Cos’è rimasto nel vaso di Pandora

a cura di DeAWM

Come nel mito greco, dopo aver scoperchiato tutti i mali del mondo, resta la Speranza. Tutto è cominciato con una improbabile frattura tra Tsipras e Varoufakis in Grecia: quest’ultimo è stato rimosso dall’incarico di presiedere il team addetto alle negoziazioni con Bruxelles, sostituito da Euclid Tsakalotos. I risultati sono stati impressionanti: nella scorsa settimana, l’indice azionario ateniese ha chiuso a +7,8%, mentre i bond greci hanno avuto la migliore performance dall’ormai storico discorso di Draghi sulla irreversibilità dell’euro del luglio 2012. E così, secondo quanto riscontrato nel fine settimana, potremmo assistere ad un’accelerazione dei negoziati. Secondo Tsipras è probabile una risoluzione in settimana. Manteniamo un approccio di estrema cautela sul tema: questa settimana si terrà anche la riunione bisettimanale della BCE che dovrà decidere se rinnovare l’approvvigionamento di liquidità di emergenza alla Grecia, e con che “haircut”: dall’attuale 23%, attivo dallo scorso Novembre, secondo il giornale greco Kathimerini sono al vaglio percentuali di 44%, 65% e 80% a seconda dello sviluppo delle negoziazioni. L’attenuarsi del rischio greco – o perlomeno la percezione di un minore rischio – ha scatenato una serie di effetti particolarmente violenti in un contesto di liquidità abbastanza moderato, unito a prese di profitto e chiusura di posizioni corte su trade particolarmente affollati negli ultimi mesi: abbiamo assistito ad un apprezzamento dell’euro del 2,7% contro le valute dei principali partner commerciali, che a sua volta ha generato un calo settimanale del 2,7% dell’indice EuroStoxx 50. Il movimento più forte riguarda però le obbligazioni, che hanno indistintamente (Grecia esclusa) sottoperformato in settimana: il Bund decennale è passato in poche sedute da un rendimento di 0,16% a 0,36%. È probabile che la volatilità sui mercati finanziari europei continui in entrambe le direzioni nelle prossime settimane, alimentata dagli sviluppi politici, dalla pubblicazione delle trimestrali e dall’attività di M&A. Siamo neutrali sugli sviluppi azionari a breve termine in Eurozona, ma restiamo positivi sugli sviluppi azionari (e sul rafforzamento del dollaro) a medio termine.

Riflessioni sul rallentamento della crescita USA

Un’altra fonte di volatilità della settimana viene dal deludente dato di crescita PIL USA, che è risultato essere pari a 0,2% annualizzato, ovvero sotto le attese del consensus (1%) e nostre (0,7%), nel primo trimestre 2015, contro il 2,2% nel trimestre precedente. Notiamo un arretramento della componente consumi interni, che cresce “soltanto” dell’1,9% dopo essere salita del 4,4% nell’ultimo trimestre 2014, mentre il calo di investimenti nel settore oil&gas da solo contribuisce negativamente alla crescita PIL per ben 0,6%. Altro dato importante viene dall’effetto competitività dovuto al rafforzamento del dollaro, che ha portato ad un calo del 7,2% nelle esportazioni, rispetto ad un +4,5% del trimestre precedente. Il tema della competitività sarà probabilmente un dato di fatto per tutto l’anno, e prevediamo che da solo detragga 0,6% alla crescita PIL annua. Bastano queste notizie per farci rivedere al ribasso le nostre prospettive macro statunitensi? La Federal Reserve, nel comunicato che segue l’incontro periodico di politica monetaria, fa notare che i motivi dietro il rallentamento della crescita sono “transitori”, probabilmente legati alle rigide condizioni invernali e alla chiusura di un gran numero di porti commerciali sulla West Coast. Anche a nostro avviso è molto probabile che si tratti di un passo falso “stagionale” piuttosto che a un inizio di declino della crescita USA. Notiamo infatti che, nonostante i dati di crescita PIL vengano destagionalizzati, il primo trimestre è storicamente il più debole: dal 1980 la media trimestrale di crescita à pari a 2,1% nel primo trimestre contro circa il 3% nei trimestri successivi. Negli ultimi 12 anni la crescita del primo trimestre è stata solo del 0,7% in media, e se torniamo indietro agli ultimi 64 anni dal 1950, il primo trimestre ha visto un calo del PIL ben 13 volte, contro le 5 del secondo trimestre e le 9 del terzo e quarto. Ci attendiamo un recupero di crescita verso il 3% a partire dalla seconda metà dell’anno grazie alla sostanziale stabilità del mercato immobiliare, alla buona performance del mercato del lavoro, alla buona tenuta della fiducia dei consumatori (il famoso indice dell’Università del Michigan è tornato vicino ai massimi), e soprattutto alla crescita dei salari. Stiamo difatti notando che, secondo il Bureau of Labor Statistics statunitense, nel primo trimestre l’indice di costo del lavoro è salito del 0,7%, livello sopra le attese, per una crescita negli ultimi quattro trimestri pari a 2,8%. Allo stesso tempo, le nuove richieste di sussidi di disoccupazione sono calate a 262.000 unità, i livello più basso dall’Aprile 2000: posto che i dati settimanali di richieste di disoccupazione sono molto volatili, notiamo comunque che la media degli ultimi mesi, nonostante qualche “singhiozzo” come a Marzo, risulta sotto le 300.000 applicazioni, che ci lascia prevedere per questa settimana una creazione di nuovi impieghi nel mese di Aprile per 225.000 unità.

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