Cosa è successo in passato dopo il primo rialzo dei tassi Usa?

A cura di Mark Burgess, Cio Emea e Responsabile azionario globale Columbia Threadneedle
Gli indici azionari dei mercati sviluppati, come l’S&P 500 e il FTSE 100, hanno toccato recentemente una serie di nuovi massimi storici. Gli investitori potrebbero quindi domandarsi se i mercati azionari non siano diventati un po’ troppo compiaciuti, dati i timori per il rischio geopolitico. Dal nostro punto di vista, restiamo ottimisti sulle azioni rispetto ad altre classi di attività, in particolare le obbligazioni core, nonostante l’elenco di potenziali grattacapi per i titoli azionari non sia trascurabile (e appaia in crescita). Senza voler plagiare Donald Rumsfeld, l’insieme delle “incognite conosciute” per gli investitori azionari comprende attualmente:
– L’impatto del rallentamento della crescita in Cina.
– Il vigore del dollaro: quali difficoltà potrebbe porre per le multinazionali statunitensi?
– I rischi geopolitici in Russia, Medio Oriente e altre regioni.
– L’efficacia dell'”Abenomics”.
– L’andamento dei prezzi del petrolio: rimarranno sugli attuali livelli o prossimi agli stessi, oppure segneranno un rialzo nel secondo semestre di quest’anno in conseguenza dei tagli alla produzione?
– Quali sono le ripercussioni a lungo termine dell’attuale fase di debolezza per i produttori di materie prime dei mercati emergenti?
– Il futuro della Grecia: uscirà dalla moneta unica, e quale impatto avrebbe questo sull’euro?
– La tempistica e l’entità dei rialzi dei tassi negli Stati Uniti.
Per molti investitori, quest’ultima questione è probabilmente la domanda da un milione di dollari: non a caso un operatore di mercato ha paragonato i recenti segnali sulla politica monetaria inviati dalla Fed al “moonwalk” di Michael Jackson. È difficile che questo approccio possa alimentare la fiducia degli investitori. Ciò che possiamo affermare per certo è che la Fed innalzerà probabilmente i tassi quest’anno. È utile dunque considerare cosa potrebbe comportate un rialzo dei tassi per i mercati azionari, soprattutto in quanto la Fed ha abbandonato l’impegno alla “prudenza” sul fronte della politica monetaria.
Prendendo ad esempio gli Stati Uniti, i dati relativi al secondo dopoguerra forniscono alcune indicazioni sull’impatto dei cicli di inasprimento della Fed.
I rendimenti tendono ad essere elevati nei tre mesi precedenti il primo rialzo dei tassi, con performance positive osservate in 11 occasioni su 12. Tuttavia, le azioni tendono a guadagnare terreno anche sei e dodici mesi dopo l’avvio del ciclo di inasprimento, e persino nei tre mesi immediatamente successivi al primo rialzo i rendimenti sono positivi in metà delle occasioni.
Se il passato ci insegna qualcosa, i dati sembrerebbero suggerire che gli investitori azionari non dovrebbero nutrire eccessivi timori riguardo al prossimo ciclo di inasprimento della Fed. Quanto detto è tuttavia subordinato a un’importante avvertenza. Nei precedenti cicli di inasprimento la Fed ha innalzato i tassi tendenzialmente a fronte di una crescita economica sostenuta, che coincideva di norma con fasi caratterizzate da una solida crescita degli utili. In altre parole, benché un aumento dei tassi d’interesse possa comportare una compressione delle valutazioni, ciò non ha avuto in passato ricadute di rilievo sul mercato azionario, perché gli utili sono cresciuti in maniera significativa, spingendo ulteriormente al rialzo i corsi azionari. Questa volta, invece, ci si attende una crescita estremamente modesta dei profitti negli Stati Uniti, per di più in un contesto caratterizzato dall’indebolimento di quasi tutte le principali valute mondiali rispetto al dollaro USA, con le difficoltà che questo comporta per le multinazionali statunitensi.
Ciò potrebbe essere inteso come un orientamento ribassista sulle azioni, ma non va interpretato in questo modo. I nostri gestori di portafoglio continuano a ravvisare una gamma di opportunità a livello di singoli titoli nell’ambito dei mercati globali, inclusi gli Stati Uniti. Un modo per gestire l’impatto del vigore del dollaro consiste nel privilegiare le società statunitensi che generano i propri ricavi soprattutto nel mercato interno, come quelle appartenenti alle fasce di capitalizzazione medio-bassa, oppure le large cap per le quali le ripercussioni valutarie o i timori per la crescita degli utili sono ormai eccessivamente scontati e che pertanto potrebbero beneficiare di un rialzo delle valutazioni nel lungo periodo, una volta dissipate tali apprensioni.
Per definizione, tuttavia, ciò significa che gli investitori devono essere disposti e in grado di adottare un approccio selettivo; riteniamo che ciò sia molto importante alla luce degli attuali livelli delle valutazioni e dei bassi tassi di crescita previsti per gli utili. In anni recenti gli investitori hanno tratto notevoli benefici dall’esposizione al beta azionario. Tuttavia, il rialzo generalizzato delle valutazioni azionarie e i livelli attesi di crescita degli utili in mercati come gli Stati Uniti e il Regno Unito suggerirebbero che i facili guadagni sono stati ormai realizzati.
Torneremo a esaminare alcune delle nostre “incognite conosciute” nell’ambito di analisi future, ma se c’è una voce dell’elenco su cui desideriamo soffermarci, quella è il Giappone. In termini di valuta locale, quest’anno il mercato giapponese ha fatto registrare notevoli progressi; le valutazioni, inoltre, rimangono contenute, a indicare che i listini potrebbero guadagnare ulteriore terreno, soprattutto se lo yen resta debole rispetto al dollaro.
Il Giappone è altresì un importante beneficiario del calo dei prezzi del petrolio. Ma c’è dell’altro. Per anni le aziende nipponiche sono state criticate per la scarsa attenzione rivolta agli azionisti e per l’uso delle partecipazioni incrociate, che a detta del governo sono colpevoli di aver favorito una cultura di gestione compiaciuta e bassi rendimenti.
Ma le ruote del cambiamento iniziano a mettersi in moto. Una delle maggiori società industriali del Giappone (famosa per il suo atteggiamento non proprio amabile nei confronti degli investitori) ha affermato che desidera intavolare un dialogo costruttivo con gli azionisti e che creerà un team responsabile delle relazioni con gli investitori. Una mossa simile sarebbe stata impensabile solo alcuni anni fa, ma dimostra che il cambiamento è avviato. I fondi pensione giapponesi, incluso l’enorme GPIF, iniziano inoltre ad approfittare dei benefici offerti dalle azioni (a livello sia locale sia nazionale), fornendo ulteriori ragioni di ottimismo.
Le difficoltà a lungo termine che attendono il Giappone (il rapporto debito lordo/PIL più elevato al mondo e la contrazione demografica, per citarne solo due) sono ben note. Ecco perché si dice che quello giapponese è un mercato che gli investitori potrebbero voler frequentare, ma non sposare. Ciò nonostante, i recenti progressi sul fronte societario in Giappone sono motivo di ottimismo. Il mercato azionario rispecchia il futuro e le prospettive per le aziende nipponiche sono più rosee di quanto non siano da tempo.

Vuoi ricevere le notizie di Bluerating direttamente nella tua Inbox? Iscriviti alla nostra newsletter!