De-Dollarization

A cura di Wings Parters Sim

Il rapporto mensile sullo stato del mercato del lavoro statunitense ha dato nuove conferme sullo stato del settore, con un progresso su tutti i fronti che continua a giustificare la stretta monetaria della Federal Reserve. In particolare sono stati registrati 223 mila nuovi occupati nel mese di maggio, meglio sia dei 189 mila previsti che dei 159 mila di aprile, mentre il tasso di disoccupazione è sceso al 3,8%. Buone notizie anche per quanto attiene la crescita dei salari (+0,3%), che sostiene il potere d’acquisto degli americani in un momento in cui l’inflazione minaccerebbe altrimenti di frenare la crescita dei consumi. Pubblicati lo scorso venerdì anche l’indice manifatturiero ISM che è salito a 58,7, battendo sia le previsioni che il dato precedente rispettivamente di 58,2 e 57,3, con un maggiore ottimismo sulle prospettive giustificato dal protezionismo dell’amministrazione statunitense. Pochi dubbi a questo punto sulle intenzioni della Banca Centrale che con tutta probabilità annuncerà il secondo rialzo dei tassi del 2018 il prossimo 13 giugno.

Tuttavia le politiche monetarie non sono più l’unico fattore a muovere i mercati, con un’incertezza politica che continua a rappresentare un fattore primario nei movimenti delle quotazioni. Oltre alla situazione italiana, le tensioni dal punto di vista commerciale rappresentano un’arma a doppio taglio per la prosecuzione della crescita economica statunitense.

La situazione attuale potrebbe andare ad agevolare proprio la Cina, con un utilizzo sempre più ampio dello yuan che darebbe ancora maggiore peso a Pechino negli scambi internazionali. Dopo il lancio di future sul petrolio denominati in yuan, ora l’Europa ha annunciato che utilizzerà la valuta cinese per acquistare greggio dall’Iran, mentre la Turchia fa appello ai propri cittadini di interrompere l’utilizzo del dollaro statunitense. Anche la crescente influenza economica cinese in Africa rappresenta un fattore da considerare, con gli scambi commerciali che vengono denominati sempre di più direttamente in yuan.

Nel lungo periodo questi cambiamenti in atto potrebbero finire per penalizzare la moneta statunitense, ad oggi la più usata negli scambi commerciali e come strumento di riserva valutaria: la perdita di questi status avrebbe implicazioni ribassiste di ampia portata.

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