Crollo della borsa cinese: drammatico, ma non siamo nel 1929

A cura di Eric Chaney, Chief Economist del gruppo Axa, Head of Research di Axa Im
Il mercato azionario cinese ha registrato una correzione importante in questo ultimo periodo, dopo l’incredibile rialzo visto da ottobre 2014 a giugno 2015 (+105%). L’economia reale, in rallentamento ma ancora in crescita ad un ritmo del 6,5%-7% in termini reali, non è stata il motore di questo rialzo. Né del recente crollo. Il rally dello scorso anno, che ha portato alla bolla di quest’anno (AXA IM ha abbassato la sua view sulle A-shares cinesi il 10 aprile), è imputabile principalmente a liberalizzazioni finanziarie, in particolare alla possibilità di indebitarsi per comprare titoli (margin lending) e l’apertura del Shanghai-Hong Kong connect. Da un punto di vista strutturale, la riduzione dell’indebitamento delle società del Paese incoraggiata dalle autorità ha portato le aziende a modificare il loro stato passivo, spostando il focus dal debito al capitale, alimentando un boom di IPO.
Dopo aver alimentato il rally fino al momento in cui è diventato ovvio che fosse una bolla, le autorità cinesi hanno deciso di limitare il margin lending per farla ‘scoppiare’ – quello che stiamo vedendo oggi. Il governo sta ora cercando di stabilizzare il mercato utilizzando un insieme di misure a volte non molto coerenti, forse perché non vi è un consenso ufficiale sul livello al quale il mercato si dovrebbe stabilizzare.
Pensando al futuro, sorgono due domande: la più complessa, ma meno importante, è “quanto potrebbe scendere ancora il mercato?”. Quella invece più importante è “quale sarà l’impatto sull’economia reale?”. La nostra risposta alla prima è “forse di un ulteriore 20%”. Per quanto riguarda la seconda, crediamo che l’impatto nel breve sulla crescita del PIL possa arrivare a circa -0,3% nella seconda metà dell’anno, nel caso la reazione del governo cinese rimanesse cauta, e minore se decidesse di adottare stimoli fiscali e monetari più significativi per raggiungere i target di crescita.
Vediamo alcuni semplici dati sul mercato azionario locale cinese, dove nel tempo le bolle sono state ricorrenti. Da giugno 2006 a dicembre 2007, l’indice Shanghai composite è salito del 225%, per poi scendere di -65% toccando il fondo a dicembre 2008. A confronto, l’attuale rally di 20 mesi che ha portato l’indice a toccare quota 5166 il 12 giugno sembra poca cosa, con la sua crescita del 105%. Assumendo che le ripercussioni sull’economia reale siano limitate (si veda perché più avanti), ci sembra che un’ulteriore correzione del 20% sia un’ipotesi ragionevolmente negativa, anche se non proprio lo scenario peggiore immaginabile. In questo caso il mercato sarebbe sceso del 40% dai picchi visti a giugno. Alle valutazioni attuali, le A-shares cinesi non sembrano più significativamente sopravvalutate e la tipica tendenza del mercato a sovra/sottostimare i movimenti dei prezzi sembrerebbe suggerire un downside risk abbastanza limitato. E’ il comportamento delle autorità cinesi che ci rende cauti e timorosi di un rischio potenzialmente superiore.
Passando all’impatto sull’economia reale, ci aspettiamo un effetto limitato. Tre punti spiegano perché il paragone con il 1929, spesso citato, è irrilevante:
• Solo una piccola parte del risparmio delle famiglie cinesi è investita nel mercato azionario (4%), per cui a differenza di economie più sviluppate come quella US l’impatto sulla ricchezza dei nuclei familiari e quindi sulla loro capacità di spesa passa in secondo piano;
• Solo una piccola parte del finanziamento delle aziende cinesi proviene dai mercati azionari pubblici, meno del 5% per la prima metà del 2015 (solo il 2,6% nel 2014). La maggior parte è costituita da prestiti bancari, in un Paese dove le banche sono di proprietà dello Stato;
• La Cina ha un mercato dei capitali ancora isolato, o forse più correttamente quasi isolato dall’apertura del Shanghai-Hong Kong connect. Non accadrà quindi quello che ci si aspetterebbe in altri mercati emergenti al momento dello scoppio di una bolla azionaria: una repentina fuga di capitali dal paese, con conseguente svalutazione della valuta locale, che a sua volta forzerebbe la banca centrale ad alzare i tassi per stabilizzare la moneta e prevenire un rialzo dell’inflazione a livelli pericolosi.
Per cercare di capire la dimensione dell’impatto sulla ricchezza della Cina, facciamo qualche calcolo molto semplificato. Ipotizziamo che il consumatore cinese detenga il 4% della propria ricchezza in titoli azionari locali, e che il mercato crolli del 40% (il nostro scenario più pessimista). Visto che il tasso di risparmio delle famiglie cinesi è del 35% del reddito disponibile, l’impatto in termini di ricchezza sarebbe del 0,8% del reddito disponibile (0,04*0,6*0,35=0,008).
Ipotizzando che il consumatore voglia recuperare metà della perdita nel breve periodo (ipotesi particolarmente aggressiva) risparmiando di più e di conseguenza spendendo di meno, e visto che i consumi rappresentano il 40% del PIL del Paese, l’effetto complessivo sarebbe un PIL più basso del 0,2%. Altri effetti, come un incremento per le aziende del costo di finanziamento tramite emissione di azioni, potrebbe far salire questo stima a 0,3% o 0,4%, difficilmente di più. Sappiamo anche che le autorità cinesi sono molto più attente a quanto accade nell’economia reale del Paese, con un impatto diretto su lavoro e welfare, che nei mercati azionari. Nel caso di un rallentamento superiore alle attese verrebbero varate rapidamente misure fiscali e monetarie di stimolo. Questo è il motivo per cui crediamo che un impatto complessivo di –0,3% sulla crescita del PIL per i prossimi due o tre trimestri sia il livello massimo che potremmo vedere.
L’effetto più importante di questo crollo del mercato azionario sarà nel lungo periodo crediamo, nella misura in cui potrà influenzare le impressionanti riforme che la Cina sta intraprendendo, dalla liberalizzazione dei mercati finanziari, inclusa una graduale e fortemente controllata apertura del mercato dei capitali, alla creazione di meccanismi di welfare, alla trasformazione di un’economia manifatturiera in un’economia basata sui servizi. Rivedremo questi temi quando la polvere sollevata dallo scoppio di questa bolla si sarà posata.

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