Crowdinvesting e invoice trading, il Covid-19 non ferma la finanza alternativa per le Pmi

Solo nell’ultimo anno, da luglio 2019 a giugno 2020, in Italia le risorse che la finanza alternativa – o meglio, complementare – al credito bancario ha veicolato verso le Pmi sono state di 2,67 miliardi di euro contro i 2,56 miliardi del periodo precedente, con una crescita anno su anno pari al 4%. Alcuni comparti sono cresciuti sensibilmente, altri hanno invece mostrato il passo, anche a causa delle incertezze legate alla pandemia: il private equity e il venture capital perdono il primato, l’invoice trading prosegue la sua corsa e i minibond continuano a crescere. Il crowdfunding galoppa a buoni tassi, ma rimane ancora comparativamente piccolo, mentre gli altri canali contribuiscono in maniera residuale.

Sono alcune delle principali evidenze riportate nel terzo Quaderno di ricerca sulla Finanza alternativa per le Pmi in Italia, redatto dagli Osservatori Entrepreneurship Finance&Innovation della School of Management del Politecnico di Milano e presentato oggi al secondo “Alt-Finance Day”, organizzato in diretta streaming insieme a Innexta, Unioncamere Nazionale e alla Camera di Commercio di Milano Monza Brianza Lodi. “I circuiti della finanza alternativa per le Pmi continuano a crescere anche ai tempi del Covid-19 – commenta Giancarlo Giudici, estensore della ricerca e professore associato di Finanza aziendale – l’incertezza e la percezione di possibili recessioni o peggioramenti delle condizioni di liquidità delle imprese spingono a diversificare i canali di finanziamento e a esplorare nuove strade. In questa situazione crescono i canali disintermediati, che fanno leva direttamente sui risparmiatori, come il crowdfunding, e quelli che offrono una user experience digitale e rapida come l’invoice trading. Nondimeno, appare chiaro che i capitali dei gestori di fondi professionali sono necessari per moltiplicare le risorse”.

L’obiettivo della ricerca è analizzare il mercato della finanza alternativa, o meglio complementare, al credito bancario per le Pmi in Italia, tema di rilevante interesse visto il razionamento del credito che molte piccole imprese hanno sofferto soprattutto dopo la crisi finanziaria iniziata nel 2008. Diversi infatti sono stati i provvedimenti legislativi e gli sforzi degli operatori sul mercato per offrire nuovi canali di finanziamento alternativi e potenziare quelli esistenti, con l’obiettivo di incrementare la competitività dell’ecosistema. Le Pmi sono definite dalla Raccomandazione 2003/361/CE della Commissione Europea come imprese autonome con organico inferiore a 250 persone (requisito necessario) e fatturato non superiore a 50 milioni di euro, o il cui totale di bilancio annuale non ecceda i 43 milioni di euro.

Come negli anni precedenti, sono stati individuati sei ambiti specifici, cercando di discriminare il contributo che ciascuno di essi ha dato alla raccolta di risorse finanziarie per le Pmi italiane. Si tratta dei minibond (ricorso al mercato mobiliare per il collocamento di titoli di debito come obbligazioni e cambiali finanziarie per importi fino a 50 milioni di euro), del crowdfunding (opportunità di raccogliere capitale su portali Internet nelle varie forme ammesse, come reward, lending, equity), dell’invoice trading (smobilizzo di fatture commerciali attraverso piattaforme web), del direct lending (credito fornito da soggetti non bancari attraverso prestiti diretti), dell’Initial Coin Offering, Ico (collocamento di token digitali e in generale di crypto asset su internet grazie alla tecnologia emergente della blockchain), del private equity e del venture capital (finanziamento con capitale di rischio fornito da investitori professionali, a volte prodromico alla quotazione in Borsa su listini specifici per le Pmi come Aim Italia).

I minibond

L’industria dei minibond cresce progressivamente in Italia fin dal 2013. Le Pmi non finanziarie italiane che hanno emesso minibond fino al 30 giugno 2020 sono state 348, di cui 47 affacciatesi sul mercato per la prima volta nel primo semestre 2020. Il controvalore collocato negli ultimi 12 mesi coperti dalla ricerca è stato di 331 milioni di euro, in buon aumento rispetto ai 281 milioni dell’anno precedente. Si tratta di un mercato importante che si sta stabilizzando ma continuerà a crescere nel medio termine, soprattutto grazie alle operazioni di sistema dei ‘basket bond’ tipicamente progettate per le Pmi. Al momento la crisi da Covid-19 non sembra avere impattato in maniera significativa sulla pipeline, anche grazie alla possibilità di accedere alla garanzia pubblica.

Il crowdfunding

L’equity crowdfunding ha visto un ottimo tasso di crescita negli ultimi mesi, anche grazie all’estensione a tutte le Pmi di questa opportunità, inizialmente riservata a startup e Pmi innovative. Sono 547 le aziende italiane che fino al 30 giugno 2020 hanno provato a raccogliere capitale di rischio sulle piattaforme internet autorizzate, assicurandosi attraverso 402 campagne chiuse con successo un funding pari a 158,86 milioni di euro. Si tratta in gran parte di startup innovative, ma sono arrivate anche altre Pmi con le operazioni in ambito real estate. Negli ultimi 12 mesi osservati la raccolta è stata pari a 76,6 milioni di euro, con un incremento del 56% rispetto al periodo precedente.

Entrando più nello specifico, le piattaforme di lending hanno erogato a titolo di prestito alle Pmi italiane 339 milioni di euro fino al 30 giugno 2020. Le aspettative di crescita sono state confermate grazie all’afflusso annunciato di capitali da investitori professionali e all’apertura di nuovi portali, soprattutto nel contesto immobiliare. La raccolta negli ultimi 12 mesi analizzati è stata pari a 179,6 milioni di euro, in aumento del 113% rispetto all’anno precedente, in cui si era registrato un flusso di 84,2 milioni. Si tratta del comparto con il tasso di crescita relativo maggiore.

Completa il quadro il reward-based crowdfunding, campagne di piccolo importo (condotte soprattutto su portali Usa come Kickstarter e Indiegogo) che le aziende hanno intrapreso per raccogliere denaro offrendo in cambio prodotti e ricompense non monetarie. Si stima in 1,2 milioni di euro la raccolta effettuata ogni anno dalle Pmi italiane, senza prospettive di crescita rilevante per il futuro, mentre i segmenti equity e lending continueranno a crescere a doppia cifra, in vista anche del nuovo Regolamento europeo appena adottato che consentirà alle piattaforme di operare su base transfrontaliera.

Invoice trading

Le piattaforme di invoice trading italiane hanno mobilitato per le Pmi fino al 30 giugno 2020 quasi 3 miliardi di euro, di cui 1,157 miliardi negli ultimi 12 mesi considerati (+23% rispetto all’anno prima, quando il flusso era stato di 939,3 milioni), piazzandosi nel punto più alto del podio. Va però notato che il ciclo di investimento in questo ambito è molto più breve, trattandosi della cessione a investitori professionali di fatture commerciali a scadenza mediamente di 3-4 mesi, che vengono spesso utilizzate come sottostante per operazioni di cartolarizzazione. Molte delle risorse conteggiate sono quindi state reinvestite più volte nell’arco del periodo, e le stesse imprese hanno ceduto più fatture nel tempo.

Si può stimare che questo canale di finanziamento sia stato adottato da un buon numero di Pmi italiane ed è certamente lo strumento relativamente più utilizzato fra tutti quelli considerati. Le ragioni della crescita sono da attribuire sia all’aumento delle piattaforme attive, sia al processo di integrazione tecnologica fra le piattaforme e i sistemi Erp delle imprese che semplifica la customer experience. La crisi da Covid-19 ha incrementato il flusso delle richieste da parte della Pmi, sia per la percezione di un maggiore rischio di insolvenza dei debitori, sia per la necessità di liquidità immediata. Le prospettive per il futuro sono positive, è uno dei comparti che sta crescendo di più e l’unico nel panorama preso in esame in cui l’Italia regge il confronto in Europa.

Direct lending

Si tratta del segmento dove è più difficile raccogliere informazioni esaustive, perché non pubblicamente disponibili. Nuovi fondi stanno arrivando sul mercato e hanno cominciato a investire, spinti anche dalla nascita dei Pir alternativi, ma ad oggi si può stimare che siano poche le PMI italiane che hanno ottenuto un prestito diretto da fondi specializzati: il contributo degli ultimi 12 mesi considerati potrebbe essere intorno ai 22 milioni di euro, più del doppio rispetto al periodo precedente. Anche in questo caso ci si attende una crescita per i prossimi anni.

Ico e token offerings

Attraverso le Initial Coin Offerings (Ico) è possibile raccogliere capitale su internet offrendo in sottoscrizione token digitali e disintermediando completamente piattaforme terze e circuiti di pagamento tradizionali. Grazie alla tecnologia blockchain, i token consentono ai sottoscrittori di accedere a prodotti e servizi (a volte di partecipare attivamente al progetto imprenditoriale) e sono spesso scambiati su piattaforme specializzate, rendendo labile il confine fra le Ico e la sottoscrizione di investimenti finanziari. La consultazione avviata da Consob per studiare una possibile definizione e regolamentazione del collocamento di cripto-attività non ha ancora generato risultati. Nel frattempo, il flusso delle offerte sul mercato si è ridotto ai minimi (non sono state individuate negli ultimi mesi operazioni significative condotte da team italiani), mentre si affacciano sul mercato nuove modalità che potrebbero avere sviluppi interessanti, come le Initial Exchange Offerings (Ieo) e le Security Token Offerings (Sto).

Private equity e venture capital

Completano il quadro gli investimenti effettuati da soggetti professionali nel campo del private equity e del venture capital, i quali sottoscrivono capitale di rischio di imprese non quotate con l’ambizione di contribuire attivamente alla loro crescita per poi ottenere una plusvalenza al momento dell’exit. Questi investitori negoziano contratti e patti complessi con gli imprenditori, cosa che non accade ad esempio nell’equity crowdfunding, dove il potere contrattuale dei sottoscrittori è molto basso. Benché attivo da tempo, il mercato italiano del private equity e soprattutto del venture capital è ancora sottodimensionato rispetto alla situazione di Regno Unito, Germania, Francia.

Si considerino le statistiche periodiche pubblicate dall’associazione di riferimento Aifi: prendendo in esame solo le operazioni di early stage ed expansion (dove tipicamente l’investimento viene effettuato con un aumento di capitale e con l’apporto quindi di nuove risorse) e ipotizzando, cosa non scontata, che tutte le operazioni nei due sottocomparti riguardino Pmi, da luglio 2019 a giugno 2020 vi è stato un flusso di 238 milioni di euro per l’early stage (su 176 deal) e di 656 milioni per l’expansion (per 41 aziende), per un totale di 894 milioni. Si tratta di valori in diminuzione rispetto al periodo precedente. Nel breve termine non si prospettano incrementi significativi, ma nel medio termine – grazie al decollo (auspicato) degli Eltif e dei Pir alternativi e alle risorse disponibili per il venture capital – si potrebbero vedere dati interessanti.

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