Con l’incognita sulla ripresa cresce il rischio populismo

A cura di Mark Dowding, Cio di BlueBay

In una settimana relativamente calma l’azionario Usa ha toccato nuovi massimi, con il Nasdaq in rialzo del 30% da inizio anno. Nel corso del meeting di Jackson Hole, i rappresentanti della Fed hanno annunciato alcuni cambiamenti nel suo framework, già ampiamente anticipati. Le revisioni nell’approccio della Fed implicheranno che il Fomc non adotterà tempestivamente politiche più aggressive se l’inflazione rimarrà vicina al target in risposta a una maggiore forza del mercato del lavoro o dell’economia più in generale. Inoltre, permettendo all’inflazione di superare lievemente il target per correggere i periodi di livelli inferiori all’obiettivo, la Fed spera che di riuscire a porre fine al declino nelle aspettative sull’inflazione degli ultimi decenni.

La logica conseguenza potrebbe essere che non vedremo rialzi nei tassi sui Fed Fund prima del 2023, o forse addirittura 2025, in base a quanto sarà solida la ripresa dopo la recessione innescata dal Covid.
In risposta a tali annunci i rendimenti dei Treasury si sono mossi lievemente al rialzo. Tuttavia, con i dati economici che mostrano un quadro poco chiaro, ci sembrerebbe prematuro un rialzo dei tassi in un contesto di elevata disoccupazione.

Forma della ripresa: da “U” a “K”?

Gran parte dei nostri recenti dialoghi con i banchieri centrali si è concentrato sull’aumento della preoccupazione sul fatto che la politica monetaria stia guidando l’inflazione dei prezzi degli asset in un momento in cui il contesto economico sottostante resta molto complesso.

Le diverse performance tra Main Street e Wall Street hanno portato a una nuova descrizione della ripresa, a “K”, sottolineando la differenza delle traiettorie. In sostanza, ciò sembra mostrare i limiti della politica monetaria nella gestione delle sfide che l’economia sta affrontando.

Nelle deliberazioni in corso in merito a ulteriori stimoli fiscali negli Stati Uniti, o all’imminente fine del pagamento dei permessi nel Regno Unito, sembra esserci il rischio che il sostegno fiscale verrà ritirato troppo presto. Tuttavia, se ciò porterà a un nuovo calo economico, non è chiaro cosa ci si possa aspettare dalle banche centrali. L’eccessiva dipendenza dalle politiche monetarie rischia di creare tensioni sociali, ampliando il gap tra la piccola percentuale di persone che detengono gli asset e il resto della popolazione che deve affrontare una maggiore disoccupazione e un reddito sempre più ridotto. L’ottimismo dei mercati finanziari potrebbe tuttavia disincentivare le autorità ad agire con urgenza sul fronte delle politiche fiscali.

Divergenze in Europa

Negli Usa, la Fed sarà probabilmente il più passiva possibile nei prossimi mesi, all’avvicinarsi delle elezioni. Intanto, nell’Ue l’aumento dei casi di Covid-19 e l’adozione di misure che limitano l’attività economica implicano rischi di ribasso, soprattutto nell’Europa meridionale, dove la stagione turistica non è quasi neanche riuscita a partire. Ciò potrebbe esercitare pressioni sulla Bce affinché resti “colomba” nel meeting di settembre, anche se abbiamo rilevato una forte resistenza interna all’idea di estendere o ampliare i programmi di acquisti esistenti nei prossimi mesi.

Sembra inoltre probabile che le performance dell’Eurozona saranno divergenti, con revisioni al rialzo nelle stime su Germania e altri Paesi nordici, in contrasto con i downgrade per Grecia, Portogallo, Italia e Spagna.

Per il momento riteniamo che i mercati obbligazionari nell’Europa periferica siano ben supportati dalla repressione fiscale, che sta spingendo gli investitori verso gli asset con maggiori rendimenti in un mondo di tassi negativi. Tuttavia, guardando al 2021 sembra che ci sia spazio per una maggiore divergenza politica nell’Eurozona e per una crescita del populismo a livello nazionale, nel caso in cui la ripresa economica porterà a maggiore disoccupazione in poco tempo. Ciò potrebbe porre un limite al restringimento degli spread.

L’incertezza implica maggiore selettività

Gli spread dei bond corporate sono cambiati poco nell’ultima settimana, dato che l’offerta ha iniziato a riprendersi prima di settembre. L’attività di rifinanziamento nel segmento high yield ha contribuito a ridurre i tassi di default previsti per il 2020, con le insolvenze potenzialmente rimandate al 2021 o al 2022.

Per allora si spera che un potenziale vaccino sia stato sviluppato, cosicché l’attività economica possa tornare sui livelli di fine 2019. Tuttavia, se la domanda non si normalizzerà in modo così rapido, questo scenario potrebbe rivelarsi troppo ottimistico.

Inoltre, le dimensioni della disruption economica nel 2020 lasceranno probabilmente molte cicatrici e in settori come proprietà commerciali e viaggi l’outlook potrebbe essere molto diverso rispetto al pre-pandemia.

Essere selettivi a livello di settori ed emittenti sarà estremamente importante. Ci aspettiamo che le performance saranno ancora più divergenti quando l’ondata di liquidità e di acquisti da parte delle banche centrali inizierà a venire meno.

Il Regno Unito preoccupa più del Giappone

Nel Regno Unito l’accordo su Brexit con l’Ue sembra ancora lontano, facendo sorgere la speranza che la deadline verrà rimandata ulteriormente. A nostro avviso è improbabile visto l’impegno ideologico dimostrato dall’amministrazione Johnson. Potrebbe trattarsi di una tattica per rendere i più intransigenti più inclini al compromesso, ma sospettiamo che prima che si giunga a tal punto, la realtà di uno scenario no-deal debba essere guardata con maggiore attenzione.

In Giappone le dimissioni del Primo Ministro Abe per questioni di salute hanno sorpreso i mercati. Tuttavia, dubitiamo che il cambiamento della leadership porterà a cambiamenti sul fronte delle politiche e quindi la notizia potrebbe non essere così rilevante per i mercati dello yen.

La politica Usa resta al centro dell’attenzione

Questa settimana abbiamo assistito alla convention repubblicana, con il palco dominato da membri della famiglia Trump. I tentativi di screditare Biden e di alimentare i timori riguardo al rispetto della legge e dell’ordine al risorgere delle proteste sembra stiano contribuendo al supporto per Trump.

Il gap tra Trump e Biden si è ridotto a qualche punto percentuale e fa senso pensare che il vantaggio di Hilary su Trump era maggiore rispetto a quello di Biden in questa stessa fase della campagna elettorale quattro anni fa.

In tal senso sarebbe sbagliato escludere una vittoria di Trump, anche se molti media liberali sembrano tentati a farlo, così come in alcuni Paesi europei, dove la vittoria di Trump nel 2016 ha confuso i commentatori.

Guardando avanti

Sembra che a settembre l’attenzione si focalizzerà anche sulla capacità di contenere i tassi di contagio con il ritorno a scuola e al lavoro. Gli ottimisti sperano che un aumento del numero di casi non porterà necessariamente a maggiori ricoveri o a una crescita della mortalità. Negli Usa, le news legate al virus sono state migliori nelle ultime settimane, proprio quando le cose sembrano peggiorare in Europa.

Tornando alla politica Usa, sarà interessante vedere se i rialzi azionari continueranno a sostenere Trump nei sondaggi. Joe Biden potrebbe sempre ricordare agli elettori che l’indice S&P 500 si è attestato a soli 9,2 punti nel mese in cui è nato Biden e da allora ha raggiunto il 37,200%. Se questo lo fa sembrare un po’ vecchio, allora vale la pena riflettere sul fatto che le azioni di Tesla sono cresciute in una percentuale quasi uguale dal 2013 (l’anno in cui Biden ha festeggiato il suo settantesimo compleanno).

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