Cina e Germania aumentano la pressione sui mercati

A cura di Brad Tank, Chief Investment Officer – Fixed Income di Neuberger Berman

Mercoledì scorso, i business globali hanno mandato segnali rossi per l’intero arco della giornata mentre lo spread fra i Treasury a 2 e 10 anni è sceso in territorio negativo per la prima volta dal 2007.

Abbiamo scritto molto sul perché, a nostro avviso, la curva dei rendimenti è oggi un indicatore previsionale di recessione meno affidabile rispetto al passato. Ma bisogna ammettere che attualmente si tratta di un dibattito leggermente accademico. Osservare la curva dei rendimenti per ravvisare i segnali di rallentamento della settimana scorsa è un po’ come controllare il barometro mentre il vento sta scoperchiando la casa.

Per misurare la pressione nell’economia globale basta guardare la Cina e la Germania. E lì, i venti che hanno iniziato a tirare la settimana scorsa, sono gelidi.

Contrazione

Lunedì, la Cina ha diffuso dati poco entusiasmanti sulla crescita monetaria e del credito. È stato un segnale preoccupante, perché in passato la crescita del credito è stata un indicatore anticipatore positivo per l’economia più in generale. Mercoledì, la Cina ha pubblicato altri dati: la crescita della produzione industriale è scesa ai minimi su 17 anni, le vendite al dettaglio sono risultate deboli, come pure gli investimenti nei beni strumentali immateriali, mentre la disoccupazione è leggermente aumentata.

Lo stesso giorno è giunta la notizia di una contrazione dell’economia tedesca nel secondo trimestre. Una recessione si prospetta ora probabile. I dati citati sono giunti meno di 24 ore dopo che erano state rese note le deludenti cifre dello Zew Economic Sentiment Index tedesco.

È ormai da un anno che parliamo di un rallentamento volto a produrre un atterraggio morbido negli Stati Uniti e una stabilizzazione della crescita nel resto del mondo. Prevediamo ancora un atterraggio morbido per gli Stati Uniti. Ma la Cina sta lottando per non toccare il fondo mentre la Germania sembra essere in caduta libera.

Una capacità unica di sfruttare potenti dinamiche

Per di più, non stiamo parlando di sviluppi relativi ad alcuni trimestri. Nel gennaio 2018, dopo un anno di crescita globale sincronizzata, numerosi mercati azionari mondiali hanno raggiunto un picco: gli indici PMI manifatturieri delle dodici maggiori economie registravano tutti un’espansione, con la Germania prima in classifica a quota 61.1. Oggi, solo quattro Paesi hanno il settore manifatturiero in espansione e la Germania è il fanalino di coda a quota 43.2.

Per comprendere che cosa è successo bisogna spostare lo sguardo indietro a ben più di un paio di anni. In Germania, un’intera generazione ha vissuto approfittando della sua particolare capacità di sfruttare tre potenti dinamiche: la debolezza dell’euro in relazione alla forza dell’economia tedesca, un’insaziabile domanda mondiale di automobili e macchinari tedeschi e una percentuale crescente del Pil globale spinto dagli scambi commerciali internazionali.

Oggi la Germania sta lottando perché si trova sul lato sbagliato delle correnti del cambiamento nel mercato automobilistico globale e perché ormai da dieci anni il commercio contribuisce sempre meno alla crescita globale. La controversia commerciale tra Stati Uniti e Cina, che alle soglie dell’autunno e dell’inverno sembra destinata a inasprirsi, costituisce solo l’ultima e più turbolenta fase di quel trend. Ci troviamo di fronte a problematiche strutturali anziché puramente cicliche.

Sostegno fiscale

Se quanto accade in Germania è un segnale premonitore di una flessione globale del settore manifatturiero, dove possiamo trovare la via d’uscita?
Abbiamo cercato di contrastare la debolezza nel settore manifatturiero con la resilienza dei consumi ma, se la flessione si aggrava, il calo dell’occupazione e il tracollo della fiducia saranno solo questione di tempo. È improbabile che i consumatori si tirino fuori da questa impasse da soli. Il settore manifatturiero globale potrebbe andare incontro a una fase di radicale ristrutturazione che richiederà un sostegno a livello fiscale.

La Germania dovrebbe unire le sue forze alla Cina e spianare la via: è il Paese maggiormente orientato al vecchio modello e una generazione di successi l’ha dotata di ampie risorse per interventi fiscali. Lo farà? Sarà necessario un cambiamento considerevole in termini di cultura politica.

Quel che è certo è che i rischi non sono passati inosservati. Commentando gli ultimi dati diffusi, il ministro dell’economia tedesco, Peter Altmaier, li ha definiti “una sveglia e un segnale di avvertimento”.

“Siamo in una fase di crescita debole, ma non ancora in una fase recessione, che possiamo evitare se adottiamo le misure necessarie”, ha dichiarato. “Politici e aziende devono agire adesso e in sinergia”.

Comunque si evolverà la situazione, all’orizzonte si stagliano volatilità e turbolenza. Gli investimenti di capitale che scommettevano sull’espansione dei commerci e dell’integrazione a livello globale potrebbero essere esposti a rischi sempre maggiori. Quando tra sei settimane rivedremo le nostre prospettive trimestrali, non stupitevi se adotteremo una posizione più cauta e difensiva.

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