Dollaro, la statistica indica ribasso di breve

A cura di Alessandro Balsotti, strategist Jci Capital
La price action di martedì, con un dollaro ringalluzzito dall’audizione di Powell (oggettivamente priva di sorprese significative), non era risultata particolarmente piacevole per chi, come il sottoscritto, sta proponendo l’ipotesi che il biglietto verde possa avere di fronte a se una rinnovata fase di indebolimento. Ieri lo strappo rialzista del dollaro ha però faticato a trovare nuovo slancio, trovando per la terza volta nelle ultime settimane resistenza a 95.50 (dollar index DXY). Utilizzando una misura meno euro-centrica (utilizzando un paniere più diversificato, il Bloomberg Dollar Index, ticker BBDXY) possiamo notare come la resistenza si sia in questo caso fatta sentire a livelli più bassi rispetto al recente passato, situazione sostanzialmente dovuta al fatto che, con l’eccezione dello yuan, il dollaro si è allontanato dai massimi contro molte valute emergenti (MXN il caso più evidente) toccati nella seconda metà di giugno.
Il USD/CNY (e la sua versione offshore USD/CNH soprattutto) è intanto tornato a macinare nuovi massimi toccando rispettivamente quota 6.74 (CNY) e 6.78 (CNH). Questo sembra però aver causato stavolta un coinvolgimento inferiore, nello stimolare il rafforzamento USD nei confronti delle altre valute. Al momento ci manteniamo a una certa distanza rispetto ai massimi toccati nella mattinata di ieri. Si fa notare in particolare la sterlina che, dopo le batoste (circa 2% di perdite vs USD) subite nelle ultime sessioni, ieri è riuscita a reagire a un CPI molto sotto le attese chiudendo non lontano dai livelli di apertura (con le probabilità di un rialzo BoE ad agosto praticamente immutate intorno all’80%).

La principale motivazione a supporto di una potenzialmente imminente frenata/inversione della forza USD, ovvero che il posizionamento speculativo sia a questo punto molto sbilanciato con una divergenza economica tra Stati Uniti e il resto del mondo ormai data per scontata da molti (“Trump is winning the trade war“ è un commento sempre più diffuso), resta valida. Ieri, per quanto marginale possano venir considerati i dati sul mercato immobiliare di questi tempi, la flessione di permessi abitativi e nuovi cantieri è stata evidente. Vedremo nei prossimi giorni se gli indici di attività manifatturiera regionali americani (oggi Philly Fed Index) porteranno con sé il sentore che la fiducia del mondo imprenditoriale stia iniziando a venir intaccata dallo scivolamento sempre più dichiarato nel protezionismo commerciale. Sul fronte dello sbilanciamento speculativo (a favore del dollaro) riporto il commendo di Ozan Tarman di Deutsche nel suo consueto riassunto a valle della cena con i clienti istituzionali: “the degree to which everyone likes long USD in one form or another, made me expect a correction more now”.
Un’analisi che mi ha incuriosito, e che in qualche modo rende oggettiva la sensazione che ci sia qualcosa di strano in un dollaro che continua a rafforzarsi in una fase di evidente tranquillità e di tono generalmente positivo per l’azionario e i risky-asset in generale, è quella proposta ieri dall’FX strategist di HSBC Brent Donnelly. Analizzando tutti i casi (sono 21 dal 1990) in cui il dollaro è stato protagonista di un rafforzamento di almeno 1% su base settimanale e la volatilità sui mercati era al contempo bassa (VIX < 12), la performance del dollaro nel mese successivo è stata negativa in 3 casi su 4 e la perdita media è stata dello 0.8% (da notare che sull’intero campione senza filtri il dollaro si è indebolito il 50% delle volte e la performance media è stata 0.0%, confermando che 30 anni di osservazione hanno pulito i dati da eventuali distorsioni nascoste). Statisticamente è un risultato di indubbia rilevanza. Anche se naturalmente usare lo specchietto retrovisore non sempre funziona…

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