Coronavirus, JP Morgan AM: che cosa servirebbe (davvero) per stabilizzare i mercati

A cura del team Global Fixed Income, Currency and Commodities Group di J.P. Morgan Asset Management

Il tasso di crescita giornaliero dei casi confermati (di Covid-19, ndr) in Cina è notevolmente rallentato, da un picco del 55% a fine gennaio a meno dell’1% a marzo, e l’attività sta riprendendo, con il periodo di sospensione nella provincia di Hubei scaduto il 10 marzo. Tuttavia, il virus si sta intensificando in altre parti del mondo: il 10 marzo l’Organizzazione mondiale della sanità ha segnalato casi in 110 nuovi paesi.

Un evento che, la settimana scorsa, ha sparigliato completamente le carte in senso negativo è stato il fallimento dell’Opec+ (Organizzazione dei Paesi esportatori di petrolio e relativi alleati) nel concordare sulla proposta di un taglio alla produzione davanti al previsto calo della domanda di energia. Il successivo calo dei corsi petroliferi, con una flessione del 25% per il greggio statunitense, ha aggravato la volatilità dei mercati finanziari.

Nel frattempo, le banche centrali stanno cercando di correre ai ripari con misure rapide e consistenti per attutire lo shock sul piano finanziario: la Banca d’Inghilterra e la Banca Centrale Europea sono state le ultime a prendere provvedimenti in tema di politica monetaria. C’è qualche fattore determinante che ancora deve manifestarsi in modo significativo? La politica fiscale. Finora, l’adozione di misure fiscali ha interessato solo i Paesi più vicini al centro dell’epidemia, anziché la più ampia situazione globale.

Valutazioni quantitative

In seguito a notevoli oscillazioni del mercato avvenute la scorsa settimana, il quadro delle valutazioni è cambiato. Innanzitutto, la resilienza del credito di alta qualità è stata messa alla prova: dopo l’ampliamento di soli 20 punti base a febbraio, gli spread del credito Investment Grade statunitensi sono saliti di 46 punti base nella settimana al 10 marzo. Questa variazione ha più che compensato l’effetto positivo della duration prodotto dal rally dei tassi, indicando che i titoli Investment Grade statunitensi stanno iniziando a denotare un comportamento più simile a quello degli attivi più rischiosi. In secondo luogo, il calo del prezzo del petrolio ha comportato una brusca reazione nei prezzi degli spread dell’High Yield e del debito dei mercati emergenti. Infine, l’importante rally dei tassi core – da un rendimento dell’1,15% sui titoli del Tesoro degli Stati Uniti decennali alla fine di febbraio a un minimo di chiusura dello 0,55% il 9 marzo – spinge a chiedersi se i titoli di Stato possano ancora offrire una copertura ai livelli di scambio attuali.

Fattori tecnici

I flussi hanno subìto una contrazione, non solo nelle azioni e nel credito High Yield, ma anche nei fondi di credito di alta qualità. Non sorprende che gli investitori si muovano in massa verso i porti sicuri: i fondi del mercato monetario hanno registrato quasi 79 miliardi di dollari di flussi in entrata nella settimana al 9 marzo, rispecchiando la domanda di attivi liquidi in questi tempi incerti. Anche la liquidità è stata messa a dura prova perché i mercati primari si sono sostanzialmente fermati e i mercati secondari esigono un prezzo più elevato per la liquidità.

Che cosa significa per gli investitori obbligazionari?

La scorsa settimana si sono verificati numerosi eventi in grado di cambiare le carte in tavola, tra cui il forte cedimento del petrolio, le iniziative aggressive delle banche centrali a livello globale e l’abbassamento del livello di protezione che la duration è in grado di offrire. Tuttavia, stiamo ancora aspettando l’evento che riteniamo necessario per aiutare a stabilizzare i mercati, ovvero un intervento fiscale che non si limiti ai Paesi entrati in emergenza. Riteniamo che il rischio di recessione sia aumentato concretamente e che la domanda non sia più se l’economia globale potrà entrare in una recessione, ma quanto potrà durare e quanto potrà essere profonda. Pertanto, continuiamo a mantenere un posizionamento prudente.

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