Come investire in un futuro “carbon neutral”

“Il cambiamento climatico è una sfida unica per il nostro pianeta. Il genere umano fa fatica a individuare i modelli ambientali che cambiamo lentamente. Questo potrebbe essere uno dei motivi per cui il Forum Economico Mondiale di Davos della scorsa settimana non ha soddisfatto le ambizioni degli organizzatori, non essendo riuscito a giungere a un punto d’incontro quando ha sottolineato le differenze di idee tra gli attivisti del cambiamento climatico e i negazionisti”. E’ quanto evidenzia di Stéphane Monier, Chief Investment Officer di Banque Lombard Odier & Cie.

“Come investitori – continua Monier – dobbiamo fare scelte pragmatiche che vadano al di là di tali differenze mediatiche, in quanto il cambiamento climatico rappresenta un problema al quale va trovata urgentemente una soluzione. Non è più possibile aspettare che gli effetti sempre più estremi ci costringano a effettuare cambiamenti in preda al panico, comprese le migrazioni di massa e i conflitti per le risorse. Dobbiamo lavorare per promuovere la transizione verso un’economia a zero emissioni, investendo nelle opportunità a essa legate”.

Secondo l’esperto, l’insieme delle prove scientifiche non lascia spazio a interpretazioni ed è supportato dall’estrema e crescente frequenza dei recenti disastri naturali, come tifoni, inondazioni, incendi e siccità. Se vogliamo che il mondo sia ancora riconoscibile da una generazione all’altra dobbiamo affrontare le minacce del cambiamento climatico, limitando l’aumento delle temperature globali in linea con i pareri scientifici.

Abbiamo ancora sette anni a disposizione

È utile impostare un budget per le emissioni di anidride carbonica del pianeta. Storicamente, le nostre emissioni cumulative di anidride carbonica ammontano a più di 2.400 Gt di Co2. Se è necessario limitare l’aumento della temperatura globale entro la soglia degli 1,5 gradi centigradi stabiliti dall’accordo di Parigi del 2015, i calcoli basati sull’Ipcc e sul report Emissions Gap Report della Nazioni Unite suggeriscono che il nostro budget rimanente ammonta a soli 333 Gt Co2. Gli attuali tassi di emissione annuali, pari a circa 44 Gt Co2, ci lasciano a disposizione solo altri sette anni di business as usual – o un ciclo economico – prima che si verifichi un cambiamento irreversibile.

Le banche centrali hanno già lanciato l’allarme sulle conseguenze del cambiamento climatico e sui rischi per la stabilità finanziaria. Inoltre, alcune di esse, tra cui la Bank of England e la banca centrale norvegese, hanno iniziato a prestare attenzione al problema degli “stranded asset”, ovvero investimenti in asset e industrie ad alta intensità di carbonio che rischiano di essere catapultati in una spirale discendente fatta di valutazioni in calo e di svendite.

La Bank of England ha stimato che fino a 20 trilioni di dollari di asset potrebbero essere a rischio di trasformarsi in stranded asset e ha proposto degli stress test legati al clima per le banche e gli assicuratori. Recentemente la Banque de France ha deciso di fare lo stesso.
A livello nazionale e globale, oltre alle notizie emerse da Davos, la mancanza di un’azione coordinata da parte dei governi potrebbe essere una problematica solo sulla carta. Infatti, molte città e regioni di tutto il mondo, compresi molti stati e città degli Stati Uniti (che rappresentano il 70% dell’economia statunitense), stanno lavorando per raggiungere gli obiettivi fissati dall’accordo di Parigi, in quanto ritengono che sia giusto procedere in questo modo dal punto di vista macroeconomico e commerciale.

Le forze di mercato stanno riassegnando le risorse, al fine di garantire che gli investimenti possano stare al passo con la crescita economica e con le esigenze dettate dalla transizione verso un futuro a zero emissioni nette, sia in termini di soluzioni alternative al carbonio che di adattamento delle infrastrutture, visto che il mondo ha subito i danni degli effetti climatici. La transizione è spesso trainata da costi ed economie di scala sempre più interessanti delle soluzioni a basse emissioni di carbonio (ad esempio, solare, eolico, batterie per veicoli elettrici e stoccaggio dell’energia), al punto che le soluzioni a basse emissioni di carbonio stanno diventando più economiche rispetto a quelle a alta intensità di carbonio, anche su base non sovvenzionata.

Scelte green e carbon-intensive

Per avere una qualche possibilità di raggiungere gli obiettivi dell’Accordo di Parigi a livello globale, è necessario decarbonizzare rapidamente le nostre economie. Gli investitori possono già applicare i criteri Esg per esaminare i fattori più importanti che influenzano le metriche finanziarie e identificare le aziende con i migliori punteggi, escludendo così dal loro portafoglio quelle che, invece, presentano un maggiore consumo di carbonio.

È già possibile selezionare le aziende che superano i loro concorrenti in termini di impronta di carbonio e scegliere quelle che stanno lavorando per sviluppare soluzioni volte a mitigare l’inquinamento ereditato dal passato, ad esempio attraverso l’utilizzo di fonti di energia alternative, tecnologie per sviluppare le batterie per veicoli elettrici o cambiare le modalità di trasporto.

Tuttavia, “riteniamo di doverci focalizzare, in un’ottica critica, anche sulle imprese che stanno implementando la transizione energetica e che ottengono le migliori prestazioni e che attualmente hanno un’elevata impronta di carbonio ma che, allo stesso tempo, sono essenziali per la crescita economica futura”, nota Monier. “Continueremo ad avere bisogno delle industrie chimiche, siderurgiche e del calcestruzzo, etc, per rifornire le nostre economie per gli anni a venire. Se gli investitori dovessero smettere completamente di investire nelle industrie ad alta intensità di carbonio, l’impatto sarebbe controproducente. Tali industrie rallenterebbero certamente i loro stessi investimenti in tecnologie alternative e gli sforzi di riallocazione degli asset, rendendo così impossibile raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi. Questo non dovrebbe limitare le nostre ambizioni, né impedirci di impegnaci nella transizione verso la riduzione della nostra dipendenza da combustibili fossili scegliendo e investendo in tecnologie sostenibili”.

Incoraggiare la transizione

C’è però una seconda scelta complementare da prendere. Finché non avremo le fonti energetiche per sostituire quelle attuali a alta intensità di carbonio, crediamo che sia necessario incoraggiare soluzioni ecosostenibili e percorsi di transizione appropriati in questi settori “difficili da eliminare”. Se da un lato vogliamo evitare il costo sociale – in termini di perdita di posti di lavoro legato all’utilizzo dei combustibili fossili (abbiamo bisogno di una “giusta transizione”), dall’altro queste industrie rappresentano anche le migliori opportunità (con la posta in gioco più alta) per sviluppare le soluzioni scalabili e dirompenti a zero emissioni di carbonio di cui avremo bisogno.

“Un buon esempio di ciò che è possibile fare ci viene offerto da un’azienda danese di energie rinnovabili, Ørsted, ex Compagnia danese del petrolio e del gas naturale (Dong Energy). Nel corso di un decennio, anche in qualità di maggiore fornitore di energia elettrica del paese, Ørsted è riuscita a trasformare la sua attività da petrolio e gas e a diventare un leader nel settore dell’energia eolica offshore in Danimarca, Germania e Paesi Bassi e ora sta costruendo nel Regno Unito i più grandi parchi eolici a livello mondiale. Il cambio del nome è servito per riflettere questa transizione di successo, in onore di Hans Christian Ørsted, un fisico e chimico danese che ha scoperto che le correnti elettriche creano campi magnetici”.

“Questo è il motivo per cui abbiamo scelto di impegnarci con le aziende, piuttosto che ridurre gli investimenti e abbiamo deciso di sostenere l’innovazione e gli sforzi implementati per la transizione”, puntualizza il Cio di Lombard Odier.

“Se non investiamo in tutti i settori, soprattutto in quelli più difficili da eliminare come l’acciaio, il cemento o i prodotti chimici, non saremo in grado di compiere la necessaria transizione verso un’economia a zero emissioni di carbonio. Anche queste industrie devono adottare soluzioni per la transizione energetica. Possiamo pensare a queste imprese come fornitori di soluzioni, candidati alla transizione e opportunità di adattamento”.

Anche l’innovazione finanziaria ha un ruolo chiave. “I green bond consentono agli investitori del reddito fisso di collegarsi ai progetti dell’economia reale attraverso i bilanci degli emittenti, e di entrare nei mercati obbligazionari da 90mila miliardi di dollari fornendo un report sull’utilizzo dei proventi e sull’impatto che il bond ha durante tutto il periodo, oltre ai rendimenti competitivi corretti per il rischio”, spiega Monier. “Il mercato dei green bond è cresciuto in modo massiccio dalle prime emissioni del 2007/8. Secondo il Bnef, nel 2019 è stato emesso il record di 271 miliardi di dollari di obbligazioni verdi, tra cui per la prima volta titoli sovrani di Cile e Paesi Bassi. Lo scorso anno le imprese non finanziarie hanno rappresentato ancora una volta un terzo di questo volume, e in Lombard Odier prevediamo che il mercato dei green bond si espanderà ancora una volta, fino a raggiungere i 320-360 miliardi di dollari di emissioni nel 2020”.

Questo non è ancora sufficiente a soddisfare la domanda e alcune aziende hanno allargato il concetto ad altri obiettivi sociali o di sostenibilità. L’utility italiana Enel, una delle prime emittenti di green bond, nel 2019 ha emesso un nuovo prestito obbligazionario i cui proventi verranno utilizzati per raggiungere i propri obiettivi di sostenibilità, insieme alle penalità sulla cedola se l’azienda non raggiunge un obiettivo. Secondo il Bnef, l’emissione cumulativa di debito sostenibile, incluse le obbligazioni verdi e altri prestiti collegati alla sostenibilità, ha superato per la prima volta i 1.000 miliardi di dollari nel 2019 e, secondo la nostra analisi, prevediamo che quest’anno l’emissione di debito sostenibile raggiungerà i 560-620 miliardi di dollari.

Momentum economico

Fortunatamente, secondo Monier, è probabile che la realtà economica e gli investimenti forniscano gran parte dello slancio per questa transizione. In alcuni settori, come quello dell’energia solare ed eolica, i costi sono già scesi a livelli paragonabili, o addirittura significativamente inferiori, a quelli del carbone o di altre risorse impiegate nella produzione di energia termica. Ci sono anche opportunità negli investimenti infrastrutturali nei sistemi energetici, nell’elettrificazione delle reti di trasporto e nella riduzione dei rifiuti, nei metodi di produzione circolari.

“Fino a poco tempo fa – conclude l’esperto di Lombard Odier – il cambiamento climatico sembrava lontano ma le sfide poste da questo fenomeno ora sono diventate più intense e più frequenti. Gli investitori possono già mitigare l’esposizione agli ‘stranded asset’ e le sfide che questa transizione verso un futuro a zero emissioni nette rappresenterà per i portafogli, oltre a concentrarsi sulle soluzioni di adattamento ai danni del clima. Piuttosto che una corsa all’ultimo respiro verso la decarbonizzazione che ha la capacità di innescare una crisi finanziaria o economica, ci sono enormi opportunità per gli investitori di promuovere questa transizione vitale e urgente”.

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