Dalle politiche fiscali un antidoto alla recessione economica globale

“Mentre si intensifica lo scontro commerciale tra Stati Uniti e Cina, l’economia internazionale scivola verso una recessione che potrebbe già concretizzarsi entro la fine di quest’anno. Perché si eviti questa situazione occorre guardare alle politiche fiscali, visto che quelle monetarie delle banche centrali non riusciranno più a rilanciare la crescita e a reflazionare l’economia”. È l’analisi di Maurizio Novelli, gestore del Lemanik Global Strategy Fund.

Lo scontro geopolitico tra Cina e Stati Uniti, mascherato da un contenzioso commerciale, ha cambiato passo. Le autorità cinesi si prefiggono ora l’obiettivo di creare un problema economico tale da fare in modo che Trump possa perdere le elezioni del prossimo anno. Comunque vada a finire, il ciclo dell’economia internazionale sembra destinato a subire danni strutturali, o dalla trade war o dal ciclo di maturazione del credito e del debito negli Stati Uniti e in Cina. Nel frattempo, il dipartimento del lavoro degli Stati Uniti ha pubblicato il rapporto sul mercato del lavoro, evidenziando che l’economia Usa ha creato in reatà 501mila posti di lavoro in meno di quanto riportato dai dati sui payrolls precedentemente pubblicati negli ultimi 12 mesi. E’ la più grande revisione mai fatta dal 2009 e non fa che confermare che le statistiche economiche del governo Usa vanno prese con le pinze tanto quanto quelle cinesi.

L’Europa intanto rischia di entrare in recessione già in questo trimestre ed essendo un’area economica particolarmente esposta al settore manifatturiero rischia di subire una contrazione economica abbastanza significativa. A questo punto i mercati rivolgono nuovamente lo sguardo alle banche centrali in cerca di aiuto e sperano in nuovi interventi. Il momento è però piuttosto critico perché un’ulteriore discesa dei tassi negli Stati Uniti, al picco del ciclo del credito e con il sistema già decisamente indebitato, non è detto che possa favorire la ripartenza dell’economia. Se la Bce dovesse decidere di spingere i tassi d’interesse a livelli ancora più negativi, l’effetto sarebbe dunque restrittivo e non espansivo. Il sistema bancario sarebbe sempre più disincentivato dall’erogare credito a margini ormai non più remunerativi, perché le politiche monetariste utilizzate dalle banche centrali non tengono conto del fatto che al di sotto di un certo livello dei tassi l’offerta di credito si ferma. La situazione è dunque piuttosto complicata. La Fed ha ancora un po’ di margine per ridurre i tassi ma si trova al picco del ciclo del credito e con l’economia infarcita ancora una volta da eccesso di debito e credito speculativo. In questo caso, la riduzione del costo del denaro non ha un effetto di stimolo sull’economia.

Politiche monetarie al capolinea

Siamo giunti al capolinea delle politiche monetarie”, spiega Novelli. “Il problema è che non abbiamo al momento nessuna possibilità di modificarle. La Fed può solo far scendere i tassi e non può certo farli salire, la Bce è in trappola della liquidità, così come la Boj. Anche la Fed rischia di finire, nella prossima eventuale recessione, al Club Méditerranée delle banche centrali”.

A questo punto, visto che Bce e Boj sono senza munizioni, tutti guardano alla Fed. Il problema è che la Fed sembra aver deciso di far scendere i tassi solo in caso di evidente pericolo e quindi rischia di aspettare che i dati macro peggiorino ancora prima di intervenire. Il rischio di questo approccio è che l’intervento possa arrivare quando l’economia ha già innescato una fase di deleverage e, in tal caso, l’avvitamento non potrebbe essere evitato. E’ quindi evidente che se dobbiamo cercare “il cavaliere bianco” per sperare nell’aiuto occorre guardare alle politiche fiscali. Le politiche fiscali però devono essere mirate a sostenere i redditi reali per far ripartire la domanda interna e per ridurre l’onere del debito del settore privato. Gli Stati Uniti possono implementare questo stimolo, in Europa alcuni stati possono farlo altri meno, in Giappone si parla di aumentare l’Iva, cioè esattamente il contrario.

In questo momento, un eventuale stimolo fiscale Usa sarebbe una garanzia per far vincere Trump alle prossime elezioni e non sappiamo se i democratici sarebbero d’accordo nel sostenerlo. Si rafforza dunque lo scenario di incertezza. L’oro ha intanto iniziato a prezzare ulteriori stimoli monetari negli Stati Uniti, un rischio di recessione e la possibilità di politiche reflazionistiche di tipo fiscale che potrebbero spostare verso l’alto le aspettative di inflazione. Il dollaro rimane, per ora, forte, sostenuto da attese di ulteriori interventi espansivi della Bce, dai rischi di hard Brexit e dalla debolezza della divisa cinese. Tuttavia, questa forza del dollaro non fa che creare ulteriori effetti restrittivi sul ciclo del credito mondiale e tende a penalizzare Asia ed emergenti.

Il bull market sui government bond evidenzia un contesto pre-recessivo e potrebbe essere interrotto solo da politiche fiscali decisamente espansive mirate a sostenere i redditi e la domanda”, conclude Novelli. “Solo gli Stati Uniti potrebbero aprire nuovi orizzonti di politica economica e monetaria che in modo coordinato possano creare nuovi spazi di crescita e rinviare il rischio di recessione. Il problema è che la Fed non sembra disponibile a implementare ora un nuovo Qe mirato a sostenere l’espansione del debito pubblico e a svalutare il dollaro. Questi ritardi nell’implementazione di politiche atte a scongiurare una recessione altamente probabile rischiano di innescare il deleverage del sistema”.

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