Cambiamenti climatici dopo il Covid-19, gli effetti della crisi

A cura di Alice de Bazin, Head of Institutional Offering & Solutions, Tobias Hessenberger, Business Solutions and Innovation e Théophile Pouget-Abadie, Business Solutions and Innovation di Amundi

Dall’inizio del lockdown, i livelli di inquinamento si sono drasticamente ridotti. Secondo Carbon Brief, le emissioni annuali di gas serra dovrebbero diminuire del 5,5% nel 2020. Anche se questo potrebbe essere il più grande calo annuo di emissioni di Co2 a causa di una crisi economica o di un periodo di guerra, tale consistente riduzione non sarà sufficiente a limitare il riscaldamento a 1,5° C al di sopra delle temperature pre-industriali (per il quale è necessaria una riduzione annua del 7,6% delle emissioni globali). Tuttavia, questa è un’opportunità senza precedenti di osservare ciò che accade quando gli esseri umani hanno un impatto limitato sull’ambiente.

La natura sembra aver prosperato di fronte all’inattività umana. Nei sobborghi di Parigi sono comparsi i cervi, montagne lontane sono diventate visibili a Nuova Delhi e persino i coyote sono stati avvistati vicino al Golden Gate Bridge di San Francisco. Questo non deve indurci a pensare che il coronavirus abbia risolto il problema del cambiamento climatico. In realtà, potrebbe persino minare o rallentare le politiche climatiche e gli investimenti. Ad esempio, il crollo finanziario del 2008 ha portato a una riduzione “una tantum” molto limitata delle emissioni di Co2, ma questi risultati sono stati completamente cancellati negli anni successivi.

La storia potrebbe ripetersi a meno che non vengano adottate misure preventive serie. Dopo il primo trimestre dell’anno, le emissioni di Co2 in Cina hanno già iniziato ad aumentare con la ripresa dell’attività economica e il calo delle emissioni in tutto il mondo dovrebbe essere di breve durata. Se questa tendenza continuerà, una forte ripresa nel 2021 potrebbe persino compensare le riduzioni temporanee delle emissioni nel 2020. Per alcuni settori, i governi potrebbero intervenire per allentare i vincoli legati al clima.

Di fatto, il coronavirus ha posto le basi per massicci interventi governativi. In Spagna, gli ospedali privati sono stati nazionalizzati, il Regno Unito e la Francia potrebbero adottare piani di nazionalizzazione. Alcuni hanno sostenuto che con una maggiore tolleranza da parte dell’opinione pubblica nei confronti dell’intervento del governo, si ottiene un maggiore consenso verso le politiche pubbliche rigorose per contrastare il cambiamento climatico. Senza dubbio, anche il settore privato svolgerà un ruolo determinante. Il modo in cui le aziende si comportano durante la crisi, e la loro capacità o volontà di sfruttare al meglio questa crisi per passare a modelli di business più sostenibili, sarà un fattore decisivo per determinare il percorso per contrastare il cambiamento climatico.

Ovviamente, è impossibile prevedere l’impatto che la pandemia avrà sul cambiamento climatico. Tuttavia, possiamo disegnare una roadmap per i diversi scenari che potrebbero verificarsi. Per farlo, è necessario guardare alle potenziali risposte politiche e del settore privato all’epidemia e al percorso di cambiamento climatico che ne deriva. Questo studio mira a fare luce sull’impatto dell’epidemia di coronavirus sul cambiamento climatico, con un’enfasi sulle implicazioni per gli investitori. Le due variabili utilizzate nei diversi scenari sono: 1) la risposta politica al Covid-19, sia in termini di negoziati internazionali che di attuazione delle politiche nazionali (o regionali): includeranno le questioni legate al cambiamento climatico? 2) La risposta del settore privato al Covid-19. In che misura le aziende saranno in grado di (o saranno disposte a) passare a modelli di business più sostenibili, dal momento che la loro stessa esistenza potrebbe essere minacciata?

Queste risposte saranno il risultato di diversi fattori di rischio, che includono (ma non sono ovviamente limitati a):
la durata e la gravità della crisi economica: ciò porterebbe i responsabili politici a favorire le tematiche sociali rispetto a quelle ambientali, mantenendo al contempo una pressione nel breve termine sulle aziende;
i livelli di debito e i vincoli di bilancio, sia per le politiche pubbliche che per le imprese, determineranno in che misura le risorse saranno destinate alle attività ‘green’;
i prezzi più bassi dei combustibili fossili possono mettere in discussione la competitività relativa delle soluzioni alternative a basse emissioni di carbonio;
il coordinamento internazionale, o la sua mancanza, può influire sul rischio percepito delle catene di fornitura globali e sulla risposta coordinata al cambiamento climatico.

Quale sarà la strada che il tema del cambiamento climatico intraprenderà nei prossimi anni, a seguito della risposta politica e del settore privato? Assisteremo a una stabilizzazione delle emissioni, a un’attuazione tempestiva e trasparente della regolamentazione sul clima e a limiti ai modelli climatici cronici e acuti? O il 2008 si ripeterà nuovamente, con risultati “una tantum” rapidamente cancellati dalla ripresa delle attività economiche?

Queste variabili stilizzate ci permettono di tracciare tre scenari principali: lo scenario positivo (slancio green), quello negativo (tracollo politico) e lo “status quo”. In questo contesto, quali sono le implicazioni per gli investitori, in ciascuno degli scenari? Le implicazioni per gli investitori si inquadrano nel contesto del rischio di transizione e del rischio fisico, che rappresentano l’approccio migliore per definire i rischi finanziari del cambiamento climatico per gli investitori.

In tutti gli scenari, anche in quello positivo, gli investitori dovrebbero integrare le considerazioni sul cambiamento climatico nei processi decisionali degli investimenti. In effetti, la materializzazione del cambiamento climatico non è in discussione, ma piuttosto lo è la capacità globale di ridurlo e di essere resiliente. Naturalmente ci auguriamo che lo scenario positivo si concretizzi.

Quali sono i possibili scenari futuri? Positivo, negativo e Status Quo

1) Lo scenario positivo: slancio green

Nello scenario positivo, il cambiamento climatico è pienamente integrato dalle politiche pubbliche nei piani di ripresa, sia a livello nazionale che regionale, ma anche nei negoziati internazionali sul clima. Grazie alle pressioni e al supporto delle politiche pubbliche, le imprese di vari settori avviano un rinnovamento su vasta scala dei loro modelli di business, per allinearsi maggiormente agli obiettivi dell’accordo di Parigi. Di conseguenza, il calo delle emissioni e dell’inquinamento dovuto alla pandemia diventa radicato. In uno scenario di questo tipo, sebbene i rischi legati al cambiamento climatico diventino più gestibili, di certo non scompaiono. Ad esempio, sarà importante per gli investitori prestare particolare attenzione alle aree in cui i rischi di transizione non si sono ancora materializzati. Inoltre, man mano che la questione ambientale diventa fondamentale per gli investitori, e man mano che i mercati considerano tali rischi, si apriranno nuove aree di opportunità: biodiversità, questioni sociali e così via.

Il settore pubblico e quello privato rafforzano il proprio impegno sul clima

In questo scenario, i responsabili politici tengono conto del crescente consenso degli economisti sulla necessità di integrare la questione del cambiamento climatico nelle risposte al Covid-19. I sussidi sono concessi a chi investe in infrastrutture pulite, prodotti verdi (come i veicoli elettrici), interventi di ripristino dell’efficienza, istruzione e formazione, risorse naturali e R&S pulite (nuove fonti di energia come l’idrogeno) in quanto costituiscono un elevato potenziale sia in termini economici che di metriche dell’impatto climatico.

Sulla scena internazionale, gli insegnamenti tratti dalla pandemia sulla mancanza di coordinamento e sul potenziale impatto del cambiamento climatico e della biodiversità sono pienamente integrati. Pertanto, i negoziati sul clima riprendono e portano a progressi e piani d’azione significativi. L’Unione europea e la Cina sono all’avanguardia, mentre gli Stati Uniti reagiscono alle pressioni internazionali riallineandosi agli impegni assunti con l’accordo di Parigi. La 26a Conferenza sul clima gioca un ruolo cruciale, aumentando gli impegni sul clima e sbloccando significativi finanziamenti sia da parte del settore pubblico che di quello privato.

A livello nazionale o regionale, le politiche sono in grado di promuovere la crescita sostenibile, creare posti di lavoro “green” e garantire la coesione sociale attorno al piano di ripresa post Covid-19. Il consenso politico sui livelli di debito sostenibile si evolve verso una minore ortodossia fiscale, e i paesi concordano pacchetti fiscali per una ripresa “green”. A livello europeo, la Commissione europea porta avanti l’iniziativa Green Deal, con il meccanismo “Just Transition” che garantisce che nessuna regione o settore venga lasciato indietro. Il sistema di classificazione viene perfezionato e spiana la strada agli investitori e alle imprese per rendere green le loro attività. Nei suoi programmi di acquisto di attività, la Banca Centrale Europea include i criteri di sostenibilità. Infine, è ampliato il sistema europeo di scambio di quote di emissione di gas a effetto serra (European Union Emissions Trading System – EU Ets).

In tutto il mondo, i grandi piani di investimento in energia pulita e biodiversità sono inclusi nei piani di stimolo. Analogamente al salvataggio dell’industria automobilistica statunitense nel 2008, con standard di emissioni più elevati, il sostegno pubblico è condizionato ad azioni concrete verso la sostenibilità. Le risorse destinate a R&S, le infrastrutture per l’energia pulita, gli investimenti nelle infrastrutture per la connettività sono aumentati, mentre i sussidi ai settori “dannosi” vengono gradualmente eliminati. Le tasse sul carbonio vengono introdotte o ampliate, implicando trasferimenti intelligenti volti a garantire che siano socialmente accettabili.

In questo scenario positivo, il settore privato gioca il suo ruolo, passando a modelli di business più sostenibili. Poiché un forte sostegno politico fornisce visibilità, le aziende mantengono i loro piani di investimento per le energie “green” e prendono in considerazione ulteriori opportunità man mano che le nuove tecnologie ricevono un forte sostegno pubblico. Le aziende integrano le pratiche ESG per mitigare i rischi legati al cambiamento climatico e garantire la resilienza nel lungo termine. A livello settoriale, i prezzi del petrolio più bassi per lunghi periodi di tempo incoraggiano i produttori di energia a diversificare le loro attività verso le energie rinnovabili, mentre la produzione di veicoli elettrici aumenta. La reportistica Esg diventa uno standard, garantendo agli investitori, e in particolare ai risparmiatori finali, un migliore accesso alle informazioni extrafinanziarie.

Come risultato delle politiche pubbliche di sostegno e degli importanti cambiamenti del settore privato, le conseguenze climatiche positive a seguito della pandemia del coronavirus non vengono cancellate, anche quando i lockdown terminano e l’attività economica riparte. In tale scenario, i rischi legati al cambiamento climatico restano molto diffusi, ma potenzialmente gestibili.

2) Lo scenario negativo: tracollo politico

È importante sottolineare che Amundi ritiene che questo scenario sia il meno probabile. Nello scenario negativo, il cambiamento climatico viene messo da parte nei piani di ripresa economica dell’attuale crisi. Man mano che il coordinamento globale continua ad allentarsi, l’accordo di Parigi diventa sempre più difficile e le emissioni e l’inquinamento aumentano rapidamente. In tale scenario, sarà importante per gli investitori considerare un contraccolpo politico potenzialmente brutale, oltre a integrare i rischi fisici estremamente elevati. Sarà importante per gli investitori identificare attività “green” sicure. L’impegno sarà fondamentale per garantire che le aziende includano la sostenibilità nei loro modelli di business.

Deboli piani per il clima da parte del settore pubblico e privato

In questo scenario, con meno cooperazione internazionale e più protezionismo, il Covid-19 rallenta significativamente gli sforzi dei responsabili politici verso il raggiungimento degli obiettivi sul cambiamento climatico. Si verifica la “tragedia dell’orizzonte”, descritta da Mark Carney in un discorso pronunciato nel 2015: le azioni a favore del cambiamento climatico sono rinviate e i rischi finiscono per concretizzarsi in modo ingestibile.

Per quanto riguarda la comunità internazionale, il riemergere del nazionalismo e del protezionismo mina la cooperazione internazionale per gestire le questioni legate al cambiamento climatico globale. Con il concretizzarsi dei rischi fisici derivanti dal cambiamento climatico (ad esempio, i potenziali impatti delle migrazioni di massa), ciò alimenta ulteriormente il nazionalismo e il protezionismo. La 26a Conferenza sul clima rende l’accordo di Parigi ufficialmente impraticabile, in quanto i leader non sono in grado di rinnovare né di rafforzare i loro impegni sul clima.

A livello nazionale e regionale, le politiche si concentrano su obiettivi di più breve termine, come la ripresa economica dalla pandemia, e non includono politiche climatiche significative. In tutto il mondo, il rapporto debito/Pil più elevato limita la volontà e la capacità dei governi di stanziare i finanziamenti per affrontare il cambiamento climatico. Le industrie riescono a far indietreggiare i regolamenti sulle emissioni. I governi sovvenzionano e salvano i settori fortemente penalizzati dal Covid-19 (ad esempio, compagnie aeree ed energia) senza alcuna condizione per migliorare la loro sostenibilità.

A livello europeo, sotto forti pressioni, la Commissione europea abbandona il Green Deal. Al livello degli Stati membri, il piano di uscita tedesco dal carbone o il nuovo piano sul clima olandese sono rinviati. Le aziende automobilistiche europee riescono a posticipare l’applicazione dei limiti di emissione di Co2 per i nuovi veicoli. In Cina, l’occupazione diventa la nuova priorità. Indipendentemente dal loro impatto ambientale, le autorità approvano i progetti a condizione che contribuiscano agli obiettivi occupazionali (il numero di centrali a carbone approvate nelle prime tre settimane di marzo è già superiore a quello approvato nel corso dell’intero 2019). Nel 2021, il quattordicesimo piano quinquennale della Cina non è riuscito a invertire questa tendenza.

Le società in difficoltà vendono le loro attività “green” di qualità per salvaguardare i bilanci e i dividendi (nel 2016 Repsol ha venduto la propria attività eolica). Nel settore dell’energia, i bassi prezzi del petrolio scoraggiano i necessari investimenti in R&S nella produzione, nello stoccaggio e nella trasmissione di energia rinnovabile, ritardando la transizione globale verso risorse energetiche sostenibili. Le aziende in difficoltà cercano di non applicare del tutto le normative ambientali.

Nel lungo termine, con il materializzarsi dei rischi fisici, soprattutto per i paesi più vulnerabili del mondo (India, Bangladesh e Ghana17), una reazione politica brusca diventa una possibilità reale. Gli impatti di una spinta normativa così intempestiva e aggressiva sono difficili da prevedere, ma potrebbero essere enormi. Quali sarebbero gli impatti sulle aziende automobilistiche se le normative vietassero tutti i veicoli non elettrici entro il 2030? Quali sarebbero le conseguenze sociali di un’eliminazione brusca e disordinata del carbone nelle regioni in cui la produzione di carbone garantisce la maggior parte dell’occupazione?

3) Lo scenario di status quo

Nello scenario di “status quo”, i rischi indotti dal cambiamento climatico non sono pienamente integrati nei piani di ripresa e internalizzati dal settore privato. I negoziati internazionali sul clima sono in difficoltà, mentre i responsabili politici introducono politiche climatiche deboli nei pacchetti di ripresa. Come risposta al Covid-19, alcune aziende si concentrano sulla propria sopravvivenza nel breve termine, mentre altre accelerano i loro piani di transizione sostenibile.

In questo scenario, sarà importante per gli investitori accelerare l’integrazione dei rischi fisici e di transizione nei loro portafogli, e monitorare la crescente dispersione di questi rischi tra aree geografiche e settori, dal momento che alcuni paesi procedono avanti, mentre altri si concentrano esclusivamente sul Covid-19. Anche in questo caso, le politiche di engagement dovrebbero essere una leva chiave utilizzata dagli investitori per garantire che le aziende integrino la sostenibilità nei loro modelli di business.

Azioni moderate sul clima da parte del settore pubblico e privato

Nello scenario di “status quo”, ci aspettiamo che la cooperazione internazionale riprenda dopo un difficile 2020, anche se la comunità internazionale continua a scontrarsi per ottenere progressi tangibili. L’Unione europea è all’avanguardia sulla scena internazionale, mentre gli Stati Uniti restano indietro. Alla 26a Conferenza sul clima non si raggiunge alcun consenso sulla ripartizione degli oneri tra i paesi sviluppati e le economie emergenti, il che significa che i colloqui multilaterali lasciano il posto a colloqui bilaterali o regionali (ad esempio Ue-India, Ue-Cina).

A livello europeo, la pandemia rallenta seriamente il Green Deal e la sua attuazione, sebbene l’accordo sopravviva. Viene mantenuta l’attuale proposta di destinare il 25% del bilancio dell’Ue all’azione per il clima attraverso il Green Deal. Tuttavia, i piani per la tassazione del carbonio si trovano in difficoltà (di fatto, il prezzo del carbonio nell’EU Ets è già diminuito di oltre il 41% nel primo trimestre del 2020, anche se i nuovi meccanismi in atto, vale a dire la Market Stability Reserve, hanno svolto il loro ruolo in modo efficiente). Ciò mette in discussione la fattibilità dell’indicazione del Fmi di 75 dollari per tonnellata di tassazione globale entro il 2030.

A livello globale, e a livello nazionale o regionale, le politiche pubbliche variano ampiamente nell’integrazione delle questioni legate al cambiamento climatico. Nelle economie in forte stress, la maggior parte delle politiche climatiche lascia il posto a obiettivi, di più breve termine, di stimolo all’occupazione e alla crescita economica, mentre nelle economie più resilienti, i responsabili pubblici riescono a integrare i requisiti di sostenibilità. Nel primo caso, ciò non fa altro che ridurre le riforme necessarie, aumentando i rischi di transizione.

I pacchetti di stimolo economico che tollerano emissioni più elevate come un male necessario non farebbero altro che aumentare i costi relativi della decarbonizzazione, mettendo le aziende che la perseguono in uno svantaggio competitivo e rendendo i paesi più vulnerabili alle crisi climatiche in futuro. Questo fenomeno si verifica anche a livello settoriale, dove alcune industrie vengono salvate senza condizioni, mentre altre ricevono aiuti a condizione che vengano rispettati ulteriori criteri di sostenibilità.

In questo scenario di “status quo”, le aziende si concentrano sulla sopravvivenza all’attuale pandemia e si allontano dall’adozione di normative climatiche più severe. Alcuni cambiamenti economici strutturali favoriscono una riduzione delle emissioni, come i cambiamenti nelle abitudini dei consumatori, e le catene di fornitura localizzate che si affidano a tecnologie più efficienti in termini di carbonio nelle economie sviluppate.

Osservazioni conclusive

L’epidemia di Covid-19 è in grado potenzialmente di accelerare, compromettere gravemente o non avere alcun impatto significativo sul cambiamento climatico. Da un lato, una risposta debole da parte dei vari soggetti interessati, sia pubblici che privati, può minacciare la capacità di rispettare l’accordo di Parigi, e rinviare il problema o peggiorarlo. D’altro canto, la pandemia potrebbe rappresentare un’opportunità d’oro per promuovere i processi di decarbonizzazione e la transizione verso modelli e politiche aziendali più sostenibili. Amundi sostiene fortemente la realizzazione dello scenario positivo di slancio green. Abbiamo firmato la lettera dell’Iigcc (Institutional Investors Group on Climate Change) rivolta ai capi di Stato dell’Ue a sostegno della ripresa verde nell’Ue.

Sosteniamo le aziende nell’inclusione di Kpi (indicatori chiave di performance) legati alla transizione energetica nelle politiche di remunerazione, assicurandoci che questo tema rimanga in cima alle loro agende, e monitoriamo da vicino le posizioni di lobbying delle aziende. In ogni caso, gli investitori dovranno ancora integrare il cambiamento climatico nei loro processi decisionali, in quanto i rischi e le opportunità legati al cambiamento climatico non scompariranno, anche nello scenario positivo in cui vengono attuate politiche sostenibili forti. A tale riguardo, le politiche di engagement saranno fondamentali per assicurare l’integrazione della sostenibilità da parte delle aziende. Tuttavia, se non riusciamo a sfruttare questa crisi per intraprendere un percorso più sostenibile, allora gli investitori dovranno far fronte al materializzarsi dei rischi fisici e dei potenziali contraccolpi politici.

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