Confindustria Cerved: rapporto 2015 sulle Pmi del Mezzogiorno

Duro l’impatto della crisi, ma anche dalle PMI del Sud arrivano primi segnali di ripartenza. Servono più imprese gazzelle per trainare ripresa. Più di un quarto delle PMI attive nel 2007 sono uscite dal mercato, con un crollo dei margini lordi e netti rispetto ai livelli pre-crisi: in sofferenza sono andate soprattutto le PMI più dipendenti dal credito bancario. Il processo di selezione ha fatto uscire dal mercato le imprese fragili e rafforzato le altre. Già nel 2013 sono iniziati i primi segnali di ripresa: nel Sud, nel 2014 sono state create 29mila imprese, più di un terzo delle nuove nate complessivamente in Italia, con una frenata di fallimenti e liquidazioni volontarie. Una strada che prosegue: nel 2015 e nel 2016 infatti è attesa una crescita di fatturato e redditività delle PMI meridionali e un calo delle sofferenze. Questo, in sintesi, il quadro del I “Rapporto PMI Mezzogiorno 2015”, curato da Confindustria e Cerved.
Più di sette anni di crisi hanno messo a dura prova il tessuto produttivo meridionale, avviando però un processo di ristrutturazione che oggi rende il sistema delle PMI pronto a ripartire. La fotografia scattata sulle 27mila società di capitale meridionali che rientrano nei requisiti europei di PMI (10-250 addetti e fatturato compreso tra 2 e 50 milioni di euro) mostra con chiarezza i segni della crisi. Oltre un quarto delle 29mila attive nel 2007 è uscito dal mercato: un quarto delle 20mila imprese rimaste ha dovuto ridurre la propria taglia dimensionale, scendendo a micro-impresa.
La crisi, oltre a innalzare i tassi di mortalità delle PMI meridionali, si è fatta sentire sulla natalità: fino al 2012 è infatti diminuito il numero di nuove imprese, si è fortemente ridotta la quota di newco in grado di stare sul mercato – solo il 45% delle nuove nate al Sud è ancora sul mercato a tre anni dalla nascita – e di quelle che nel giro di tre anni crescono fino a diventare una PMI.
L’uscita in massa dal mercato delle PMI è stata accompagnata da conseguenze pesanti sui bilanci delle società sopravvissute alla crisi. Nel complesso, tra il 2007 e il 2013, i margini lordi delle imprese meridionali si sono ridotti del 38,6%, ben 7 punti in più della media nazionale: le imprese hanno reagito investendo capitale proprio in azienda, ma la redditività di questo capitale ha continuato lentamente a ridursi, toccando nel 2013 il livello più basso proprio al Sud: il ROE ante-imposte è stato pari solo al 2,1%, oltre 5 punti in meno del 2007. Gli oneri finanziari, a loro volta, sono calati, ma non abbastanza da compensare il calo dei margini.
Nonostante questi dati sono oggi numerosi i segnali di una possibile inversione di tendenza. Grazie all’introduzione delle Srl semplificate, la natalità delle imprese meridionali, negli ultimi due anni, è superiore a quella pre-crisi: nel 2014 sono nate, infatti, al Sud 29mila delle 83mila nuove imprese in Italia; fallimenti e liquidazioni volontarie frenano, mentre le abitudini di pagamento tornano verso una condizione di maggiore normalità, riducendo lo stock di fatture non pagate (-10% tra il 2013 e 2014) e i tempi medi di pagamento. Soprattutto, crescono le imprese meridionali solvibili, e diminuiscono quelle più a rischio: la crisi sembrerebbe dunque avere svolto un’azione di selezione, provocando l’uscita dal mercato di chi aveva un profilo economico e finanziario poco equilibrato già prima della crisi stessa.
Uno dei motivi di vulnerabilità resta l’elevata dipendenza dalle banche per ottenere liquidità. L’ampliamento del ventaglio delle modalità di finanziamento diviene, perciò, sempre più urgente. Con l’uscita dalla crisi, infatti, cresce la polarizzazione dei comportamenti: al Sud più che nel resto del Paese crescono sia le aziende che vedono migliorare il proprio merito di credito, sia quelle che lo vedono peggiorare. È una conferma del fatto che ci sono imprese cresciute, anche durante la crisi, a ritmi sostenuti.
Queste imprese, che il rapporto definisce gazzelle possono ora trainare la ripresa del Sud, a patto di essere affiancate dalle zebre che hanno avuti minori aumenti di fatturato e che diminuiscano i gamberi, ossia le imprese che finora lo hanno visto ridurre.
A questa ampia polarizzazione contribuisce la significativa varianza dei risultati tra le singole regioni: da Basilicata, Campania e Abruzzo vengono i segnali di una maggiore vitalità, dalla Puglia i segnali più contrastanti – con elementi di vitalità e di fragilità che convivono – mentre in Calabria, Sardegna e Sicilia si registrano le più grandi difficoltà. Questi andamenti contribuiscono a disegnare scenari timidamente positivi che lasciano ben sperare su un consolidamento della ripresa anche al Sud.
Secondo Confindustria e Cerved, sia pure con ritmi più bassi della media nazionale, le PMI meridionali dovrebbero veder crescere, nel 2015 sia il proprio fatturato (+1,2%) sia il proprio valore aggiunto (+2,1%). Analogo miglioramento dovrebbero vedere i margini (MOL +4,3%) e la redditività del capitale investito (ROE +5%). Una tendenza al miglioramento dei principali indicatori economici, che dovrebbe continuare anche nel 2016.
Più contenuto è il miglioramento previsto dei debiti finanziari rispetto al capitale netto: segno che la vera partita della crescita per le PMI meridionali si gioca proprio sul versante finanziario. L’irrobustimento del tessuto imprenditoriale, la ripresa degli investimenti da parte delle imprese, singole e in rete; il sostegno alle imprese più innovative; il calo degli oneri finanziari e il miglioramento del profilo di rischio; la maggiore presenza sui mercati internazionali: sono queste le leve da utilizzare per infoltire, anche al Sud, il gruppo delle imprese a forte crescita e portare tutto il Mezzogiorno sui binari di una crescita duratura.
Un utilizzo mirato e concentrato degli strumenti finanziari e fiscali, comunitari e nazionali – a partire dai Fondi strutturali e da quelli nazionali per la Coesione – può fornire buona parte del carburante necessario, a patto di usarlo tutto, presto e bene.

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