprattutto se l’alternativa all’accordo sulla Brexit sul tavolo sarà un secondo referendum che riporti in gioco il ‘remain’. Dei 21 parlamentari anti-no-deal espulsi dal gruppo conservatore a causa del loro sostegno al Benn Act, prevediamo che tutti tranne due o tre continueranno ad appoggiare l’accordo sulla Brexit sostenuto dall’attuale governo”.

L’economista di Goldman Sachs aggiunge che “se l’accordo fallisce, con quale probabilità un rinvio sarà seguito da elezioni generali? Pensiamo che la prospettiva di elezioni generali sia svanita ulteriormente ora che il fronte laburista si è decisamente spostato verso un secondo referendum. Di fronte alla scelta tra lasciare l’Ue con un accordo e rinviare la decisione all’elettorato, riteniamo che la tendenza dei parlamentari per il ‘remain’ a perseguire quest’ultimo sarà determinante a costringere i parlamentari per il ‘leave’ a scegliere il primo. La minaccia di risoluzione mediante referendum sarà, a nostro avviso, fondamentale per dare vita a una maggioranza pro-deal trasversale alle indicazioni di partito. Al di là di questo scenario centrale, riteniamo che la probabilità che la Brexit venga risolta attraverso elezioni generali sia diminuita rispetto alla probabilità che la Brexit venga risolta attraverso un secondo referendum”.

Di conseguenza, prosegue Paul, “manteniamo il nostro scenario di base che il Regno Unito lascerà l’Ue con un accordo entro il 31 ottobre“. Per l’economista, quindi, la probabilità soggettiva su una Brexit con accordo salgono dal 60% al 65%, quelle di un no-deal calano dal 15% al ​​10% mentre quelle di “nessuna Brexit” restano invariate al 25%.

Esty Dwek, Head of Global Market Strategy Dynamic Solutions di Natixis Investment Manager, rileva che “nell’ambito di questo accordo, entrambe le parti hanno convenuto di sviluppare un partenariato economico ampio ed equilibrato, che comprenda un accordo di libero scambio, nonché una più ampia cooperazione settoriale laddove vi sia un interesse reciproco. Il partenariato economico dovrebbe pertanto garantire l’assenza di tariffe, tasse, oneri o restrizioni quantitative in tutti i settori. Saranno probabilmente incluse anche altre disposizioni sulla libera circolazione dei capitali e sui pagamenti relativi alle transazioni liberalizzate nell’ambito del partenariato economico, fatte salve eccezioni rilevanti. Il principio della libera circolazione delle persone non dovrebbe applicarsi e le parti dovranno stabilire disposizioni in materia di mobilità: esenzione dal visto per i viaggi di breve durata, condizioni d’ingresso e di soggiorno, quali ricerca, studio e formazione”.

La questione irlandese resta ancora aperta, “in quanto in questo accordo l’Irlanda del Nord sarebbe legata a entrambe le parti dopo Brexit. L’Irlanda del Nord si troverebbe legalmente nell’unione doganale del Regno Unito, ma in pratica applicherebbe le norme e le procedure comunitarie in materia di tariffe, il che implica una frontiera nel Mare d’Irlanda. Il Partito democratico unionista dell’Irlanda del Nord (Dup) ha annunciato di non essere soddisfatto di questa versione dell’accordo e pertanto non la sosterrà. A loro parere, sebbene siano stati compiuti alcuni progressi, la questione irlandese non è stata risolta in modo soddisfacente. Il leader laburista Jeremy Corbyn ha chiesto un secondo referendum, affermando che l’accordo è peggiore di quello proposto da Theresa May”.

Dwek nota che “i mercati finanziari hanno accelerato sulla scia dell’annuncio iniziale, per poi ripiegare quando le possibilità dell’approvazione dell’accordo da parte del Regno Unito sono diminuite a causa delle obiezioni del Dup“. Cosa accadrà quindi? “L’accordo sarà rivisto e discusso durante il vertice Ue, ma soprattutto deve ancora essere approvato dal Parlamento britannico, che si riunirà in una sessione straordinaria sabato. Poiché Boris Johnson non ha più la maggioranza in Parlamento, e poiché dipende dal suo partner della coalizione Dup, le obiezioni degli unionisti irlandesi rappresentano un grosso ostacolo. Senza i suoi alleati nordirlandesi, Johnson ha bisogno di raccogliere circa 61 voti su un pool di 75 deputati disponibili per ottenere l’approvazione dell’accordo, il che implica anche convincere i deputati del suo stesso partito”.

Se, nonostante tutto, l’accordo sarà approvato dal Parlamento britannico, prosegue l’esperta di Natixis, “il periodo di transizione inizierà il 1° novembre e anche i negoziati commerciali inizieranno immediatamente. Riteniamo che questi limiti verrebbero prorogati, per cui uno status quo virtuale regnerebbe per più anni, ma senza incertezze. Ciò sarebbe accompagnato da una forte ripresa del mercato, con benefici finanziari, soprattutto perché anche i rendimenti aumenterebbero, rendendo più ripida la curva dei rendimenti. Anche la sterlina inglese continuerebbe il suo recente rialzo, rompendo l’1,30 contro il dollaro. La domanda più grande è cosa succederebbe se il deal venisse respinto. Johnson spingerebbe di nuovo per le elezioni generali, anche se questo potrebbe richiedere un secondo referendum. C’è anche la possibilità di un governo custode, che potrebbe anche includere un referendum prima delle elezioni. In ogni caso, l’incertezza persisterà e i beni si ritireranno ai livelli recenti”.

Implicazioni per gli investimenti

La sterlina è volata sulla scia della notizia dell’accordo – sottolinea Dwek – continuando la sua recente tendenza al rialzo, con il cambio sterlina/dollaro in crescita di oltre l’1% a 1,2990 nei minuti successivi alla notizia, anche se poi è indietreggiata, mentre gli investitori rivalutano la probabilità che l’affare passi il Parlamento. Mentre parliamo, la sterlina si colloca a 1,28, in calo dello 0,2% rispetto al dollaro. La sterlina si è inizialmente rafforzata anche nei confronti dell’euro, ma ora è scesa dello 0,6%. È interessante notare che chi sta guadagnando di più è l’euro, con un aumento dello 0,4% rispetto al dollaro.

I mercati azionari in Europa si sono mossi con cautela. Dopo il picco iniziale, la maggior parte degli indici azionari europei si sono allentati. L’indice Ftse 100 è il più grande vincitore, con una crescita dello 0,9%, mentre i futures azionari statunitensi sono avanzati dello 0,2%. I mercati finanziari hanno tratto i maggiori benefici, in quanto i tassi sostenuti e l’accordo di libero scambio, che comprende la libera circolazione dei capitali e i pagamenti, sosterrebbero il settore.

I rendimenti delle obbligazioni sovrane si sono ridotti, grazie a una maggiore propensione al rischio, con il rendimento dei Bund a 10 anni che ha raggiunto il -0,34% prima di scendere a -0,39%. Anche il rendimento a 10 anni negli Stati Uniti è salito all’1,75%.

Manteniamo una visione costruttiva sulle attività di rischio, in quanto riteniamo che l’allentamento delle tensioni geopolitiche relative alla Brexit e ai dazi Usa-Cina sosterrà il sentiment e che un no deal non sia probabile. Se l’accordo non fosse approvato nel Regno Unito, si potrebbe ancora registrare di nuovo una delusione. E crediamo che alcuni risultati trimstrali decorosi potrebbero essere utili per prolungare il rally. Anche se i rendimenti sono stati sostenuti – conclude l’esperta – non ci aspettiamo una mossa brusca fintanto che perdurino le smorzate aspettative di inflazione e le preoccupazioni per la crescita globale, ma i rendimenti potrebbero ancora aumentare se le incertezze globali continueranno a essere rimosse”.

Secondo Stefan Scheurer, Director Global Capital Markets & Thematic Research di Allianz Global Investors, l’intesa Ue-Uk è una “sorpresa positiva”, tuttavia “gli investitori dovrebbero mantenere la prudenza” in quanto “è ancora in corso il dibattito su come evitare una frontiera fisica fra l’Irlanda del Nord e la Repubblica di Irlanda (il famoso ‘backstop’). Nonostante le nuove proposte avanzate su questo punto, non si sa se il Partito Unionista Democratico nordirlandese e i Conservatori britannici più intransigenti voteranno per una soluzione in parlamento. Quello che invece sappiamo è che Brexit (e guerra dei dazi) hanno un impatto negativo sulla crescita globale”.

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