Crescita… in crescita

a cura di DeAWM

Questa settimana il Fondo Monetario Internazionale pubblicherà il World Outlook, ma Christine Lagarde ne ha già anticipato il cuore dell’analisi: per dirla con Winston Churchill, «non mi preoccupo mai di dove possa portare l’azione, ma certamente temo l’inazione». Il messaggio è quello di rafforzare le riforme strutturali in un contesto di crescenti rischi finanziari e geopolitici.

Crescita… in crescita Vincere, si sa, ha molti padri. Molti sono, in particolare, i fattori che stanno portando ad una ripresa che potrebbe portare l’Eurozona verso una crescita dell’1,3%, cifra che non registriamo da cinque anni. Il calo del prezzo del petrolio, i tassi di interesse molto contenuti, ed indubbiamente l’indebolimento dell’euro sono tutti fattori che portano un loro contributo al miglioramento macro. In particolare l’ultimo punto può risultare da sé in grado di aumentare di 0,5% la crescita PIL nel 2015, sempre che questo deprezzamento non sia accompagnato da un indebolimento della domanda globale, eventualità che non riteniamo probabile.

Un quarto fattore si intreccia con gli ultimi due già citati: il programma di Quantitative Easing della BCE è ancora troppo «giovane», visto che sono stati acquistati «solo» 60 mld su 1,1 trn… Eppure i risultati sui rendimenti dei titoli obbligazionari sono impressionanti: i dati di mercato in questo caso possono anticipare minori tassi di interesse sul credito, e una redistribuzione sul mercato azionario.

Questa settimana si riunirà la BCE: ci attendiamo che sia ancora rafforzato l’impegno agli acquisti, ma intanto sono appena state pubblicate le «minute» dell’ultima riunione, accompagnate dai dettagli degli acquisti del mese scorso, che ricordiamo sono partiti il 9 Marzo: notiamo che paesi come Grecia, Cipro ed Estonia non sono stati toccati, redistribuendo gli acquisti mancati a favore degli altri Paesi, piuttosto che incrementare le percentuali dei titoli sovranazionali: se questo atteggiamento dovesse continuare, si traducerebbe in un’ulteriore influsso positivo per i Paesi periferici, in particolare per Italia e Spagna.

I dati pubblicati la scorsa settimana sulla fiducia dei consumatori, sulle nuove immatricolazioni di autovetture e sugli indicatori di direzione lasciano ben sperare. In cima al rimbalzo troviamo la Germania (+1,6 a 55,4), ma al secondo posto si attesta l’Italia (+1,4 a 52,4), confermando le nostre previsioni di premesse di crescita positive sia nei paesi centrali che periferici.

Con la conclusione del primo trimestre, possiamo cominciare la stima della crescita PIL nei primi tre mesi del 2015: a livello aggregato, l’Eurozona potrebbe crescere dello 0,5%/trimestre, vale a dire la maggiore crescita trimestrale dal 2011; la Germania, l’Italia e la Spagna dovrebbero segnare rispettivamente 0,8%, 0,2% e 0,7%.

I nodi al pettine Questa settimana riprendono i lavori del Brussels Group che dovrebbe seguire la questione greca. Mercoledì si terrà l’Euro Working Group. Il Governo greco ha ripagato i 448 milioni di Euro al FMI, ma ha una tranche di 747 milioni il 12 Maggio e si fanno sempre più insistenti le voci di un’imminente mancanza di liquidità. Secondo la Frankfurter Allgemeine Zeitung, il Brussels Group sta cercando di lavorare con il Governo Tsipras perché fornisca impegni concreti e dettagliati entro cinque giorni dal 24 Maggio, giorno in cui si terrà il prossimo Eurogruppo. La pressione è molto alta, visto che intanto la BCE ha rialzato il tetto di assistenza straordinaria alle banche elleniche nella crescente avversione di alcuni membri del Board.

Stati Uniti: quanto pesa la delusione dell’Employment Report? L’Employment Report di Marzo è risultato particolarmente deludente: dopo un anno di crescita di nuovi impieghi per almeno 200.000 unità/mese, a Marzo sono stati creati soltanto 126.000 nuovi impieghi, mentre sono state ridotte di 69.000 unità le assunzioni relative ai primi due mesi dell’anno. Leggendo tra le righe del report, notiamo che l’impatto maggiore in relativo è legato al settore minerario e a quello industriale, ma il numero di disoccupati a lungo termine è calato di 146.000 unità a 2,56 milioni. Il salario medio orario cresce di 2,1%/anno, in aumento rispetto alle ultime rilevazioni – e contestualizzato in un periodo di bassa inflazione.

Il report potrebbe essere un segnale di crescente fatica, peraltro supportato dalle revisioni al ribasso della crescita PIL a fine 2014, ma potrebbe anche essere letto come un segnale di mercato del lavoro particolarmente «saturo» in cui diventa sempre più difficile accordare domanda e offerta. Siamo più vicini a questa seconda interpretazione: anche leggendo le recenti minute relative all’ultima riunione Fed si evince che permane un sostanziale cauto ottimismo dei membri del Board. Mancano due Employment Report prima della riunione di Giugno, ma in ogni caso resta molto probabile un primo rialzo dei tassi entro Settembre.

La scorsa settimana abbiamo appreso che una delle più grandi ed importanti conglomerate globali, General Electric, ha deciso di ridurre fortemente il proprio portafoglio di operazioni a favore del suo business tradizionale. Le società sono architetture umane, e come tali sono spesso soggette a cambiamenti: esiste dunque un fil rouge che può essere tracciato nella vita delle società? La storia dell’economia è fatta anche di singole storie che riguardano i destini delle aziende che dell’economia sono la parte pulsante. Esse sono il frutto – spesso e volentieri – di coraggio, genialità e condizioni regolamentari e normative favorevoli. Non sono rari i casi di aziende che hanno visto tempi in cui erano impegnate in un determinato settore principalmente o totalmente, per poi cambiare pelle e diventare protagonisti di ramo o settore totalmente diversi. Un esempio emblematico di questa interessante e importante caratteristica è sicuramente rappresentato da Nokia.

Nel 2001, Nokia era leader assoluto nella telefonia mobile con una quota pari a circa il 35% del mercato mondiale e già allora c’era chi dubitava che l’azienda finlandese avrebbe avuto le capacità per mantenere tale status. Oggi sappiamo che i dubbi erano del tutto leciti, dopo che prima Apple e poi i produttori asiatici con Samsung in testa, hanno sposdestato il gigante finnico. Il tramonto definitivo in questo ambito è avvenuto lo scorso anno con la vendita del business a Microsoft. Ma Nokia non è sparita e ancora una volta l’azienda che prende il nome da un fiume e la cui prima attività era legata al legname, è riuscita a cambiare la propria fisionomia senza sparire dal mercato; Nokia, ad esempio, detiene un operation network per la telefonia mobile oltre a vari brevetti. È del 1997 un libro intitolato “The Living Company”, in cui l’autore Arie de Geus analizza la durata media delle multinazionali – pari a circa 50 anni – ma alcune di esse come Nokia appunto vanno ben oltre i 100 anni.

Vi sono poi casi come Royal Dutch Shell, la cui attività è iniziata nel 1833, per non parlare del gruppo giapponese Sumitomo il cui inzio lo si ptrebbe far risalire addirittura al 1590 nel settore del rame. L’autore si domanda nel libro se la longevità aziendale così lunga abbia un valore o meno e nota, peraltro, come in nessuna altra forma di attività – ad esempio università, eserciti o chiese, vi siano divari così ampi in termini di durata. E ancora, la nascita e morte delle aziende non è poi, tutto sommato, ciò che Schumpeter definiva “distruzione creativa“? Nokia, in effetti, ha sottovalutato il fenomeno degli smartphone e il ritardo accumulato si è rivelato fatale ma, in definitiva, il libro mette in evidenza come la longevità abbia un valore nel momento in cui ciò si lega al territorio, stabilisce e cementa le radici con la comunità presente e non è errato affermare che le aziende possono svolgere una funzione di collante laddove le comunità attuali incontrano maggiori difficoltà che in passato. Quando esse spariscono gli effetti sono nocivi e persistenti, intaccando il tessuto sociale e la sua stabilità e prosperità economica, visti i danni causati all’indotto che per molto tempo si è creato intorno alla grande multinazionale.

Quattro le caratteristiche vincenti nel tempo:

1. Bisogna essere pronti al cambiamento laddove la competizione si sta attrezzando.
2. Occorre mantenere un forte senso di identità
3. È bene non eccedere nella centralizzazione delle funzioni
4. Va difesa un’oculata gestione finanziaria
Altri fattori come la proprietà non hanno rilievi importanti, infatti vi sono pro e contro sia nelle aziende a proprietà familiare che non, così come non sembrerebbe influente il settore di appartenenza.

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