Che cosa aspettarsi dal dollaro nel 2020

A cura di Giacomo Calef, Country manager di Notz Stucki

Considerando l’inizio del ciclo di tagli della Fed e il modello di fair value sottostante, potremmo quasi affermare che la forza del dollaro è stata piuttosto sorprendente quest’anno.

Il grafico rappresentato mostra un confronto tra: 1) il differenziale tra il rendimento a 10 anni del bund tedesco, che rappresenta l’euro, e quello del treasury americano, che invece rappresenta il dollaro (linea blu); 2) il tasso di cambio euro/dollaro (linea rossa).

In linea teorica le due linee dovrebbero coincidere: se il differenziale sale significa che il bund, ovvero l’euro, rende di più, quindi anche il tasso di cambio euro/dollaro dovrebbe salire. Tuttavia, come si può osservare dal grafico, nel 2019 il cambio è andato verso la direzione opposta: ad oggi il dollaro si è rafforzato rispetto all’euro di quasi il 4,0% e il cambio euro/dollaro è sceso all’1,10, rispetto all’1,13/1,14 di gennaio.

Il 2019 è iniziato con l’inversione a U della politica monetaria della Federal Reserve che ha posto un freno all’innalzamento dei tassi di interesse e al Quantitative Tightening, mentre nel secondo semestre Powell ha abbassato i tassi di 75 punti base. Di conseguenza, nonostante i tassi di interesse tedeschi a lungo termine siano scesi, il differenziale tra i rendimenti di Bund e Treasury a 10 anni è aumentato, passando da -280 a -210 punti base. Pur non essendo un indicatore predittivo perfetto, questo cambiamento indicherebbe un dollaro più debole.

Pertanto, ci si potrebbe attendere un indebolimento del dollaro per il prossimo anno, ma in realtà la maggior parte degli analisti ha una visione ancora rialzista. D’altra parte però, alcuni fattori potrebbero migliorare il sentiment nei confronti dell’euro. Ci riferiamo ad una Banca Centrale Europea che non va a ridurre ulteriormente i tassi di interesse, all’avvio di una politica fiscale di stimolo da parte della Germania e di altri paesi, a una Brexit di successo e alla stabilizzazione dei dati manifatturieri.

Un dollaro più debole per il 2020 rappresenta attualmente una visione contrarian, ma sarebbe positivo per la crescita globale e per i risk asset (in particolare per l’azionario dei Mercati emergenti). E non solo, ne sarebbe contento anche Trump, il cui obiettivo è quello di assicurarsi che l’economia americana e quella mondiale resistano fino ad almeno le elezioni presidenziali statunitensi che si terranno alla fine dell’anno prossimo. Pertanto, dato il contesto incerto, noi suggeriamo un approccio neutrale al dollaro, mantenendo limitata l’esposizione nel comparto azionario e valutiamo, al massimo, la possibilità di inserire un treasury a breve scadenza in portafoglio come protezione per un’eventuale correzione di mercato.

Prospettive verso le elezioni presidenziali americane

Nella nostra ultima analisi sull’andamento dei mercati abbiamo constatato come alcune asset class siano state in grado di recuperare le perdite del 2018, riuscendo addirittura ad incrementare il loro valore nel corso del 2019. Tuttavia, le vicende degli scorsi giorni hanno dimostrato che i rapporti tra Usa e Cina rappresentano ancora un elemento di volatilità piuttosto significativo. Sono stati sufficienti alcuni Tweet di Trump in merito ad uno slittamento della fase 1 dell’accordo commerciale con Pechino e le Borse principali di Europa e Usa in due giorni di negoziazione hanno registrato performance dell’ordine del -1% e del -2%.

Il rally dei mercati porterà a una chiusura dell’anno in corso con risultati comunque positivi, ma quello a cui dobbiamo cominciare a pensare è il 2020. L’anno prossimo, con grande probabilità, sarà ancora caratterizzato da una situazione di stallo tra Usa e Cina. Inoltre, Trump ha dimostrato di essere imprevedibile, mostrandosi più volte aperto al dialogo e altre restìo e piuttosto drastico nel prendere decisioni di un certo impatto, come imporre o incrementare i dazi per l’appunto. Ma un ulteriore elemento di incertezza che dovremo affrontare l’anno prossimo riguarda le elezioni presidenziali negli Usa, che potrebbero causare ancora uno slittamento degli accordi.

Inoltre, si rende necessario sottolineare che la decisione di ritardare gli accordi potrebbe provenire proprio da Pechino. Il Governo cinese potrebbe attendere i risultati delle elezioni americane per stare a vedere chi sarà il nuovo negoziatore con cui dovrà interfacciarsi e, se per ipotesi dovessero vincere i democratici, non è detto che un accordo con quest’ultimi sarebbe migliore e più conveniente rispetto a quello che avrebbe ottenuto con Trump.

Ma, parlando di elezioni, verso quali direzioni andiamo per la politica economica statunitense?

Repubblicani: Trump sta studiando un nuovo taglio alle tasse per la classe media con l’idea quindi di portare ancora degli stimoli fiscali, anche se non è detto che avranno gli stessi effetti dell’ultimo; inoltre, con altri tagli alle tasse il rapporto deficit/Pil salirebbe ancora, in un contesto in cui l’ammontare di debito pubblico non è da sottovalutare. Se dovessero vincere i Repubblicani, la politica protezionistica ed espansiva di Trump potrebbe ancora puntare a ottenere fino all’estremo il miglior accordo con i cinesi a suon di dazi per poter aumentare le entrate dello stato a fronte di un aumento del deficit.

Democratici: lo scenario di vittoria dei democratici potrebbe portare a tutt’altre misure, volte ad aumentare le tasse sul patrimonio dei più ricchi (10 milioni di patrimonio oppure 1 milione di reddito per tre anni consecutivi), quindi a una politica fiscale meno accomodante. Al tempo stesso però tale politica potrebbe non essere semplice da implementare, data la complessità del sistema fiscale. I membri del partito hanno a più riprese parlato di aumentare le imposte sugli immobili oppure quelle sulle successioni. Ma la proposta principale riguarda la tassazione dei profitti ottenuti dagli asset finanziari al termine dell’anno, anche se non realizzati, sovrapponendo di fatto al regime fiscale amministrato, che prevede il pagamento delle imposte al realizzo del guadagno, quello di tipo gestito. In questo caso, la politica manterrebbe sotto controllo il deficit e i democratici potrebbero essere meno rigidi rispetto a Trump nei confronti della Cina, ovvero più propensi al libero scambio delle merci per mantenere solida l’economia americana.

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